Quando perseverare è diabolico: brevi note su apprendistato nella PA e decreto reclutamento
| di Matteo Colombo
Bollettino ADAPT 12 maggio 2025, n. 18
Negli ultimi anni il legislatore ha tentato, a più riprese, di favorire l’ingresso dei giovani nella pubblica amministrazione. Tra gli strumenti introdotti per raggiungere questo (difficile) obiettivo ha scelto anche l’apprendistato – o meglio, ha voluto chiamare “apprendistato” alcuni percorsi di inserimento solo in parte rassomiglianti all’istituto che porta questo nome. Raggiungendo – ad oggi – risultati modesti (per una prima mappatura in tema vedi, M. Colombo, G. Papini, M. Tiraboschi, Contratto di apprendistato e pubbliche amministrazioni: una sperimentazione che non decolla), ascrivibili non tanto e non solo alla scarsa simpatia con cui le pubbliche amministrazioni guardano a questo contratto (il rimando è a M. Colombo, M. Tiraboschi, Apprendistato e lavoro pubblico: un’occasione persa per colpa delle singole amministrazioni o per errori di progettazione dello “strumento” da parte del centro?) ma a decisioni quantomeno discutibili prese in fase di progettazione e implementazioni di questi percorsi. E che ora vengono rilanciate, senza affrontare i nodi critici che ancora oggi limitano la diffusione dell’apprendistato nella pubblica amministrazione.
Il riferimento è al c.d. decreto reclutamento (decreto-legge 14 marzo 2025, n. 25), convertito in legge lo scorso 8 maggio (per una prima lettura, vedi G. Papini, Le principali novità del Decreto PA). Grazie ad esso il “contratto a tempo determinato di apprendistato” (sic!), introdotto dall’art. 3-ter del decreto-legge del 22 aprile 2023, n. 44 allarga la platea di potenziale destinatari: non più solo giovani neolaureati, ma anche neodiplomati formati nei percorsi offerti dagli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy).
Ad una prima lettura, la novità è da salutare con favore. La pubblica amministrazione ha sicuramente bisogno di giovani funzionari dotati di competenze tecniche e tecnologiche avanzate, necessarie per far sì che la digitalizzazione di cui tanto si parla con riferimento ai servizi pubblici diventi una realtà. La finalità, in sé, è quindi lodevole: il problema è piuttosto lo strumento scelto, il già citato contratto a tempo determinato di apprendistato.
Un apprendistato che tale non è, perché mancante della sua principale caratteristica: l’ottenimento di una qualificazione valida ai fini contrattuali, al termine di un (auspicabilmente verificato) percorso di formazione e apprendimento svolto sul luogo di lavoro. Un apprendistato che, come emerso nella mappatura già citata, manca anche di una vera e propria componente formativa, sebbene su questo punto il decreto in commento intervenga introducendo la possibilità di frequentare corsi offerta dal programma “PA 110 e lode” ai giovani tecnici. Ma che anche su questo fronte ragiona avendo in mente qualcosa che apprendistato non è: perché è la contrattazione collettiva che dovrebbe individuare competenze, metodologie e monte ore formativo da frequentare, elementi non sostituibili da un più o meno generico percorso offerto da un’Università, pur meritevole e utile ma sganciato da una precisa qualificazione contrattuale di riferimento.
Un apprendistato che quindi, in definitiva, non funziona: grattando via la sottile patina formalistica, ci si ritrova al cospetto di un contratto di inserimento, senza un preciso percorso basato su standard formativi e occupazionali stabiliti dalla contrattazione collettiva. Uno strumento che non serve alle amministrazioni pubbliche, se non per “sfruttare” gli ulteriori spazi garantiti alle loro facultà assunzionali, e neanche ai giovani coinvolti, se non quale canale di accesso al pubblico impiego.
Non fa eccezione, in questo senso, neanche la misura introdotta all’art. 2 del decreto reclutamento, che permette alla Agenzia industrie difesa di rinnovare per ulteriori dodici mesi i 44 contratti di apprendistato professionalizzante attivati ai sensi del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80. Come leggere assieme questa misura, e la rubrica dello stesso articolo che la introduce, dal titolo “disposizioni urgenti per il superamento del precariato dei giovani nella pubblica amministrazione”?
Errare, si sa, è umano. Le iniziative finora introdotte per favorire il ricorso all’apprendistato quale strumento utile ad assumere giovani nella pubblica amministrazione hanno (fin da subito) attirato diverse osservazioni critiche (vedi, tra gli altri, L. Oliveri, Lavoro pubblico: fu vero apprendistato?), oltre a quelle già richiamate. Perseverare, però, è diabolico. Non si tratta, ovviamente, di rinunciare a “fare apprendistato” nella pubblica amministrazione. Ma di applicare quanto previsto dalla legge: e cioè approvare il decreto di cui all’art. 47, c. 6, del d.lgs. 81/2015, grazie al quale costruire un vero e proprio apprendistato (e non una sua opaca imitazione) a misura dei fabbisogni e delle caratteristiche del lavoro pubblico, delle amministrazioni e dei territori coinvolti, coinvolgendo il sindacato e valorizzando la via della contrattazione collettiva. Il rischio, altrimenti, è quello di continuare sulla strada finora scelta, con sperimentazioni di breve durata, di scarso successo, proroghe poco comprensibili e in definitiva poco utili a raggiungere gli obiettivi (giusti) che lo stesso legislatore si prefigge con riferimento all’incremento della “attrattività della pubblica amministrazione per i giovani”.
Presidente Fondazione ADAPT
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