Politically (in)correct una rubrica ADAPT sul lavoro – Pensioni: attenzione ai passi falsi

In occasione di un convegno svoltosi a Bologna venerdì 6 marzo scorso, il Ministro Giuliano Poletti è ritornato sul tema delle pensioni, annunciando il progetto del Governo di apportare modifiche, nella legge di stabilità del prossimo anno, alla riforma Monti-Fornero del 2011, per quanto riguarda sia la questione dei c.d. esodati, sia taluni aspetti che il ministro considera troppo rigidi relativamente all’età del pensionamento.

 

Certo, se il bilancio dello Stato se lo potesse permettere, della riforma Fornero andrebbero corrette alcune asprezze. Guai, però, a vagheggiare – è questo l’obiettivo di chi vorrebbe più flessibilità per quanto riguarda l’età della quiescenza – un possibile ripristino del pensionamento di anzianità (di cui le norme del decreto Salva-Italia hanno disposto il superamento) che ha rappresentato, per decenni, il principale fattore di insostenibilità e di instabilità del sistema. Anche la questione degli “esodati” – che suscitò tanto clamore (in grande misura strumentale ed esagerato nei numeri), nella trascorsa legislatura – ha trovato soluzione mediante ben sei sanatorie ( che interessano, a regime, 170mila persone per l’ammontare di 12 miliardi), l’ultima delle quali è stata possibile, proprio in conseguenza dei risparmi derivanti da talune disposte in precedenza.

 

Il Paese non può tornare alla situazione ante-riforma. Ancora nel 2010, l’età media di coloro che percepirono il trattamento di anzianità era pari a 58,3 anni se dipendenti, a 59,1 anni se autonomi. È doveroso, invece, accettare che – in conseguenza dei trend demografici presenti e attesi – occorrerà lavorare più a lungo ed investire, quindi, in politiche a favore dell’invecchiamento attivo, piuttosto che consentire l’andata in pensione di persone ancora in grado di svolgere un’attività. Come si affronterebbe, altrimenti, la bomba dell’invecchiamento, destinata a trasformare la struttura stessa della popolazione? In Italia, l’attesa di vita media per una persona di 65 anni, che nel 2015 è pari a 18,6 anni, se uomo, e a 22,2, se donna, salirà a metà del secolo, rispettivamente a 22 e a 25,3 anni. Ma ci saranno più over80enni che ragazzi con meno di 14 anni, mentre raddoppierà il rapporto tra gli ultra65enni e la popolazione in età di lavoro.

 

Saranno proprio le esigenze del mercato del lavoro a richiedere di lavorare più a lungo; e ciò consentirà di rendere più elevato il livello dei trattamenti, proprio perché il prolungamento della vita attiva è indicato, ovunque, come lo strumento più idoneo per assicurare una migliore adeguatezza delle prestazioni. Invece, nel dibattito di queste settimane, sono stati ripescati, chissà dove, 46mila nuovi “esodati” meritevoli di tutela, nonostante che il Senato avesse votato un odg con il quale si invitava il Governo a considerare chiusa questa partita e a risolvere altrimenti (attraverso gli ammortizzatori sociali) eventuali residue situazioni. Del resto, nella legge di stabilità, fino a tutto il 2017, si è già provveduto al ripristino del pensionamento di anzianità (abrogando quel simulacro di penalizzazione economica che era previsto prima dei 62 anni).

 

In sostanza, resta radicata l’idea che, ad una certa età, se si perde il lavoro, l’alternativa rimanga soltanto quella del pensionamento. Il Ministro Poletti ha “richiamato in servizio” talune proposte già impostate dal suo predecessore Enrico Giovannini: la staffetta anziano/giovane con totale copertura figurativa dei contributi a favore del primo, affinché non fosse penalizzato l’importo della pensione; l’idea dell’acconto – come prestito restituibile a rate – sulla pensione spettante, in caso di perdita del lavoro in prossimità della maturazione dei requisiti. La prima soluzione non avrà seguito a causa dei suoi costi; la seconda, invece, è quella più “approfondita” e quindi più probabile. L’Inps ne ha stimato anche l’onere in circa 400 milioni l’anno che potrebbero essere ricavati da un pesante giro di vite (grazie al ricalcolo col metodo contributivo) sulle pensioni più elevate. Tuttavia, per avere consistenza, il taglio dovrebbe coinvolgere non solo le “pensioni d’oro” ma anche quelle di “bronzo”.

 

Poi, sullo sfondo c’è sempre il big bang: come studiare una soluzione di carattere strutturale tale da consentire quella flessibilità sull’età pensionabile che viene sollecitata da tutti i gruppi di un Parlamento e che, a quanto pare, gode anche dell’appoggio dell’esecutivo? Il progetto non ha avuto fino ad ora – e per fortuna – seguito non solo per la mole di risorse che sarebbero occorse, ma anche perché rimane politicamente rischioso manomettere gravemente la riforma Fornero a cui il Paese deve tanto del suo recupero di credibilità sui mercati internazionali.

 

Nel frattempo, e in conclusione, la rubrica “Politically(in)correct” non può non sottolineare l’importanza dell’operazione-trasparenza avviata dal neopresidente dell’Inps Tito Boeri, con il servizio home page “A porte aperte”, in cui saranno denunciate le “stranezze” di un sistema previdenziale debole con i forti e forte con i deboli. L’Inps ha cominciato pubblicando i dati riguardanti il Fondo speciale per il trasporto aereo (di cui si è parlato recentemente a proposito degli importi degli assegni della cassa integrazione), il cui finanziamento si basa, quasi interamente, sul sovrapprezzo che gli italiani pagano per ogni biglietto aereo. Un semplice dato fornisce il quadro della situazione: il Fondo preleva circa 220 milioni all’anno dai contribuenti, un ammontare che è superiore al finanziamento annuo per la lotta alla povertà attraverso il Sostegno di inclusione attiva.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Docente di Diritto del lavoro UniECampus

 

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