Politically (in)correct – Salario minimo legale: una battaglia sulla comunicazione di ‘’misure bandiera’’

Bollettino ADAPT 24 luglio 2023, n. 28

 

Domani in Commissione Lavoro vi sarà la prova generale di una nuova puntata della telenovela “Aboliamo il lavoro povero, come abbiamo abolito la povertà”. Andata in scena nei primi giorni di luglio, dopo che la “compagnia del campo largo” aveva clamorosamente fallito l’esordio nelle elezioni regionali del Molise, in poche settimane il nuovo serial ha dominato ai botteghini, sui grandi quotidiani del club “amici degli amici”, sui talk show ancora attivi. Sulla proposta di legge delle opposizioni (meno IV) sul salario minimo legale, condivido quanto ha scritto, nel numero scorso del Bollettino ADAPT, Francesco Nespoli nell’articolo Poche simulazioni e tanta astrazione. Il muro contro muro del salario minimo comunicato. Nespoli  ha colto nel segno: strada facendo il dibattito e la polemica sullo smic, alla Camera e nel Paese, sono divenuti – come al solito – una battaglia di comunicazione e cioè: “se è vero che la proposta di legge firmata dalle opposizioni  – ha scritto Francesco – non è stata comunicata mirando ad intavolare un confronto, bensì come “misura bandiera”, la scelta speculare del governo di sopprimere l‘intera proposta per emendamento presta ora il fianco a una narrazione delle più stereotipate  (come quelle a cui stiamo assistendo, ndr) e rischia di innescare una spirale al rialzo per le tensioni in campo”.

 

Riassumendo, le minoranze non avevano come principale obiettivo quello di avviare un percorso per l’istituzione del salario minimo in Italia (si sono guardate bene dal farlo quando erano maggioranza e ben due leggi – la riforma Fornero del mercato del lavoro del 2012 e il jobs act del 2014-2015 – ne prevedessero l’introduzione), ma di denunciare all’opinione pubblica la perfida contrarietà della destra a migliorare milioni di “salari da fame” (è il nuovo luogo comune che va di moda adesso). Se non fosse stato così solo degli sprovveduti avrebbero optato per chiedere – come è diritto delle minoranze – la calendarizzazione di una pdl di loro scelta. Era, infatti, scontato che la maggioranza si avvalesse di un emendamento soppressivo e chiudesse il discorso, non solo perché espressamente contraria (si veda la risoluzione approvata in Aula nel dicembre scorso) e con buoni argomenti, ad una disposizione sul salario minimo, ma anche per il semplice motivo che una maggioranza non si adegua pedissequamente ad un atto delle minoranze, regalando loro un successo politico su di una materia, che peraltro, a  suo avviso non farebbe l’interesse dei lavoratori e del Paese.

 

Ma, per quanto sprovveduti, i gruppi di opposizione non sono stati così sciocchi di mettere, incautamente, il collo sotto la mannaia della maggioranza. Anzi, alla fine hanno condotto un’azione spregiudicata che per ora ha pagato sul piano appunto della comunicazione. In sostanza hanno sfidato la maggioranza ad usare la mannaia, convinti però che essa non avrebbe avuto il coraggio di farlo. Perché nel frattempo è scesa in campo la forza del populismo che ha la capacità di semplificare i problemi, senza risolverli. E’ facile ottenere il consenso quando la spiegazione la capirebbe anche un bambino. Ecco la narrazione corrente: in Italia ci sono circa tre milioni di lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria, inferiore a 9 euro lordi (sull’aggettivo lordo o netto permangono ambiguità). È un’emergenza a cui occorre provvedere al più presto. E ci deve pensare lo Stato: la pdl prevede infatti che sia costituito nella legge di bilancio un fondo che aiuti le imprese ad adeguare i salari al minimo legale. È impressionante lo scatenamento di un populismo di nuovo conio che ha accompagnato e foraggiato lo scontro tra maggioranza e opposizioni sul salario minimo legale.

 

In conclusione– come ha sostenuto Nespoli – “il punto di partenza del nuovo capitolo della vicenda “salario minimo” è una proposta che, come molti altri capitoli del tema “lavoro”, viene comunicata facendo ricorso a semplificazioni più o meno strumentali condotte non secondo il principio di realtà (e dunque di complessità), ma secondo il “principio di principio”. In questo caso specifico però, a differenza di dibattiti già visti, la comunicazione politica dei proponenti – ha incalzato Nespoli – ha teso a nascondere o trascurare gli effetti paradossali della misura. Effetti cioè che potrebbero andare a colpire non l’economia e la società nel suo complesso o le “controparti”, ma proprio coloro che dovrebbero essere i diretti beneficiari della garanzia legale (ossia i lavoratori poveri), nonché i salari medi e le organizzazioni sindacali storicamente dedicate alla tutela dei lavoratori (e tendenzialmente considerate un valore nella prospettiva culturale dei firmatari della proposta)’’. Come è stato possibile alle opposizioni di mettere in crisi la linea Maginot della destra? Per due ordini di motivi. Il primo: la maggioranza non ha lo spessore culturale per spiegare le sue motivazioni anche se sono giuste e corrette. E ciò perché – questo è il secondo motivo – le semplificazioni del populismo sono implacabili.

 

Ai tempi di quota 100 faceva aggio un ragionamento banale, che poi si è rivelato fasullo alla prova dei fatti. Ma chi è in grado di contestare l’assioma per cui se un anziano va in pensione entra un giovane al suo posto? E se FI, vedova di Berlusconi, riprendesse la proposta, deleteria per il sistema, di una pensione minima a 1000 euro al mese non sarebbe facile criticare una soluzione siffatta, soprattutto se grandi quotidiani e tv si mettessero come hanno fatto adesso, senza vergogna, sul salario minimo a versare lacrime amare sui poveri pensionati che non arrivano alla fine del mese. Ecco perché dovrebbero essere le opposizioni a non infilarsi in percorsi irresponsabili; ma anche le maggioranze non dovrebbero esitare ad usare la mannaia di cui dispongono in base alla legge dei numeri. Meloni in molti casi ha saputo dimostrare una certa fermezza. Nelle ultime ore la maggioranza è uscita dall’angolo, proponendo un rinvio a settembre. Se tiene duro e non accetta di ritirare l’emendamento costringe le minoranze ad andare allo sbaraglio o ad incassare una sconfitta.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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