LโIstat ha pubblicato il 21 gennaio la sua ultima indagine sullโinserimento professionale dei dottori di ricerca che conferma il vantaggio competitivo dei percorsi di dottorato. Lโindagine, riferita ai titoli conseguiti nel 2008 e nel 2010, rivela che รจ occupato oltre il 92% dei PhD in uscita dalle universitร italiane e la maggior parte di essi (circa il 75%) svolge attivitร di ricerca e sviluppo sul luogo di lavoro (sia esso pubblico o privato). Rispetto alla precedente rilevazione fatta nel 2009 i dati occupazionali mostrano soltanto una lieve contrazione (che sembra fisiologica considerata la crisi economica) ma restano comunque migliori rispetto ai quelli che riguardano percorsi di laurea e diploma.
Lโelevata employability del dottorato riguarda tutte le aree disciplinari: in media il 96% dei PhD in Matematica e Ingegneria /ITC รจ occupato, mentre piรน bassa, ma significativa, lโoccupazione per i PhD in scienze pedagogiche, storiche, filosofiche (in media lโ88%). Si tratta comunque di una differenza consistente rispetto ai percorsi di laurea dove lโarea disciplinare (e la fatidica scelta della facoltร ) รจ uno dei fattori piรน determinanti del futuro stato occupazionale: infatti come la stessa Istat ha mostrato su dati 2008, a 5 anni dalla laurea, le facoltร medico-scientifiche permettono allโ80% dei laureati di lavorare. Mentre quelle umanistiche restano stabilmente sotto la soglia del 70%. Nella retribuzione dei PhD lโarea disciplinare รจ invece determinante: i redditi piรน alti a 6 anni dal titolo sono dei PhD in medicina, matematica, ingegneria, giurisprudenza, economia (circa 1,900 euro netti/mese). Piรน modesti i risultati economici delle scienze umane (circa 1,450 euro netti/mese).
Il dato occupazionale forse piรน inaspettato รจ che il 30% totale dei PhD lavorava giร prima del conseguimento del titolo: il binomio dottorato-lavoro risulta dunque piรน diffuso di quanto si creda. Questo nonostante la tradizione accademico-centrica italiana e lโassenza di un quadro normativo in grado di valorizzare adeguatamente questi percorsi. Per chi ha giร una laurea e un lavoro il dottorato รจ strumento di relativo miglioramento della condizione lavorativa: lo pensa il 20% dei PhD che ha dichiarato di aver effettivamente migliorato la propria posizione. Meno soddisfacenti gli incrementi di stipendio per i PhD giร lavoratori: in media il 16% di loro dichiara di aver ricevuto una maggiore retribuzione dopo il conseguimento del dottorato. La maggior parte dei PhD giร lavoratori proviene dalle aree socio-umanistiche: ad esempio i PhD in scienze giuridiche erano per oltre il 50% giร lavoratori. Cosรฌ come i PhD in lettere (37%) ed economia (34%). Tale risultato confermerebbe la maggiore forza occupazionale dei dottorati tecnico-scientifici che consentono di entrare direttamente nel mercato del lavoro senza prima essere giร lavoratori.
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Una delle difformitร piรน evidenti rispetto alla scorsa indagine รจ la crescita di PhD occupati con un lavoro a termine: si passa dal 35,1% dellโindagine 2009 al 43,7% dellโindagine 2014. Per lavori a termine lโIstat considera un ampio ventaglio di tipologie: prestazioni dโopera occasionale, borse di studio, assegni di ricerca, lavori a progetto, contratti a tempo determinato. Assegni e borse di studio coprono il 27% dei rapporti di lavoro totali dei PhD del 2010, mentre erano soltanto il 17% nel 2010. A diminuire fortemente sono invece i rapporti di lavoro a tempo indeterminato: si passa dal 42% totale del 2008 al 32% del 2010. Come un rapido confronto sembra suggerire si puรฒ ipotizzare che il -10% di contratti a tempo indeterminato corrisponda al +10% di borse di studio per i PhD: una conferma che i datori di lavoro di PhD privilegino rapporto di tipo temporaneo piรน legate agli specifici obiettivi di una determinata ricerca.
Lโindagine sui PhD permette di affrontare anche due questioni che riguardano, piรน in generale, le criticitร occupazionali nel nostro Paese: le disuguaglianze di genere e territoriali. Dai dati emerge come le donne PhD italiane, nonostante i vantaggi competitivi del titolo, abbiano piรน difficoltร degli uomini nel mercato del lavoro: il tasso di occupazione delle donne PhD รจ in media di 2 punti percentuali piรน bassa rispetto agli uomini, 10 punti percentuali sono invece il distacco tra donne e uomini per contratti a termine. Ancora: 3 donne PhD su 10 svolgono attivitร per nulla attinenti con la ricerca e lo sviluppo, mentre gli uomini nella stessa situazione sono 2 su 10. Il divario tra generi si consolida anche sul piano retributivo: le donne hanno redditi piรน bassi anche perchรฉ il 19,5% di loro ha un lavoro part-time (contro il 9% degli uomini). Sulle differenze territoriali invece, i dati sono positivi rispetto alla tendenza generale: tra i dottori del 2010 il 93% di quelli provenienti dal Nord รจ occupato, cosรฌ come il 92% del Centro, lโ86% di quelli al Sud, lโ88% delle Isole.
Altro tratto caratteristico del mercato del lavoro nazionale รจ la c.d. โfuga dei cervelliโ, fenomeno che interessa circa il 30% dei laureati ma che per i dottori di ricerca sembra essere piรน contenuto e piรน connaturato allโattivitร di ricerca. Rispetto allโindagine 2009 nel 2014 si registra un +6% di PhD italiani che lavorano abitualmente allโestero (rappresentano in totale il 13% dei nostri PhD). Si spostano di piรน i dottori di ricerca in Fisica (31%) Matematica e Informatica (22,3%), molto bassa invece lโemigrazione dei PhD in scienze giuridiche (7,5%). Che la scelta di andare allโestero sia legata a interessi scientifici รจ dimostrato dal fatto che i paesi scelti per emigrare siano quelli riconosciuti come eccellenti per determinate discipline: cosรฌ la Francia per le scienze matematiche, la Germania per le scienze filosofiche, il Regno Unito per chimica e ingegneria, gli Stati Uniti per medicina e biologia.
Il report dellโIstat รจ stata anche lโoccasione per conoscere il grado di soddisfazione dei PhD italiani dopo lโesperienza di dottorato. Con risultati piuttosto negativi. Se la qualitร del corpo docente e il grado di collaborazione con ricercatori e docenti รจ un punto di forza dei dottorati italiani, il giudizio sulla quantitร delle attivitร formative offerte dal dottorato non รจ sufficiente. Circa il 30% dei PhD non rifarebbe lo stesso percorso di dottorato soprattutto per lโinsoddisfazione rispetto agli sbocchi occupazionali: i piรน delusi sono i dottori di ricerca in scienze economiche e scienze giuridiche, probabilmente per la difficoltร di inserimento e carriera soprattutto nel settore privato che privilegia PhD di tipo tecnico-scientifico.
I dati Istat offrono anche uno spaccato del profilo dei dottorandi e dei dottori di ricerca nel nostro paese. Si tratta di individui molto performanti nel percorso universitario (il 71,5% dei PhD ha conseguito voto di laurea superiore a 108) e che conseguono il titolo di dottorato in media a 32 anni. Il 70% dei PhD ha partecipato a progetti di ricerca in Italia o allโestero durante il dottorato, ciascun dottore di ricerca ha pubblicato in media 7 articoli, mentre 1 PhD su 4 ha pubblicato volumi monografici o capitoli di volumi. In aggiunta lโ11% dei PhD dopo il dottorato ha conseguito altra laurea, master o dottorato.
Dal quadro emerso si puรฒ dedurre comunque che i PhD italiani siano il meglio del capitale umano del Paese, anche se non sempre le loro competenze sono messe a valore in modo adeguato. La poca attenzione a questo percorso formativo paga i ritardi culturali del nostro Paese: in tutti i paesi avanzati il dottorato di ricerca si รจ progressivamente aperto allโindustria e al territorio, grazie a modelli innovativi di โalternanza ricerca-lavoroโ come il dottorato industriale (modello Danimarca) o il dottorato professionale (modello Regno Unito). In Italia il dottorato invece รจ ancora percepito come semplice passaggio per diventare ricercatore e docente universitario (anche se solo 1 Phd su 4 ce la fa) mentre il modello โdottorato industrialeโ, introdotto nel 2013, non รจ ancora diventato un percorso formativo diffuso, sia per criteri di accreditamento piuttosto limitanti elaborati dallโANVUR, sia per vincoli burocratici che lo rendono poco appetibile per le aziende.
Eppure nel nostro Paese non mancano casi di successo che permettono lโincontro con i lavoro e lโindustria giร durante il percorso di dottorato (ad esempio il modello Adapt), o lโinserimento dei PhD in azienda (il progetto โPhD ITalentsโ di Crui e Confindustria). Sono modelli che dimostrano come da parte delle imprese ci sia molto interesse verso i dottori di ricerca e che esistono valide alternative alla carriera accademica. Assente รจ invece un ragionamento complessivo sul ruolo del dottore di ricerca nello sviluppo economico italiano e sul suo effettivo impatto nella realtร aziendale e territoriale.
Anche lโIstat nel suo rapporto mostra questo limite: il dato di un basso tasso di disoccupazione dei dottori di ricerca, invero abbastanza prevedibile, non รจ sufficiente a fornire rassicurazioni sulla qualitร di questi percorsi. La qualitร dovrebbe invece essere misurata sul piano dellโavvio di rapporti di cooperazione tra universitร e imprese che facciano crescere i territori e il sistema produttivo. Finora Eurostat ha mostrato che in Italia i ricercatori in impresa sono il doppio dei ricercatori nel settore pubblico. Manca tuttavia una rilevazione specifica sui risultati che lโinnesto di competenze legate al mondo della ricerca producono nelle aziende italiane: un vuoto da colmare per capire come il dottorato possa davvero essere non soltanto strumento di ingresso nel mondo del lavoro ma soprattutto strumento di crescita del Paese.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Universitร degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo