Perché la formazione e il lavoro per i poveri sono ancora un miraggio*

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Bollettino ADAPT 26 giugno 2023, n. 24
 
Mentre prosegue l’iter di conversione del decreto che supera il Reddito di cittadinanza (RdC) le stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio aggiungono nuove criticità. Infatti dalle analisi emerge come i beneficiari del nuovo Assegno di Inclusione (Adi) sarebbero circa il 40% in meno rispetto al vecchio strumento, che perderebbe quindi la dimensione di universalismo selettivo in virtù della nuova definizione di “occupabile”. Sulla carta però questo dato significa poco, perché non considera che per la maggior parte delle persone escluse il governo introduce un nuovo strumento, il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl). Se questo fosse uno strumento di supporto vero per persone in stato di povertà, semplicemente con una maggior presenza di una tensione lavoristica, non sarebbe un problema, ma non è così. In primo luogo non si tratta di uno strumento di reddito minimo ma di una indennità di partecipazione che verrà erogata solo a chi ha iniziato un progetto di “formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro” e nel limite di 350 euro mensili per un massimo di 12 mesi, non rinnovabile.
 
Questo modello sembra fondarsi sull’idea che, per le persone considerate occupabili, non serva un sussidio generale ma solo un trasferimento economico connesso ad una specifica attività che ne confermi, e in qualche modo ne stimoli, l’attivazione, e da qui la forma dell’indennità di partecipazione. Un principio porta a distinguere in questo caso nettamente tra uno strumento (Adi) di contrasto alla povertà e a un altro (Sfl) che dovrebbe essere invece uno strumento di politica attiva, ma questo porta con sé almeno due problemi non banali. Il primo è che per anni, giustamente e alla luce dei dati, ci si è profusi in critiche sull’inefficienza del sistema delle politiche attive in Italia e dell’efficacia dei servizi per il lavoro, soprattutto quelli pubblici. E ora, pur coscienti che poco o nulla è cambiato su questo fronte, si affida completamente la sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone al fatto (che parrebbe così dato per scontato) che troveranno un corso di formazione mediante lo stesso sistema di servizi per il lavoro (pur con l’introduzione della nuova piattaforma) che si è rivelato per così tanto tempo inefficace. E non solo lo troveranno, ma lo troveranno subito (perché nel frattempo rimarranno senza sussidio), e questo avverrà a partire dagli stessi servizi al lavoro che, ad esempio, con Garanzia Giovani hanno lasciato altrettante centinaia migliaia di persone registrate senza alcuna proposta.
 
Tra le fonti che sembrano confermare questi timori c’è l’andamento del piano GOL, sulla cui infrastruttura inevitabilmente si innesterà il Sfl. Ad oggi le persone sono state prese in carico ma molto poco è stato fatto sul fronte della loro concreta attivazione con solo il 14,6% dei percettori di RdC occupato. Inoltre se già è difficile dare per scontato che si verrà inseriti rapidamente in uno dei corsi di cui sopra, ancor più difficile è immaginare che questo porti automaticamente a trovare un lavoro. Perché spesso si dimentica le caratteristiche soggettive di questa platea di occupabili, in larga parte persone che non lavorano da molti anni, con un livello di alfabetizzazione molto basso, senza competenze necessarie a chi dovrebbe assumerli. Dalle rilevazioni fornite da Anpal in sede di audizione sul decreto, che analizzano qualitativamente la platea dei beneficiari del RdC indirizzati ai Centri per l’Impiego, emerge come tre quarti di questi non abbiano alcuna esperienza lavorativa nell’ultimo triennio e il 10% sia disoccupato da più di 12 mesi.
 
Nell’ambito del piano GOL è stata prodotta una profilazione quantitativa degli iscritti al piano che, sulla base delle Dichiarazioni di Immediata Disponibilità (DID) al lavoro rilasciate tra il 2018 e il 2019 (3,4 milioni di persone), stima la probabilità di rimanere disoccupato per più di un anno in relazione alle caratteristiche del lavoratore. Dividendo i lavoratori in rischio basso (alta probabilità di trovare lavoro entro l’anno) e rischio alto (alta probabilità di disoccupazione di lungo periodo) solo uno su 5 tra tutti risulta work-ready, nel caso dei soli beneficiari di RdC questo numero scende a uno su 30. Sono dati che mostrano come la definizione di occupabili costruita sulla base unicamente di elementi anagrafici ometta una serie di difficoltà delle persone senza lavoro che non sempre, come si parrebbe supporre, sono in queste condizioni per loro volontà.
 
In aggiunta a questo, è difficile comprendere la scelta di prevedere un incentivo per le imprese che assumono unicamente beneficiari di Adi e non di Sfl, che dovrebbero essere invece coloro che hanno la maggior urgenza anche considerata la scarsa indennità oltre al loro versare in condizioni economiche peggiori degli altri, in virtù del requisito d’accesso ISEE di soli 6.000 euro.  Sembra che si diano quindi per scontati una serie di elementi che non lo sono, ultimo il fatto che una impresa, fosse anche in difficoltà nel trovare personale, assuma chi ha profili molto critici che spesso difficilmente possono essere sanati da brevi corsi di formazione. In questo senso è sicuramente positivo un maggior coinvolgimento delle agenzie per il lavoro, ma considerati i profili trattati è comunque difficile immaginare un loro ruolo attivo (e forse anche un loro interesse) nell’intermediazione di persone che non sono pronte per il lavoro.
 
Il rischio che emerge è che molti dei potenziali beneficiari dello Sfl verranno spinti ad accettare lavoretti, magari in nero e di scarsa qualità e durata poiché non hanno le risorse necessarie per la loro sussistenza. E qui emerge un ulteriore elemento di criticità, ossia il fatto che è difficile comprendere il perché una persona impegnata in questi percorsi, e che quindi manifesta una volontà di attivazione mediante la sottoscrizione non solo del patto di servizio ma anche dell’accettazione di una proposta formativa, debba percepire una indennità bassissima (350 euro) con la quale, è evidente a tutti, è impossibile vivere poiché ampiamente al di sotto della soglia di povertà assoluta. Se una persona si è attivata e viene peraltro dato per scontato, come appare, che quel percorso lo porterà a un lavoro certo allora dovrebbe percepire la cifra almeno pari a quella di chi non è attivo per altre ragioni (non-occupabile), salvo non voler tradire una intenzionale finalità punitiva nei suoi confronti che però mal si combina con la volontà di creare un vero incontro tra domanda e offerta di lavoro.
 
Manca quindi un chiaro disegno riformatore. In sua assenza non si farà altro che ripetere lo stesso errore dell’impianto originario dello strumento, con l’aggravante della forte penalizzazione di persona in larga parte già in difficoltà. Se infatti il malfunzionamento del Reddito di cittadinanza portava comunque a una distribuzione in eccesso di risorse senza che queste implicassero una vera attivazione, in questo caso pare avvenga il contrario. Il malfunzionamento si traduce in una riduzione di risorse a una fetta ampia di popolazione che si troverà senza reddito e senza lavoro. In entrambi i casi, Rdc e nuove misure, il problema è generato dalla stessa causa, ossia la mancata volontà di una profonda riforma del sistema delle politiche attive del lavoro in Italia. E così facendo si ricade nello stesso inganno di fagocitare tutto il tema delle politiche attive all’interno del discorso sui sussidi per la povertà, e quindi rendendole di fatto inefficienti sia per la fascia bassa che per quella alta del mercato del lavoro. La colpevolizzazione degli occupabili diventa così il nuovo alibi per non riformare il mercato del lavoro italiano davanti alle sfide che l’economia e la società di oggi gli sta continuamente lanciando. E quindi non potremo che osservare, a breve, il riaffermarsi delle vecchie logiche che agiscono incontrollate: lavoro irregolare, mancato incontro tra domanda e offerta, proliferazione di lavoro a basso valore aggiunto.
 
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz
 
*pubblicato anche su Domani, 21 giugno 2023

Perché la formazione e il lavoro per i poveri sono ancora un miraggio*
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