Manovra finanziaria e salari: perché tassare l’ordinario quando ancora non decollano le misure di incentivazione della contrattazione di produttività?
| di Giulia Comi, Marco Menegotto, Jacopo Sala, Francesco Seghezzi, Silvia Spattini, Michele Tiraboschi
Bollettino ADAPT 8 settembre 2025, n. 30
Non è mancato neppure quest’anno – nel dibattito pubblico – l’appuntamento agostano per la costruzione della prossima legge di bilancio.
Tra le diverse proposte per il recupero del potere d’acquisto dei lavoratori, si è iniziato ad ipotizzare un sistema di incentivazione economica non solo delle quote di retribuzione relative a straordinari e lavoro festivo, ma anche delle somme legate alla puntualità dei rinnovi dei CCNL.
Anche accantonando dibattiti più o meno teorici circa l’opportunità o meno dell’interventismo del Legislatore su una materia – quella dei termini e dei tempi dei rinnovi contrattuali – di stretta gestione intersindacale, una simile misura non pare potersi giustificare neppure sul piano dei dati empirici. Nel settore privato abbiamo infatti ormai archiviato positivamente la stagione dei rinnovi del settore del terziario e le dinamiche di rinnovo del 2024 sono apparse in linea con tempistiche ordinarie – i mesi di vacanza contrattuale sono stati mediamente 4,1 – (v. ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2024). XI Rapporto ADAPT), e anche laddove si creino situazioni di stallo il meccanismo dell’ultrattività garantisce comunque l’incremento dei trattamenti minimi a regole vigenti (G. Impellizzieri, Clausole di ultrattività e adeguamenti evitano il vuoto in caso di ritardi). Nel settore pubblico, invece, il ritardo dei rinnovi raggiunge i 36 mesi, ma qui vige l’indennità di vacanza contrattuale e con gli ultimi provvedimenti si nota il tentativo di riallineare il ciclo negoziale.
Il rischio della proposta è di incentivare quello che è l’ordinario, senza cioè un reale collegamento con le esigenze di incremento della competitività – in termini di produttività, redditività, efficienza, qualità ed innovazione dei processi e dei prodotti – nonché dei salari a questa legati.
Collegamento che invece ben aveva immaginato il Legislatore del 2015-2016 (legge n. 208/2015 e s.m.i), senonché la reportistica del Ministero del lavoro sulla contrattazione decentrata – oggetto di studio in un nuovo working paper realizzato da ADAPT e di prossima pubblicazione – evidenzia grandissime criticità: la produttività resta difficile da incentivare in modo efficace. È, proprio, su questo fronte che dovrebbe ora concentrarsi la manovra finanziaria anche per rendere maggiormente effettive e trasparenti le misure pubbliche di incentivazione e i relativi monitoraggi, fermo restando che la contrattazione decentrata, ancora oggi, si applica a un numero davvero limitato di lavoratori italiani (quasi un quarto dei dipendenti privati per lo più concentrati nel Nord Italia) e per cifre tutto sommato contenute (nel 2024 la media stimata è di poco meno di 1.500 pro-capite).
Tali report non consentono una indagine in profondità dei profili più interessanti della vicenda, tra cui certamente gli effettivi obiettivi e indicatori contrattati, i valori in gioco e le quote di retribuzione effettivamente erogate e/o convertite in beni e servizi welfare. Valori che pure potrebbero essere elaborati e comunicati mediante aggregazione di dati raccolti tramite le certificazioni uniche (guardando alla voce “imposta sostitutiva premio di risultato”).
Ciò stupisce ancora di più se si considera l’enorme sforzo economico sostenuto dalla finanza pubblica in termini di coperture per le minori entrate. Un dato su tutti. Con l’ultima legge di bilancio (legge n. 207/2024) che ha garantito anche per il triennio 2025-2027 la tassazione dei premi di risultato contrattati al 5% anziché al 10%, il sistema dovrà farsi carico di un onere finanziario (costituito da minori entrate tributarie) pari a 163 milioni di euro/anno (dati della relazione tecnica di passaggio presentata in Senato per la seconda lettura del disegno di legge).
Meglio farebbe dunque il decisore pubblico a proseguire nell’incentivazione di strumenti negoziali volti all’incremento della produttività verificandone l’effettività con strumenti nuovi di controllo e monitoraggio qualitativo e quantitativo.
Senza scadere nell’incentivazione dell’ordinario, si potrebbe intervenire in parallelo all’esistente con alcune misure concrete e di impatto circoscritto, ma sempre legate alla produttività, come ad esempio:
– la detassazione delle quote di retribuzione di garanzia (c.d. elemento perequativo o elemento di garanzia) previste, ormai abbastanza diffusamente, dalla contrattazione nazionale a copertura delle realtà prive di contrattazione di produttività, prevedendo un’aliquota sostitutiva comunque (leggermente) superiore a quella garantita per i premi di risultato, condizionando l’applicabilità a somme superiori ad una certa soglia di riferimento, scongiurando così l’eterogenesi dei fini (cioè la fuga dalla contrattazione di produttività per comodità o per attestarsi su importi inferiori);
– la decontribuzione parziale degli importi erogati come premio di risultato.
Giulia Comi
Apprendista di Ricerca ADAPT
Ricercatore Senior ADAPT
ADAPT Research Fellow
X@_jacoposala
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
X@francescoseghezz
Silvia Spattini
Ricercatrice ADAPT
X@SilviaSpattini
Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia
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