Lezioni di Employability/28 – Giovani e lavoro in Italia, attraverso l’analisi di 170 CV di studenti universitari

Studiosi e operatori del mercato del lavoro ormai concordano: per avere una esatta misura della distanza tra giovani e imprese basta guardare a come i ragazzi affrontano la ricerca di lavoro, dalla stesura del curriculum vitae al colloquio. Internet è inondata di vademecum e regole d’oro su come comunicare se stessi e le proprie esperienze, ma a guardare bene “oltre la forma”, i CV dei giovani italiani raccontano molte cose, più che su questi stessi giovani sul sistema all’interno del quale i loro CV (e i loro percorsi di studio, vita, lavoro) prendono forma.
 
In un’aula dell’Università di Bergamo, venerdì scorso, un esercizio di analisi di 170 CV di studenti universitari è stato il punto di partenza di un ragionamento che partendo dal concetto di employability ha portato docenti, ricercatori e dottorandi del Dottorato in formazione della persona e mercato del Lavoro a interrogarsi sugli elementi sistemici che nel nostro Paese determinano il drammatico skills mismatch di cui ha parlato anche l’ILO in un recente rapporto.
 
I CV manifestano certamente una generalizzata debolezza sul piano delle tecniche di redazione. Queste però non dovrebbero essere affidate ai consigli di Careers Angels a volte improvvisati sul web, ma dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte delle istituzioni educative e dei docenti. Troppo spesso, invece, si registra un totale disinteresse rispetto al collegamento tra i contenuti del percorso didattico e il tema delle competenze necessarie sul mercato del lavoro, tanto che le stesse istituzioni europee accusano da anni il sistema educativo italiano di essere ancora autoreferenziale, mentre da tempo i Paesi più avanzati hanno compreso l’importanza del radicamento delle università e delle istituzioni educative e di ricerca, più in generale, nel loro tessuto economico e sociale (vedi a tal proposito il rapporto inglese Univer-cities, the knowledge to power UK metros).
 
Altro elemento che emerge chiaramente dall’analisi dei CV è la frammentarietà e spesso il disordine dei percorsi lavorativi dei giovani (o meglio di quanti sono entrati “precocemente” nel mercato del lavoro). Certamente emerge la difficoltà di dare coerenza ex-post alle proprie esperienze, ma si fa strada anche il dubbio che alla base ci sia in molti casi la difficoltà (sistemica) di affermare la vera alternanza scuola-lavoro, quella “virtuosa”, in cui le esperienze lavorative sostengono la formazione della persona e la sostanziano, piuttosto che rappresentare “varie ed eventuali” da elencare in fila e magari far scomparire dal CV appena possibile. Emerge cioè l’assenza di una vera alternanza formativa, laddove anche in presenza di percorsi caratterizzati da esperienze di studio e di lavoro, i CV riportano i titoli di studio da una parte e le competenze professionali cristallizzate altrove, nel migliore dei casi.
 
Nei casi peggiori (e più frequenti) le competenze nei CV non trovano asilo, o vengono ingabbiate negli schemi per esse predisposti nel formato europeo di CV senza una particolare opera di autoriflessione. Anche a fronte di esperienze professionali significative, d’altra parte, non è facile far emergere e poi descrivere le competenze maturate in diversi contesti di apprendimento, e anche laddove si riesca, quale valore hanno queste dichiarazioni? Alla base di tale vuoto c’è la scarsissima diffusione di politiche, pratiche e servizi di validazione e certificazione delle competenze maturate in contesti formali, non formali e informali, senza i quali ben poco valore avranno i restyling di facciata degli strumenti di presentazione, poiché la differenza tra il dire il fare è ben nota ai selezionatori ed un’opera di traduzione delle esperienze in competenze è cruciale al pari dell’opera di conversione dei saperi in pratiche.
 
Il tema è connesso all’assenza (ancora oggi, a quasi due anni dall’istituzione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze con il decreto n. 13 del gennaio 2013) di un quadro di riferimento condiviso, in grado di collegare standard professionali e standard formativi, già introdotto dall’art. 6 del decreto legislativo n. 167 del 2011 e mai compiutamente realizzato. A renderne difficile la realizzazione sono le forti resistenze culturali opposte non solo dalle istituzioni formative, ma da sistemi di classificazione del personale basati su una definizione statica e anacronistica di mansione, sempre meno in grado di cogliere i contenuti delle prestazioni e misurarne il valore, allineando i profili professionali all’evoluzione della domanda di lavoro.
 
La natura e le caratteristiche delle esperienze lavorative riportate nei CV raccontano poi chiaramente quanto lavoro dei giovani non venga adeguatamente inquadrato e regolato e quanto distante sia da queste realtà il dibattito sugli strumenti contrattuali da promuovere, pure così acceso proprio in nome dei giovani.
Certo il lavoro è un valore in sé, ma anche andando oltre la forma, cosa rimane nei CV dei giovani delle loro esperienze? Quanti di loro sono in grado di valorizzarne almeno il contenuto relazionale e il contributo alla creazione di reti di capitale sociale? Si parla molto dell’evoluzione social della ricerca di lavoro, delle possibilità oggi offerte dai social networks professionali, in grado di mostrare non solo esperienze e competenze ma soprattutto reti sociali, ma quanti ragazzi allegano al CV una lettera di referenze? E quanti di loro sanno davvero “tenersi in contatto” (il riferimento è al famoso testo di Casnocha e Hoffman, Teniamoci in contatto. La vita come impresa) con conoscenze professionali cruciali per la loro carriera?
 
Le considerazioni emerse da un semplice esercizio chiamano in causa i pilastri di un efficace sistema di politiche del lavoro, gli stessi richiamati ancora nel rapporto dell’ILO sopra citato e che detta una ricetta tanto semplice quanto difficile da realizzare: «Efficient job placement services, solid labour market information, linkages between training systems and world of work».
 
Lilli Casano
ADAPT Research Fellow
@lillicasano
 
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