Lezioni di Employability/22 – La forza del pensiero

 “Folks can make a lot more potentially with skilled manufacturing or the trades than they might with an art history degree”. Questa la frase che è costata delle scuse ufficiali nientemeno che al Presidente Barack Obama (Cfr. http://www.businessinsider.com/art-history-major-skills-2014-2) e e che è stata recentemente oggetto di una riflessione su Twitter dell’ex Ministro Maria Chiara Carrozza.

 

Spesso al giorno d’oggi, nel pensare all’ingresso nel mondo del lavoro, si tende a considerare con maggior interesse quei percorsi che portano ad acquisire competenze pratiche, concretamente spendibili ed il cui valore sia facilmente quantificabile in una logica produttiva.

Questo è ciò che ha lasciato intendere Obama, che rivolgendosi agli studenti del Wisconsin ha messo l’accento sulla necessità per la nazione di avere individui con capacità tecniche. Messi a paragone con gli studenti di storia dell’arte, questi ultimi a suo dire sarebbero privi di qualsiasi valore per il mercato del lavoro, confermando uno stereotipo che purtroppo esiste e resiste.

 

Chi studia materie umanistiche, chi fa un percorso musicale, pare non avere nessuna caratteristica che risponda alle esigenze delle imprese. Ma la realtà è veramente questa? Nell’articolo 15 Useful Skills You Learn As An Art History Major di Alison Griswold, pubblicato sul Business Insider, viene fatto un interessante esercizio, non solo di stile: vengono elencate, a seguito di una indagine condotta sulle università, 15 skill che un corso di studi in storia dell’arte permette di acquisire. Tra questi spiccano: capacità di analisi e di pensiero critico, capacità di esprimersi e parlare in pubblico, saper scrivere bene, capacità di risolvere problemi e di prendere decisioni, attenzione ai dettagli, capacità di lavorare in autonomia quanto in team…e creatività.

 

Evidentemente ancora spesso associata allo stereotipo dell’artista bohémienne (“Chi sono? Sono un poeta! Che cosa faccio? Scrivo! E come vivo? Vivo!”[1]), questa dote, come molte altre, pare non essere direttamente collegabile con il mondo dell’industria, forse perché non esattamente traducibile in un vantaggio concreto, secondo una mentalità dove il “non quantificabile” sembra essere ostinatamente visto come un minus, mentre non quantificabili sono anche l’estensione dell’Universo, la serie dei numeri, le possibilità geometriche della fantasia.

 

E sì che, ancora oggi, la creatività, lo sguardo di lontano, la capacità di trovare soluzioni inaspettate ai problemi, sono le cose che più ci colpiscono. E che ci servono. Le chiamiamo con altri nomi, più spendibili, più concreti, le chiamiamo “visione strategica”, “problem solving”, le annoveriamo fra le caratteristiche dei grandi manager e degli imprenditori di successo.

 

Senza nulla togliere al valore delle competenze specialistiche, siamo sicuri che le competenze tecniche necessarie non possano anche essere apprese con l’esperienza e con studi successivi per chi proviene da percorsi “alternativi”, ma che porta in sé il valore aggiunto di un percorso inestimabile? Siamo sicuri di non aver perso, con gli anni, la capacità di dare valore al pensiero e di apprezzare chi sa pensare?

 

Alberto Cammarota

ADAPT Junior Fellow

 

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[1] Cfr. Puccini Bohéme

Lezioni di Employability/22 – La forza del pensiero
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