Lavoro tramite piattaforma digitale e subordinazione: il ruolo dell’algoritmo secondo il Tribunale di Palermo

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Bollettino ADAPT 30 novembre 2020, n. 44

 

Alla controversa vicenda circa la natura subordinata o autonoma del lavoro tramite piattaforma digitale che sta interessando, da ultimo, anche la giurisprudenza italiana si aggiunge un altro capitolo importante. Così, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, che, ribaltando la pronuncia del tribunale di primo grado e riformando parzialmente quella della Corte d’Appello, ha sancito la etero-organizzazione ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 del rapporto di collaborazione tra la piattaforma digitale Foodora e i rider, una corte di merito, lo scorso 24 novembre, ha riqualificato il rapporto intercorso tra un rider, che oltre alla dissimulazione di un rapporto di lavoro subordinato, lamentava l’ingiusta disconnessione dalla app, e la piattaforma digitale di anything delivery Foodinho S.r.l. (meglio nota come Glovo) nei termini della subordinazione giuridica ex art. 2094 c.c.

 

In particolare, il Tribunale di Palermo, con sentenza del 24 novembre 2020, n. 3570, dopo aver valutato le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ha dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato tra le parti, condannando il gestore della piattaforma alla reintegrazione del rider nel posto di lavoro, con inquadramento nel VI livello del C.C.N.L. Terziario Distribuzione e Servizi (in quanto contratto applicato dalla azienda ai propri dipendenti) e mansioni di ciclo fattorino addetto alla consegna di merci, cibi e bevande a domicilio, nonché al pagamento di una indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR che il rider avrebbe dovuto percepire dalla data di disconnessione dalla piattaforma sino alla effettiva reintegrazione e dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti.

 

Tale sentenza, oltre ad enunciare importanti principi di diritto, che verranno di seguito brevemente riportati, si caratterizza per un inusuale (almeno nella tradizione giurisprudenziale italiana) richiamo ai precedenti giudiziali stranieri, pur ancorando le proprie motivazioni principalmente alle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e all’orientamento della giurisprudenza interna. Sarà senz’altro opportuno interrogarsi sulla possibilità che questa diventi una tecnica ricorrente e sui possibili benefici o limiti che ne deriverebbero (l’economia del presente articolo tuttavia non permette di affrontare la questione; per una riflessione sul tema si rinvia comunque a M. Biasi, Uno sguardo oltre confine: i “nuovi lavori” della gig economy. Potenzialità e limiti della comparazione, in LLI, vol. 4, n. 2, 2018).

 

Ma entrando nel merito, il Tribunale di Palermo ha ritenuto necessario pronunciarsi preliminarmente sulla natura imprenditoriale o meno della convenuta, avendo tale aspetto un rilievo particolare proprio con riferimento alla qualificazione del rapporto di lavoro. Infatti, come si legge nella sentenza, “se le piattaforme possono considerarsi imprese, si apre, de facto, la possibilità che i suoi collaboratori lavorino per conto (e non semplicemente in nome) della piattaforma stessa e che, dunque, siano inseriti in una organizzazione imprenditoriale, di mezzi materiali e immateriali, di proprietà e nella disponibilità della piattaforma stessa e così del suo proprietario o utilizzatore”; al contrario, qualora la piattaforma si occupasse esclusivamente della intermediazione di domanda e offerta di un servizio, l’organizzazione imprenditoriale dovrebbe imputarsi esclusivamente al prestatore. Pur richiamando più pronunce italiane e straniere (Trib. Milano, sez. spec. Impresa, 15 giugno 2015, n. 23; Trib. Torino, sez. spec. Impresa, 1 marzo 2017, n. 1553; Court D’Appel de Paris, 10 gennaio 2019, n. 18/08357; Cour de Cassation, chambre sociale, 4 marzo 2020, n. 374), dirimente rispetto alla questione citata, secondo il Tribunale di Palermo, è la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, Grande Sezione, 20 dicembre 2017, C-434/15), di cui fa proprie le conclusioni. In particolare, in tale occasione la Corte ha statuito la natura di impresa di trasporto ai sensi dell’art. 58, par. 1, TFUE della piattaforma Uber, posto che la stessa predisponeva un servizio di trasporto di persone, senza lasciare agli autisti non professionisti alcun margine di negoziazione in ordine al costo del servizio e alla sua organizzazione, come di fatto accaduto anche nel caso di specie. Dunque, per il Tribunale di Palermo si è in presenza di una impresa di trasporto e distribuzione e non di una piattaforma di intermediazione di servizi, come enunciato all’interno dei contratti stipulati dalla convenuta e come indicato nel suo oggetto sociale, con la conseguenza che, come tale, ben potrà essere titolare di un rapporto di lavoro subordinato.

 

Il cuore della sentenza risiede, però, nella parte in cui il giudice ricostruisce la prestazione di lavoro del rider, come risultante dai documenti agli atti, alla luce degli elementi tipici della subordinazione. Dopo aver ricordato alcune delle principali sentenze che in altri paesi di civil law si sono pronunciate a favore della autonomia o, al contrario, della subordinazione del rapporto di lavoro tra la piattaforma digitale e il driver o il rider e aver ripercorso gli esiti della vicenda giudiziale italiana relativa al caso Foodora, l’organo giudicante passa in rassegna i principali approdi giurisprudenziali utili alla risoluzione del caso di specie. Anzitutto, il Tribunale ricorda che, se è vero che, come affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1663/2019, il rider libero di scegliere se e quando lavorare non può essere considerato lavoratore subordinato, ma, al più, lavoratore autonomo nell’ambito di una collaborazione organizzata dal committente (e dunque destinatario delle tutele derivanti dalla applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. n. 81/2015), è anche vero che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con ordinanza del 22 aprile 2020, C-692/19, con riferimento alla direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, ha chiarito che non può essere considerato lavoratore subordinato il lavoratore che gode di una certa autonomia anche nel determinare se e quando lavorare, a meno che tale autonomia non risulti fittizia.

 

Il Tribunale di Palermo recepisce tale orientamento, rilevando come, nel caso di specie, il rider fosse solo formalmente in grado di decidere l’an e il quantum della prestazione, poiché, sebbene tale libertà fosse prevista dal contratto stipulato, nei fatti essa era fortemente ridimensionata dal concreto funzionamento dell’algoritmo. Nello specifico, come si legge nella sentenza “a tutto concedere, il lavoratore può scegliere di prenotarsi per i turni che la piattaforma (e quindi il datore di lavoro che ne è titolare o ne ha il controllo) mette a sua disposizione in ragione del suo punteggio. Egli, inoltre, per poter realmente svolgere la prestazione, deve essere loggato nel periodo di tempo che precede l’assegnazione della consegna, avere il cellulare carico in misura almeno pari al 20% e trovarsi nelle vicinanze del locale presso cui la merce dev’essere ritirata, poiché altrimenti l’algoritmo non lo selezionerà, benché egli avesse prenotato e non disdetto lo slot, con la conseguenza che, in verità, non è lui che sceglie quando lavorare o meno, poiché le consegne vengono assegnate dalla piattaforma tramite l’algoritmo, sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e allo stesso generale interesse dal lavoratore (nel medesimo senso ha ritenuto la già citata sentenza della Suprema Corte spagnola, agli atti di parte ricorrente)”.

 

A ciò, il Tribunale aggiunge quegli orientamenti nel tempo consolidatisi volti a interpretare l’art. 2094 c.c. in chiave evolutiva, la cui opportunità trova conferma, secondo il giudice palermitano, nella direttiva 2019/1152 sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nei paesi dell’Unione Europea, applicabile ai rapporti di lavoro tramite piattaforma digitale, sia autonomo che subordinato, in attesa di essere recepita nell’ordinamento italiano. A tal riguardo nella sentenza si richiamano sia gli orientamenti della Corte di Cassazione, in merito alla cosiddetta eterodirezione attenuata, in grado di rilevare la natura subordinata del rapporto di lavoro in caso di prestazioni altamente qualificate o, al contrario, meramente esecutive; ma anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 5 febbraio 1996, la quale individuava nella cosiddetta doppia alienità (di risultato e di organizzazione) l’essenza della subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., dando così preminenza non tanto alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa quanto al “tipo di interessi cui l’attività è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita”. Elementi, quelli sin qui elencati, ritenuti dal giudice presenti anche con riferimento al caso di specie (si legge: “Pacificamente, poi, il lavoro del ricorrente veniva gestito e organizzato dalla piattaforma (come detto organizzata unicamente da parte datoriale e nel proprio esclusivo interesse), nel senso che solo accedendo alla medesima e sottostando alle sue regole il ricorrente poteva svolgere le prestazioni di lavoro (…)”).  Per il Tribunale di Palermo, poi, “la piattaforma non è un terzo, dovendosi con essa identificare il datore di lavoro che ne ha la disponibilità e che programma gli algoritmi”.

 

L’algoritmo, inoltre, permette alla piattaforma digitale di esercitare il potere disciplinare tipico del datore di lavoro, poiché proprio l’attribuzione di un punteggio inferiore o la non attribuzione di un  punteggio superiore a seguito del verificarsi di determinati eventi costituisce per il giudice di Palermo una sanzione disciplinare atipica, in quanto sanziona “un rendimento del lavoratore inferiore alle sue potenzialità con una retrocessione nel punteggio e quindi nella possibilità di lavorare a condizioni migliori o più vantaggiose”. Infine, il giudice rileva come il funzionamento della piattaforma costringa il rider a mettere il proprio tempo a disposizione della piattaforma, in quanto per poter ricevere incarichi dovrà essere loggato e in prossimità dei locali commerciali partner nel periodo antecedente al conferimento dell’incarico, integrando, così, un altro elemento tipico del rapporto di lavoro subordinato. In conclusione per il giudice “l’organizzazione del lavoro operata in modo esclusivo dalla parte convenuta sulla piattaforma digitale nella propria disponibilità si traduce, oltre che nell’integrazione del presupposto della eteroorganizzazione, anche nella messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative per consistenti periodi temporali (peraltro non retribuiti) e nell’esercizio da parte della convenuta di poteri di direzione e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare, che costituiscono elementi costitutivi della fattispecie del lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.”.

 

Infine, pronunciandosi sulla richiesta di indennizzo ex art. 47-ter del D.Lgs. n. 81/2015, il giudice di Palermo, richiamando la nota dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro (circolare n. 17 del 19 novembre 2020), chiarisce che le misure di cui all’art. V-bis del D. Lgs. n. 81/2015, introdotte con L. n. 128/2019 di conversione (con modifiche) del decreto-legge n. 101/2019, si applicano unicamente ai rapporti di lavoro autonomo occasionale, dal momento che la ratio della norma è proprio quella di apprestare tutele in via residuale ai rapporti non ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015, vale a dire proprio i rapporti di cui all’art. 47-bis (sebbene limitatamente alla fattispecie del rider che si muove con bicicletta o moto in ambito urbano).

 

Non può non osservarsi come gli algoritmi stiano acquisendo un ruolo pervasivo nella odierna organizzazione imprenditoriale, sia essa materiale o nelle  vesti di piattaforma digitale (al riguardo cfr. G. Benincasa, Ai confini tra autonomia e subordinazione: la qualificazione del rapporto degli infermieri, nota a Trib. Bologna 20 ottobre 2020, in DRI, n. 4, 2020), lasciando prefigurare un incremento delle controversie in materia di qualificazione del rapporto.

 

Federica Capponi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@FedericaCapponi

 

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