L’aumento dell’occupazione in Italia: tra nuovi occupati, dinamiche demografiche e “effetto stock”

Interventi ADAPT, Mercato del lavoro

| di Francesco Seghezzi

Bollettino ADAPT 15 settembre 2025, n. 31

Negli ultimi anni il mercato del lavoro italiano ha registrato un dato che, al netto delle diverse interpretazioni, non può essere messo in discussione: l’occupazione è cresciuta, e non poco. Più persone lavorano oggi rispetto a dieci o quindici anni fa, e questo vale per quasi tutte le categorie: uomini e donne, dipendenti a tempo indeterminato. Fa eccezione il lavoro a termine, che invece mostra un andamento stagnante o in lieve contrazione. Anche gli inattivi, sebbene fermi da diversi mesi, sono diminuiti sensibilmente rispetto al periodo pre-Covid. Si tratta di un insieme di segnali positivi, complessivamente. Allo stesso tempo, come spesso accade quando si parla di occupazione, dietro i numeri si celano dinamiche complesse che meritano di essere esplorate con attenzione per comprendere meglio cosa sta succedendo e per programmare le giuste politica, senza lasciarci determinare da narrazioni a volte strumentali.

L’aspetto più evidente riguarda la distribuzione anagrafica degli occupati. Se si osservano i cambiamenti occupazionali degli ultimi 5 anni, guardando i numeri assoluti, si nota come la crescita riguardi in larghissima parte gli over 50 (circa 1,5 milioni di occupati). Questo riflette un processo duplice: da un lato l’invecchiamento demografico della popolazione italiana, che svuota le coorti anagrafiche più giovani a vantaggio, per un effetto di trascinamento, di quelle più matura; dall’altro l’innalzamento dei requisiti pensionistici introdotti dalla riforma Fornero, che ha spostato in avanti l’età di uscita dal lavoro. Le altre fasce d’età mostrano dinamiche differenziate. I giovani tra i 15 e i 24 anni (fascia poco significativa per vari motivi) mostra una sostanziale stabilità sia nei numeri assoluti che nel tasso di occupazione. I 25-34enni crescono, ma in misura contenuta rispetto agli over 50 in numeri assoluti ma con un aumento di circa 5 punti del tasso di occupazione, scenario che riflette i cambiamenti demografici in corso nella coorte. Mentre i lavoratori tra i 35 e i 49 anni registrano un aumento del tasso di occupazione ma non dei valori assoluti, effetto anch’esso del calo demografico che contraddistingue le generazioni centrali. La situazione potrebbe apparire paradossale ma è un effetto del rapido processo di ridefinizione del volto del mercato del lavoro italiano con la riduzione delle coorti anagrafiche più giovani che fa sì che nonostante aumentino i tassi di occupazione fatichino (a parte per gli over 50) a crescere anche i numeri assoluti. Ed è uno scenario al quale dobbiamo abituarci, il mercato del lavoro e gli occupati italiani saranno sempre più anziani.

Un nodo cruciale, e ampiamente discusso nell’ultimo periodo, in quello che è accaduto negli ultimi anni riguarda l’impatto della riforma Fornero. Infatti, l’innalzamento dell’età pensionabile ha comportato una riduzione del flusso di persone che abbandonano l’occupazione per andare in pensione prima dei 64 anni. Questo meccanismo genera il cosiddetto “effetto stock”: il numero complessivo degli occupati non aumenta solamente perché si creano nuovi posti di lavoro, ma anche perché diminuisce il numero di persone che lasciano il mercato. In altri termini, si riduce il deflusso dall’occupazione, e di conseguenza lo “stock” complessivo degli occupati resta più elevato. Per fare un esempio: se in un certo anno mille persone entrano nel lavoro e mille escono per pensionamento, lo stock rimane stabile. Se, con le nuove regole, solo cinquecento escono, allora anche a parità di ingressi lo stock aumenta di cinquecento unità. È un effetto statistico reale, che migliora il tasso di occupazione, ma non è frutto della creazione di nuova domanda di lavoro. Questo significa che negli ultimi anni non sono stati creati nuovi posti di lavoro? Certamente no. Ma sappiamo che il numero complessivo degli occupati è influenzato da un flusso in uscita ridotto che, purtroppo, non possiamo calcolare poiché non vi sono dati disponibili. Sapere quante persone hanno ritardato la pensione dopo la riforma Fornero, anno per anno, sarebbe particolarmente utile per pesare meglio l’andamento occupazionale degli ultimi anni.

Ma l’aumento occupazionale degli over 50 potrebbe essere causato anche da dinamiche che esulano sia dagli effetti della riforma Fornero sia dagli effetti diretti della trasformazione demografica. Altre spiegazioni possono riguardare la volontà delle imprese di trattenere persone anche dopo l’età della pensione per non perdere preziose competenze temendo la difficoltà nel trovarle in nuove assunzioni;  scelta di assumere lavoratori over 50 per le competenze e esperienze da loro possedute, che siano già in pensione (magari raggiunta con le regole pre-Fornero) o che siano disoccupati o inattivi; maggior disponibilità dei lavoratori over 50 al lavoro non solo per la maturazione dei requisiti pensionistici ma anche per miglioramento delle condizioni di vita e di salute, anche in relazione alla sempre maggior servitizzazione dell’economia e quindi a una componente ridotta di lavoro manuale che risente degli effetti dell’invecchiamento.

Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
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*Articolo pubblicato anche su Il Sole 24 Ore con il titolo L’occupazione e l’effetto legge Fornero, 14 settembre 2025