La regolazione del lavoro da remoto in sette paesi OCSE: spunti da un recente sondaggio

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Bollettino ADAPT 15 maggio 2023, n. 18

 

Nonostante la sua significativa diffusione durante la pandemia da COVID-19, il futuro del lavoro da remoto nel contesto post-emergenziale appare quantomai incerto.

Si moltiplicano, infatti, le ricerche nazionali ed internazionali che cercano di tracciare potenziali scenari per quanto riguarda le prospettive di adozione di tale modello organizzativo da parte delle aziende (per quanto riguarda l’Unione Europea, si veda ad esempio Eurofound, The future of telework and hybrid work, 2023, Publications Office of the European Union), nonché le modalità con cui lo stesso sarà regolato al loro interno nei prossimi anni.

Un contributo al dibattito sul tema è stato fornito anche dall’OCSE, il quale ha recentemente pubblicato un Policy Brief titolato Teleworking, workplace policies and trust: a critical relationship in the hybrid world of work, che presenta i risultati di un sondaggio condotto tra circa 1500 lavoratori da remoto attivi in Australia, Canada, Danimarca, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.

L’obiettivo del sondaggio è quello di indagare in profondità l’impatto della presenza di un rapporto di fiducia tra manager e lavoratori – ritenuta fondamentale per la fruttuosa implementazione delle c.d. “new ways of working” (vedi, in tal senso, K. Zheltoukhova, HR: Getting Smart About Agile Working. Research Report, 2014, CIPD) – nonché di specifici strumenti di regolazione del lavoro da remoto al livello aziendale come regolamenti e accordi collettivi (d’ora in avanti “policy”) sul modo in cui i lavoratori fanno esperienza di tale modalità di organizzazione del lavoro.

 

Il primo dato che emerge dall’indagine è quello per cui i dipendenti nella cui azienda sono presenti policy in materia di lavoro da remoto – aventi per esempio ad oggetto l’esercizio del diritto alla disconnessione, il sostegno finanziario per l’acquisto di attrezzature informatiche, la possibilità di lavorare a distanza dall’estero, la limitazione del monitoraggio a distanza dei lavoratori, l’individuazione di diritti di consultazione per i lavoratori – hanno maggiori probabilità di usufruire di tale modalità organizzativa del lavoro.

Tuttavia, i ricercatori OCSE specificano che, da questi dati, non è possibile risalire al nesso di causalità fra i due elementi: ossia, non è chiaro se il lavoro da remoto sia facilitato dalla presenza di tali policy o le aziende in cui il lavoro da remoto viene utilizzato più di frequente hanno maggiori probabilità di introdurle.

La presenza di policy in materia di lavoro da remoto è anche associata a un livello medio più alto di benessere tra i lavoratori che usufruiscono di tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, i lavoratori da remoto il cui diritto alla disconnessione è garantito, che sono stati consultati previamente in merito all’introduzione di tale modalità organizzativa, che ricevono un sostegno finanziario per l’acquisto di attrezzature informatiche, e che hanno la possibilità di lavorare dall’estero, tendono a essere in media più soddisfatti del proprio lavoro, dell’equilibrio con la propria vita privata, nonché del livello della propria salute mentale e fisica.

 

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La presenza di strumenti di regolazione in materia di lavoro da remoto al livello aziendale sembra anche essere correlata a livelli più elevati di fiducia tra lavoratori e dirigenti. I lavoratori da remoto che usufruiscono del diritto alla disconnessione riferiscono più spesso la presenza di una moderata o grande fiducia tra lavoratori e dirigenti (l’86% rispetto al 67% di quelli non coperti). Lo stesso vale per i lavoratori da remoto che ricevono sostegno finanziario per l’acquisto di attrezzatura informatica (88% contro 61%), quelli che possono lavorare dall’estero (92% contro 67%), e quelli che possiedono diritti di consultazione in materia di lavoro da remoto (89% contro 59%). Ancora una volta, il nesso di causalità non è chiaro: si potrebbe sostenere che le policy in materia di lavoro da remoto favoriscano la fiducia tra dirigenti e lavoratori, ma anche che le aziende in cui il livello di fiducia tra dirigenti è più elevato siano maggiormente propense a regolare il lavoro da remoto al livello aziendale.

 

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Inoltre, si nota come i lavoratori che svolgono più di frequente la propria attività professionale dall’esterno dei locali aziendali hanno maggiori probabilità di dichiarare l’esistenza di un alto livello di fiducia tra loro e i propri dirigenti (49% per i lavoratori da remoto full-time, 37% per chi lavora da remoto più volte al mese – c.d. “lavoratori ibridi”) rispetto ai dipendenti che non lavorano mai da remoto o lo fanno al massimo una volta al mese (27%). I lavoratori da remoto a tempo pieno (67%) e i lavoratori ibridi (55%) sono anche molto più propensi a credere che l’introduzione del lavoro da remoto in azienda contribuisca ad un aumento della fiducia tra dirigenza e forza lavoro, rispetto a coloro che svolgono la propria prestazione interamente o quasi all’interno dei locali aziendali (34%).

 

Considerando tali dati in parallelo a quelli menzionati in precedenza, i ricercatori OCSE suggeriscono che possa sussistere un’interconnessione tra la presenza di policy aziendali relative al lavoro da remoto, la più o meno frequente adozione di tale modello organizzativo, e il livello di fiducia tra lavoratori e dirigenti.

Questa interconnessione è altresì ritenuta dagli autori un elemento che può spiegare perché molti lavoratori da remoto (82%) apprezzano così tanto tale modalità organizzativa al punto che sarebbero disposti a lasciare il lavoro se il loro datore di lavoro non la offrisse più. In questo senso, tuttavia, deve essere considerato che, dato che il lavoro da remoto è più comune tra le occupazioni ad alta professionalità e retribuzione, gli attuali lavoratori da remoto potrebbero essere più disposti a cambiare lavoro semplicemente perché hanno più opzioni in questo senso rispetto ai lavoratori con mansioni meno “telelavorabili” (per un approfondimento sul concetto di “telelavorabilità”, si veda M. Sostero, S. Milasi, J. Hurley, E. Fernández-Macías, M. Bisello, Teleworkability and the COVID-19 crisis: a new digital divide? 2020, JRC Working Papers Series on Labour, Education and Technology, n. 5).

Nonostante il legame positivo tra la frequenza nell’uso del lavoro da remoto, il benessere lavorativo e la fiducia tra dirigenza e lavoratori, da un lato, e la presenza di policy aziendali in materia, dall’altro, l’indagine in esame suggerisce che l’adozione di queste ultime è tutt’altro che largamente diffusa. Infatti, la percentuale di lavoratori che non sono coperti da regolazioni aziendali in materia o che non ne sono a conoscenza è significativa: il 19% dei lavoratori ibridi e dei lavoratori da remoto a tempo pieno afferma di non essere titolare del diritto alla disconnessione. Analogamente, quasi il 30% dei lavoratori ibridi e il 25% dei telelavoratori a tempo pieno affermano di non possedere diritti di consultazione in merito all’implementazione aziendale del lavoro da remoto.

 

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Dai dati presentati, i ricercatori OCSE concludono che la presenza di policy aziendali in materia di lavoro da remoto sembra essere associata a una più elevata qualità del lavoro (misurata in termini di benessere lavorativo, equilibrio tra lavoro e vita privata e livello della salute fisica e mentale) e anche a una maggiore fiducia tra dirigenti e lavoratori.

Al fine di stimolare l’adozione di simili regolazioni al livello aziendale, anche tramite l’intervento delle parti sociali, l’OCSE propone che i decisori politici promuovano la negoziazione di contratti collettivi in materia di lavoro da remoto al livello settoriale e aziendale, ma si attivino altresì sulla regolazione in via legislativa di alcuni aspetti legati al tema, come per esempio il diritto formale alla disconnessione, il sostegno economico da parte datoriale per quanto concerne i costi associati al lavoro da remoto o la regolamentazione dell’uso di sistemi di monitoraggio e sorveglianza a distanza.

Da notare, infine, come anche la condivisione di best practices tra i vari settori dell’economia, ad esempio attraverso il dialogo sociale tripartito, sia considerata utile per promuovere l’adozione di regolamentazioni al livello aziendale in materia di lavoro da remoto.

 

Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

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