La formazione richiede una relazione scuola-lavoro*

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Bollettino ADAPT 24 gennaio 2022, n. 3
 
Il dolore dei familiari, compagni e di tutta la società per quanto è accaduto al giovanissimo Lorenzo, durante il suo percorso di apprendimento, è atroce. Da mamma non riesco a immaginare un dolore più incomprensibile e insopportabile. Da giuslavorista, tuttavia, mi interrogo cercando di dare il mio contributo perché non accada più. Al di là dell’indagine sulle responsabilità, il dolore ci obbliga a riflettere sulla sicurezza sul lavoro. Anche di quel tempo di lavoro formativo che rientra nella strategia didattica volta a prevedere la partecipazione degli studenti e delle studentesse (delle scuole superiori e dell’università) alla cosiddetta “alternanza scuola – lavoro”, ovvero nei tirocini curriculari.
 
Non sono d’accordo con una lettura degli stage come mera aziendalizzazione, o sfruttamento, precoce e inutile dei giovani studenti, che sento a delinearsi in molti commenti a caldo dopo l’incidente di Lauzacco.

Credo, innanzitutto, che dobbiamo avere la consapevolezza che non si impara solo sui banchi: molte abilità si sviluppano solo nella pratica. Questo riguarda sia le competenze di carattere pratico, con cui ci si testa rispetto a quanto imparato nelle e dalle lezioni, sia le competenze c.d. trasversali (saper collaborare, risolvere problemi…), che via via si stanno dimostrando davvero fondamentali. Non a caso, sono ritenute molto preziose per le Missioni del PNRR e trovano la più agevole acquisizione negli ambienti di lavoro.
 
Ritengo, quindi, che la formazione on the job (sul posto) sia idonea a mettere in contatto il mondo della scuola e quelle delle aziende, ad arricchire il capitale umano e a contribuire ad innovare le organizzazioni.

Questo, sembra paradossale, è necessario oggi più di ieri: si deve essere consapevoli che il mondo del lavoro è diventato più complesso e che il viaggio di scoperta include anche l’importanza della conoscenza che viene dalla pratica quotidiana. Pure le risorse umane sono diventate più complesse da gestire, perché nei luoghi di lavoro, per ragioni demografiche e previdenziali, convivono ben quattro generazioni, contando anche i giovani stagisti.

Inoltre, la complessità del mondo del lavoro dipende anche dalla coabitazione di persone con caratteristiche identitarie diverse: quelle delle generazioni di nativi digitali cresciuti in un mondo dai confini sfumati tra reale e digitale; quelle dei c.d. boomers (o immigrati digitali) che danno per scontato una serie di fisicità e di abilità che possono non esserci nelle giovani generazioni.
 
In questo frame, il modello di alternanza scuola-lavoro, avviato con la Ministra Moratti nel 2005 e poi continuato dalla Riforma Renzi della c.d. “Buona scuola” del 2015, ha avuto un percorso improvvisato e impreparato. Per cui, a mio parere, il modello andava monitorato e corretto, superandone le resistenze, i ritardi e le criticità, specie gestionali. Invece, quando l’alternanza scuola-lavoro si trovava ancora nella delicata fase di avviamento sperimentale, il Governo Conte 1, nel 2018, ne ha arrestato il processo di sviluppo, depotenziando le finalità, cambiando denominazione e affievolendo il nesso con il lavoro (dalla “Alternanza scuola-lavoro” ai “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”), con un drastico taglio delle ore e dei finanziamenti.
 
La retromarcia non solo ha premiato chi non ha rispettato le norme, ma ha sminuito il valore di una formazione anche attraverso il lavoro rendendola, anche per la brevità, una sorta di vincolo fastidioso per scuole/aziende e studenti/docenti/tutor. E a questo si è sommata l’emergenza pandemica, con la sua imprevedibilità e le esigenze di distanziamento personale. Siamo fisicamente e mentalmente meno capaci di come eravamo due anni fa, costretti all’isolamento da lockdown e quarantene a stressanti e continui cambiamenti di vita e di relazioni con gli altri.
 
A tutti i livelli, occorre un approccio sistemico (anche di prevenzione), una mappa da aggiornare continuamente per adattare la rotta, anche verso direzioni non previste o prevedibili.

Per cui la grande colpevole non è l’alternanza scuola-lavoro di per sè, ma l’ondivaga gestione delle nostre riforme: le accelerazioni improvvise, le brusche frenatee le continue marce indietro sono adottate senza valutare l’impatto (vedi ADAPT, La scuola, che impresa) e il costo dei cambiamenti.
 
Dobbiamo essere consapevoli che, per rilanciare il mercato del lavoro verso la nuova normalità, il percorso post-pandemia ci richiede di concentrarci profondamente sull’altro verso della relazione: quello che va dal lavoro alla Scuola/Università. Siamo di fronte alla necessità di una massiccia dose di formazione, per il privato e per il pubblico, rivolta certamente a chi deve imparare, ma ancora di più a chi sta lavorando e si sente, ed in effetti è, smarrito, fuori tempo e fuori posto. L’Ateneo di Udine è pronto ad accogliere la sfida di un aggiornamento delle professionalità anche sui percorsi di formazione per la sicurezza sul lavoro.

Si tratta di intraprendere un nuovo percorso che coltivi il tentativo di cambiare la postura di persone e organizzazioni, nell’integrazione reciproca delle capacitazioni e dello sviluppo umano, ricordando sempre che è il lavoro per la persona, e mai il contrario.
 
Marina Brollo

Ordinaria di diritto del lavoro

Università degli Studi di Udine

@MarinaBrollo
 
*Pubblicato anche su Il Messaggero Veneto col titolo È richiesta una relazione scuola-lavoro ,il 24 gennaio 2022

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