Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile: le tendenze della seconda fase emergenziale

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Bollettino ADAPT 7 novembre 2022, n. 38 
 
Il mese scorso è stato pubblicato dall’INAPP un corposo report che espone e commenta alcuni dei risultati della V Indagine sulla qualità del lavoro in Italia, svolta dall’Istituto stesso durante il corso del 2021. L’indagine si propone di analizzare come l’utilizzo della modalità di lavoro c.d. “smart” sia mutato nelle fasi meno critiche della pandemia da COVID-19 rispetto a quanto sperimentato durante la prima fase emergenziale.

A questo proposito, i dati che emergono dal report sono molteplici: si rilevano un migliore bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata; maggiore autonomia concessa ai lavoratori nella programmazione e nello svolgimento delle attività; maggiore rispetto di standard di qualità, a cui potrebbero essere ricondotte anche migliori performance lavorative.
 
Una delle sezioni maggiormente interessanti del Report, data anche l’attuale discussione accademica in merito, è l’analisi della regolazione collettiva del fenomeno.

Considerando che nel “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” del 7 dicembre 2021 la contrattazione collettiva è definita “fonte privilegiata” per la disciplina del lavoro agile e che, invece, nel “Testo unificato” delle dieci proposte di legge sul tema – adottato dalla Commissione Lavoro della Camera il 16 marzo 2022 – le sono stati riconosciuti solo pochi e scarni demandi formali su mere questioni di principio (in questo senso, vedi D. Iodice, Il “testo unificato” delle dieci proposte di legge in tema di lavoro agile, ADAPT University Press Working Paper n. 7/2022), è utile indagare il concreto livello di impiego della fonte collettiva durante la seconda fase emergenziale.
 
Attraverso l’Indagine INAPP sono stati intervistati in merito alle forme di regolazione dello smart working sia i datori di lavoro, sia i lavoratori. Nel valutare gli esiti dell’analisi si dovrà tenere conto che la stessa riguarda l’anno 2021, durante il quale, a causa dell’emergenza non ancora completamente rientrata, l’adozione dello strumento è stata in buona parte unilaterale e necessaria.

Tale contesto, infatti, è sicuramente la principale causa del primato dell’informalità per quanto concerne le modalità di introduzione dello smart working: la metà dei datori di lavoro e un lavoratore su 4 affermano, infatti, che l’adozione del lavoro agile nella propria azienda non è stato oggetto di una vera e propria regolazione, ma vi è stata semplicemente un’adozione spontanea dello stesso al fine di fronteggiare l’emergenza pandemica.
 
Altri valori che indicano una forte presenza di modalità unilaterali di regolazione sono quelli riguardanti l’uso dei regolamenti aziendali, riscontrato nelle risposte del 27% dei lavoratori e del 23% del management. Invece per quanto riguarda l’utilizzo dell’accordo individuale (strumento fondamentale per l’attivazione del lavoro agile nel disegno della legge n. 81/2017, divenuto poi facoltativo nel periodo emergenziale) le percentuali si aggirano intorno al 10% sia secondo i datori, sia secondo i lavoratori intervistati.
 
La fonte contrattuale collettiva, infine, raggiunge percentuali interessanti, soprattutto nelle risposte dei lavoratori, che la individuano quale mezzo di regolazione del lavoro smart nella propria azienda quasi nel 25% dei casi. Un lavoratore su 4 dichiara, infatti, che la modalità agile è stata regolata con un accordo sottoscritto dai propri rappresentanti, quota che si avvicina molto a quella dei lavoratori che hanno dichiarato di essere stati introdotti al lavoro da remoto in modo informale e spontaneo.
 

Figura 1. Forme di regolazione dello smart working nelle Unità Locali.

Dichiarazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Anno 2021 (val %)

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Analizzando meglio i dati si osserva, inoltre, come la variabile della dimensione dell’unità locale non pesi eccessivamente, ma appaia quasi neutra. Il livello di impiego della contrattazione collettiva per quanto concerne la regolazione del lavoro agile durante il 2021 non cambia molto tra le grandi e le piccole aziende, contrariamente a quanto osservato nella stessa indagine rispetto all’utilizzo della contrattazione collettiva in termini assoluti. L’unica eccezione riguarda le unità piccolissime – sino a 5 addetti – nelle quali, tuttavia, il valore risulta più basso a causa dell’aumento della quota dei c.d. “incerti”, ossia dei lavoratori che non sono consapevoli delle modalità con le quali il lavoro agile è stato introdotto all’interno della propria azienda.

Infine, anche la variabile territoriale non sembra influire molto: al Sud e nelle Isole, come per il campione delle imprese di piccolissime dimensioni, aumenta solo il numero degli incerti.
 
In conclusione, dall’esperienza della regolazione dello smart working nel 2021 emerge un ruolo forte, importante e utile della contrattazione collettiva, rilevabile anche dalle risposte date dal management ad altre domande della stessa indagine INAPP. È auspicabile, dunque, una prosecuzione di questo trend positivo di valorizzazione del ruolo delle parti sociali, ma anche una presa d’atto del legislatore sulla necessità di riconoscere effettivamente a questa fonte un privilegio nella regolazione del lavoro agile. Ciò in quanto, da un lato, la stessa permette di individuare, in modo più preciso rispetto a quanto possano fare le leggi ordinarie, le esigenze specifiche dei diversi settori o territori e, dall’altro, offre una protezione maggiore al lavoratore rispetto all’utilizzo del solo accordo individuale.
 
A sostegno di questa tesi è possibile citare anche un importante rapporto sul telelavoro pubblicato dall’Eurofound (O. Vargas Llave et al., Telework in the EU: regulatory frameworks and recent updates, Eurofound, 2022. Per un commento ragionato, vedi P. De Vita, La regolamentazione del telelavoro negli Stati dell’Unione Europea, Bollettino ADAPT 3 ottobre 2022, n. 33) che analizza la regolazione del telelavoro nei diversi Stati dell’Unione Europea e la sua evoluzione a seguito della pandemia. A conclusione dello studio si sostiene che un forte ruolo delle parti sociali avrebbe un impatto positivo sul livello di protezione dei lavoratori che operano da remoto, questo perché la dimensione collettiva permette di cogliere esigenze che accomunano tutti i lavoratori di un determinato settore o territorio e soprattutto è espressione di un potere contrattuale superiore rispetto a quello del singolo lavoratore.

Sull’importanza di riconoscere il grande valore della contrattazione collettiva sia a livello europeo, sia a livello nazionale, peraltro, si sono espresse di recente anche le parti sociali europee nell’introduzione all’European Social Dialogue Work Programme 2022-2024,  programma che annovera tra i suoi obiettivi anche una revisione dell’accordo interconfederale del 2002 sul telelavoro al fine di dare una nuova e coerente regolazione alle diverse forme di lavoro da remoto attraverso un c.d. “statutory agreement” (accordo tra le parti sociali attuato ad opera delle istituzioni europee).
 
La V Indagine INAPP sulla qualità del lavoro in Italia, dunque, ci comunica che esiste già una spontanea tendenza delle imprese private ad affidarsi alla contrattazione collettiva per la regolazione del lavoro agile.

Sarà interessante ora capire se il legislatore sceglierà di assecondare questa tendenza (come si era proposto di fare nel Protocollo del 7 dicembre 2021 e come sembrano suggerire molte voci autorevoli sopraccitate) o utilizzare l’atteggiamento di cautela che ha fino ad oggi caratterizzato le iniziative normative in materia.
 
Silvia Caneve

ADAPT Junior Fellow

@CaneveSilvia

Il ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione del lavoro agile: le tendenze della seconda fase emergenziale