Il mio canto libero – Salario minimo: legge o contratto?

Bollettino ADAPT 9 maggio 2022, n. 18
 
Anche in questi giorni è stata riproposta la ipotesi di una legge regolante il salario minimo sulla base della necessità di contrastare i contratti “pirata”. Michele Tiraboschi ha subito obiettato come questi siano applicati ad esigue minoranze, citando in particolare la fonte Inps per sottolineare come perfino nel delicato settore della logistica il contratto sottoscritto dalle maggiori organizzazioni interessa il 98% dei lavoratori mentre gli accordi firmati da associazioni meno rappresentative riguardano circa l’1% degli addetti.
 
Altri, tuttavia, hanno invocato la legge utilizzando il contratto che regola il lavoro nella vigilanza privata non armata e nei servizi fiduciari. Nonostante sia stato negoziato tra le parti più rappresentative, una recente sentenza ha stabilito che la retribuzione di base non è conforme ai criteri dell’art.36 della Costituzione in quanto inferiore al dato Istat della soglia di povertà. La norma dovrebbe quindi intervenire a surrogare anche la capacità delle maggiori rappresentanze che da tempo appaiono incapaci di rinnovare quel contratto. L’ottimo Piglialarmi ha già ricostruito nel precedente Bollettino ADAPT la sua genesi, connessa all’esigenza di produrre regole effettive in un mercato del lavoro particolarmente fragile, per sostenere che il contratto risulta sempre l’autorità più idonea a definire le retribuzioni in termini duttili e continuamente adattivi ai contesti economico-sociali.
 
Il perimetro di applicazione è necessariamente mutevole perché la fine della seconda rivoluzione industriale e le nuove tecnologie digitali inducono a superare le regole uguali per grandi platee di imprese e lavoratori sollecitando accordi sempre più prossimi agli interessi da disciplinare. Si affermeranno contratti per settori omogenei, territori, aziende e in questi ambiti più contenuti la rappresentatività dei sottoscrittori si identifica agevolmente.
 
I contratti “pirata” sono una patologia, un abuso dello strumento contrattuale che non ne giustifica la sostituzione con la legge nemmeno per la soglia minima. Sarebbe sufficiente l’autodisciplina della rappresentatività attraverso l’accordo interconfederale del 2014, eventualmente aggiustato, per consolidare l’orientamento delle attività ispettive e della giurisprudenza.
 
Ove si volesse dare forza di legge alla tutela del livello retributivo essenziale si potrebbe stabilire la inderogabilità per tutti i contratti del trattamento complessivo (non solo salario) corrispondente al livello minimo del contratto collettivo maggiormente applicato nel settore più prossimo alla merceologia del datore di lavoro. INPS e Cnel non farebbero fatica ad individuarlo. In questo modo si eviterebbe l’incursione del legislatore nella autonomia collettiva e si farebbe rinvio alla evoluzione dei perimetri contrattuali senza ledere i principi della libertà e del pluralismo sindacale.
 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

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