Il futuro della contrattazione sindacale tra contrattazione economica e contrattazione sociale
Bollettino ADAPT 13 ottobre 2025, n. 35
È considerazione comune, non solo tra gli studiosi del diritto del lavoro, che il contratto collettivo sia ancora oggi lo strumento prevalente di regolazione dei rapporti di lavoro. Marco Biagi parlava, con riferimento alla contrattazione collettiva, di “via maestra” per la regolamentazione dei rapporti di lavoro nelle economie di mercato.
La comparazione giuridica e l’osservazione empirica di una ricca realtà contrattuale hanno invero consentito da tempo di evidenziare la parzialità (e anche taluni equivoci) di una siffatta rappresentazione della contrattazione collettiva che circoscrive il fenomeno in esame a una essenziale ed assorbente funzione di produzione normativa.
È merito dei componenti della celebre “Scuola di Oxford” l’aver dimostrato che la contrattazione collettiva, lungi dal ridursi a un mero equivalente funzionale della norma di legge o della contrattazione economica condotta a livello individuale tra datore e prestatore di lavoro, è prima di tutto uno strumento di autoregolazione dei rapporti di potere tra forze economiche e gruppi sociali contrapposti. Da qui la consapevolezza che si tratti di un fenomeno qualitativamente diverso dalla pura e semplice manifestazione di autonomia negoziale privata tipica di un contratto.
Un puntuale esercizio di mappatura e conseguente classificazione delle clausole non normative od economiche presenti nei contratti collettivi di lavoro, tanto a livello nazionale che decentrato, ha così consentito di identificare la presenza, in parallelo alla incessante evoluzione dei contenuti e delle stesse tipologie di contrattazione collettiva, di una ricca varietà di elementi che vanno oltre la regolazione dei rapporti individuali di lavoro.
Resta vero tuttavia che ancora oggi, e non solo nell’immaginario collettivo, il fenomeno della contrattazione sindacale, per quanto connotato da una valenza sociale e politica, resta relegato alla sfera del mercato del lavoro e, precisamente, alla funzione di disciplinare lo scambio tra lavoro e retribuzione.
Possiamo parlare, in questi termini, di “contrattazione economica”.
Del tutto sommersa e poco conosciuta, anche tra gli addetti ai lavori, rimane tuttavia una (apparentemente) diversa area di contrattazione, nota tra gli esperti della materia come “contrattazione sociale“, che sviluppa da anni una intensa e robusta negoziazione tra organizzazioni sindacali (dei pensionati) e istituzioni locali (comuni e regioni in primis) in aree centrali per la tenuta di un sistema economico e sociale come la salute, il welfare, la cura delle persone vulnerabili, il sostegno a giovani, anziani e famiglie.
La materia è oggetto, da anni, di periodiche (anche se poco conosciute) rilevazioni da parte di CGIL e CISL con la pubblicazione di periodici rapporti che disvelano una ricchezza sorprendente soprattutto se si pensa ai bisogni emergenti legati alle trasformazioni della società, del lavoro e dei rapporti di produzione in generale (vedi A. Marchiotti, Contributo alla conoscenza della cosiddetta contrattazione sociale primo inquadramento delle fonti, in CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, n. 11, maggio 2024, e A. Marchiotti, Contributo alla conoscenza della cosiddetta contrattazione sociale secondo inquadramento delle fonti informative, in CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, n. 12, giugno 2024).
Chi scrive è convinto che la netta divisione tra la “contrattazione economica” (seppure intesa in senso lato, con le sue connotazioni sociali e politiche) e la “contrattazione sociale” (come intesa oggi dalle stesse parti sociali che la promuovono affidandola al sindacato dei pensionati) non sia più sostenibile e che sia necessario un profondo ripensamento, in termini di attori e strategie, nella prospettiva di una complementarità se non di una vera e propria integrazione, così da porre l’una a sostegno dell’altra e non in antitesi o, comunque, in un rapporto di totale indifferenza come avviene oggi.
Azienda e territorio sono sempre più elementi integrati, anche rispetto alle logiche della competizione a livello globale, mentre il cambiamento demografico e culturale che accompagna il lavoro rende sempre più necessario uno sviluppo delle relazioni di lavoro fuori dagli stretti limiti di un “lavoro produttivo” che non poco svilisce, se non arricchito da altri elementi di contesto, il rapporto tra persona e lavoro e che lascia ai margini (se non nelle sempre più frequenti situazioni di crisi) soggetti “terzi” al mercato del lavoro, quali la pubblica amministrazione e il terzo settore, e che hanno l’obiettivo esplicito di migliorare la qualità di vita delle persone anche con il coinvolgimento attivo di chi si è ritirato dal lavoro.
Pensiamo, per fare un solo esempio, al tema della salute non occupazionale che sempre più incide sulla offerta di lavoro e sul welfare pubblico in una epoca di declino demografico e di nuove fragilità (M. Tiraboschi, Salute e lavoro: un binomio da ripensare. Questioni giuridiche e profili di relazioni industriali, in Diritto delle relazioni industriali, 2023). Il contributo della contrattazione sociale, in materia, è già oggi di estremo interesse con riferimento a tematiche come l’assistenza sanitaria, il sostegno ai c.d caregivers, il contrasto alla povertà, la mutualità territoriale e la promozione della autonomia delle persone con disabilità (si veda A. Marchiotti, Le sinergie tra contrattazione sociale e contrattazione aziendale. Focus su salute in provincia di Vicenza, in CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, n. 14, ottobre 2024).
Si tratta naturalmente di prime riflessioni, che fanno seguito a uno studio empirico dei numerosi accordi riconducibili al perimetro della c.d. “contrattazione sociale”, e che certamente impongono ora una più attenta analisi di sistema e, con essa, anche lo sforzo di ripensare i concetti di contrattazione collettiva e contrattazione sociale per come sono oggi tradizionalmente intesi. Ma che la relazione di lavoro si ponga oggi oltre il confine della fabbrica – e l’equilibro politico nelle dinamiche di potere e soggezione che scaturiscono dai rapporti di produzione – è un dato evidente. E non è certo un caso che sempre più spesso si percepisca una sorta di spinta o aspirazione, tra gli stessi attori economici e sindacali, a ripensare la contrattazione collettiva in chiave di territorio e di impatto sociale superando i confini della categoria contrattuale, del settore economico e del singolo sito produttivo.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
Università di Modena e Reggio Emilia
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@Marchiotti_Anna