I lavoratori “maturi” come risorsa per la trasmissione delle competenze

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Bollettino ADAPT 4 aprile 2022, n. 13
 
“Ci sentiamo inutili e impotenti”, “Abbiamo delle competenze che potremmo trasmettere, ma non abbiamo l’occasione per farlo”, “Non mi assume nessuno perché sono troppo vecchio, ma mi mancano ancora cinque anni per andare in pensione”. Queste alcune delle frasi che mi sento ripetere maggiormente dai partecipanti over 50 al modulo di diritti e doveri dei lavoratori presente nei corsi erogati dalle agenzie per il lavoro.
 
Con loro il dialogo verte principalmente sui temi del pensionamento e su come vivere la dimensione del lavoro negli anni che lo precedono, soprattutto quando il lavoro lo si è perso. Durante questi corsi incontro persone di grande competenza, con esperienza anche ventennale, che si sono trovate, in seguito a fallimenti o scelte aziendali, senza lavoro e quindi senza la possibilità di esprimere la propria professionalità. Gli atteggiamenti nei confronti del lavoro variano tra i partecipanti ma in generale ho potuto rilevare due principali tendenze: c’è chi vuole solo trovare una soluzione per conquistare la pensione e altri che, invece, vorrebbero rientrare nel mondo del lavoro perché sentono di avere ancora qualcosa da dare, soprattutto in termini di competenze da trasmettere alle nuove generazioni. Questi ultimi sono però ostacolati dall’età anagrafica e dalle difficoltà che si trovano ad affrontare. Per tali ragioni il vissuto di questi lavoratori è da prendere in considerazione con serietà.
 
Ciò che riportano emerge anche da diversi studi e fatti riscontrabili. Infatti, i cambiamenti demografici e sociali in atto portano i lavoratori over 50 ad essere considerati in modo diverso: da un lato alcuni sostengono che devono farsi da parte e dall’altro c’è chi invece appoggia l’idea che debba essere ritardata l’età pensionabile. All’interno di questo dibattito poco spazio è lasciato alle esigenze, alle ambizioni, alle motivazioni e alle ulteriori potenzialità di sviluppo di questa fascia d’età. Essi, però, sono risorse preziose la cui expertise e competenza, se correttamente valorizzate, possono essere trasmesse alle nuove leve e costituire un valore aggiunto all’organizzazione tutta.
 
La situazione demografica e sociale
 
L’attuale transizione demografica si manifesta nei paesi sviluppati attraverso due fenomeni: la diminuzione del tasso di natalità e l’aumento delle aspettative di vita. Tali fenomeni si accompagnano a tensioni e squilibri generati da forti flussi migratori provenienti dai paesi meno sviluppati. Ciò incide su diversi aspetti della vita sociale e incrina la sostenibilità dei sistemi di welfare e della previdenza in particolare. Nel rapporto del 2019, dal titolo Ageing and Employment – Identification of good practice to increase job opportunities and maintain older workers in employment, il Cedefop evidenzia che i paesi che sembrano destinati ad affrontare i più gravi problemi legati al cambiamento demografico siano ancora poco consapevoli delle sfide che hanno davanti. Una di queste sfide è legata alla gestione del lavoro “maturo”: se l’età demografica media si alza insieme all’età pensionabile, infatti, aumentano anche le persone over cinquanta che si vedono trattenute (o che possono restare) nel  mondo del lavoro.
 
Pregiudizi legati all’età e i loro rischi
 
Come sottolineato anche dalla ricerca Talenti senza età – Donne uomini over 50 e lavoro svolta nel 2019 da ValoreD, il rischio maggiore, ad oggi, è quello che i lavoratori maturi vengano messi da parte nonostante le esperienze, capacità e risultati portati. Tale pericolo esiste perché si conosce (e si parla) poco dell’impegno, della motivazione e della performance di questi lavoratori. Si legge infatti che “molto spesso il talento dopo i cinquant’anni rimane invisibile, vittima dei tanti stereotipi legati all’invecchiamento. Invece, per costruire interventi efficaci, è indispensabile comprendere la realtà di vita e di lavoro che caratterizza questa generazione”.
 
Innanzitutto, gli over 50 si sentono chiedere due cose contraddittorie: dare “spazio ai giovani” al fine di alleggerire i costi aziendali e consentire il ringiovanimento delle organizzazioni e pensionarsi più tardi per alleviare gli oneri della previdenza.
 
Si tratta ovviamente di due richieste tra loro incompatibili, ma che hanno in comune una visione negativa del lavoratore maturo o anziano. Essere esposti di continuo a questi slogan non aiuta e contribuisce al formarsi di un sentire negativo sul proprio ruolo nel lavoro. Le caratteristiche potenzialmente interessanti dei lavoratori meno giovani trovano così meno risonanza e ciò si accompagna spesso a un utilizzo povero e marginale, a causa di un uso superficiale delle competenze lavorative.  Il talento è una risorsa preziosa per le organizzazioni, ma spesso si lega erroneamente questo concetto alla giovinezza. Ma “il talento non ha età, non è una caratteristica che si usura negli anni”. Gli stereotipi ghettizzanti sull’età, ancora troppo diffusi, rischiano di promuovere in azienda un clima che non incoraggi e motivi i lavoratori maturi. Il punto è che se si perde la vitalità di questi lavoratori si rischia di far andare perse esperienze e competenze preziose.
 
Il valore aggiunto e i limiti dei lavoratori maturi
 
Il valore aggiunto che apportano questi lavoratori, infatti, è strettamente legato al know how costruito nel proprio percorso professionale e di vita: per farlo fruttare è necessario promuovere il coinvolgimento attivo di questi lavoratori e continui scambi con i lavoratori più giovani. Affidare ai lavoratori maturi compiti di mentoring potrebbe responsabilizzarli, offrirgli nuovi stimoli e offrire ai più giovani ulteriori possibilità di formazione on the job.
 
Se è vero che con l’età diminuisce la capacità di apprendere nuove nozioni (se non allenata!) e la memoria, è anche vero che aumenta l’intelligenza cristallizzata, ovvero la capacità di mettere a frutto le esperienze e le competenze rilevanti per la professione. Sono poi a favore dei lavoratori anziani gli aspetti riguardanti la disponibilità, la responsabilità e l’affidabilità, quali il rispetto della gerarchia, la disponibilità a lavori ripetitivi, la disponibilità allo straordinario, la disponibilità ad aiutare i compagni di lavoro, l’affidabilità complessiva, la sensibilità agli interessi dell’impresa, l’accuratezza nel lavoro, la capacità di guida, la fedeltà all’impresa. I lavoratori più giovani vengono invece giudicati preferibili agli anziani per quanto riguarda l’adattabilità all’innovazione, la familiarità con le apparecchiature informatiche, la creatività, l’integrazione nel gruppo. Questo quadro di vantaggi e svantaggi dei lavoratori senior derivante dall’applicazione del ciclo di vita delle competenze trova conferma nella ricerca Le politiche aziendali per l’Age Management: materiali per un piano nazionale per l’invecchiamento attivo condotta da Riccio e Scassellati per ISFOL, che esamina le motivazioni aventi un peso nel trattenere o meno i lavoratori senior nell’attività lavorativa. Secondo l’opinione rilevata nell’ambito di un campione di lavoratori, l’esperienza acquisita nel tempo è il principale motivo per cui gli stessi sono trattenuti all’interno dell’azienda; mentre il più alto costo del lavoro è ritenuto il principale motivo per cui le imprese tendono a espellerli.
 
Cosa dicono i lavoratori
 
Le potenzialità positive per la continuità dell’impegno lavorativo delle persone mature emerse da quanto sopra riportato devono essere verificate anche alla luce di orientamenti, atteggiamenti e opinioni espressi dai diversi attori coinvolti dal problema: i lavoratori interessati prima di tutto e poi anche i datori di lavoro e le parti sociali. Come suggerisce il rapporto di ricerca La valorizzazione dei lavoratori maturi(over 50): una sfida per le politiche pubbliche e per le strategie delle organizzazioni condotto dall’Università Carlo Cattaneo, la prima constatazione che risulta evidente da questo profilo di analisi è l’esistenza di un atteggiamento generale, diffuso tra i lavoratori italiani over 50, non particolarmente favorevole al prolungamento dell’attività lavorativa tra i cinquantacinque anni e i sessanta e oltre. In effetti, si rileva che almeno la metà dei lavoratori con più di quarantacinque anni vorrebbero anticipare il più possibile la fine dell’attività professionale. Si evidenzia anche che, indipendentemente dalla situazione lavorativa, nell’eventualità in cui la questione dipendesse esclusivamente dalla loro volontà, il 49,2% del totale degli occupati desidera andare in pensione prima possibile, solo il 17, 3% desidera farlo più tardi possibile, il 25,2% si attiene a quello che il contratto di lavoro prevede per il pensionamento e l’8,2% non ha un’idea precisa su ciò che desidera in proposito.
 
Nel complesso è chiara la diffusione di una preferenza per il pensionamento a cinquantacinque anni, soprattutto nelle fasce del lavoro meno qualificato e con minore tasso di istruzione. Tutto ciò trova riscontro, del resto, nella rilevante opposizione sociale che ha animato negli ultimi anni le discussioni e le controversie sindacali e politiche intorno al tema della riforma delle regole del pensionamento con innalzamento delle soglie di età. La qualità professionale è il fattore che sembra poter contrastare questo deficit di motivazione, ma il modo in cui agisce è ancora limitato e intermittente.
 
Over 55 e programma GOL
 
Un lavoratore che taglia il traguardo dei cinquant’anni affronta un momento delicato del proprio percorso professionale, a prescindere dal fatto che possa perdere o meno la propria occupazione. Questa consapevolezza emerge anche nel PNRR, che con il suo programma GOL(Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) intende includere tra i suoi beneficiari anche i lavoratori over cinquantacinque.
 
Il programma GOL si inserisce nell’ambito della missione 5, Componente 1 del PNRR, ovvero la sessione del piano dedicata alle politiche del lavoro. Il suo orizzonte temporale coincide con quello del PNRR e si tratta, quindi, del quinquennio 2021 – 2025. Le risorse complessive sono pari a 4,4 miliardi di euro, cui si aggiungono 600 milioni di euro per il rafforzamento dei Centri per l’impiego (di cui 400 già in essere e 200 aggiuntivi) e 600 milioni di euro per il rafforzamento del sistema duale. Tra gli obiettivi che si pone troviamo la personalizzazione degli interventi, un sistema informativo e di monitoraggio capillare, un‘integrazione tra le politiche e la cooperazione tra i sistemi pubblici e privati. I gruppi di beneficiari del programma sono: percettori di ammortizzatori sociali in costanza e in assenza di lavoro, percettori di sostegno al reddito di natura assistenziale, lavoratori fragili o vulnerabili, disoccupati senza sostegno al reddito e lavoratori con redditi molto bassi. In base allo status occupazionale, si prevedono cinque percorsi. Per coloro che sono più facilmente occupabili si prevede un percorso di reinserimento lavorativo, con eventuali attività formative leggere, puntando soprattutto sui servizi di orientamento finalizzati all’accompagnamento lavorativo. Il secondo percorso di aggiornamento prevede interventi formativi di breve durata e dal contenuto professionalizzante per adeguare le competenze. Per chi è meno occupabile c’è il percorso di riqualificazione, con un’attività di formazione più robusta per avvicinare la persona ai profili richiesti dal mercato. Per i bisogni complessi è necessario attivare la rete dei servizi territoriali con un percorso di lavoro e inclusione coinvolgendo i servizi educativi, sanitari e sociali essendo presenti ostacoli che vanno oltre la dimensione lavorativa. Il quinto percorso è di riqualificazione collettiva e sarà specifico per le situazioni di crisi aziendali.
 
I lavoratori over cinquantacinque sono esplicitamente richiamati tra i lavoratori fragili e vulnerabili, a dimostrazione che c’è la volontà, da parte dello Stato, di supportare questa fascia di età nel lavoro non solo con gli incentivi per le assunzioni rivolti alle aziende, ma anche con politiche volte alla riqualificazione delle competenze.
 
Cosa possono fare le aziende per valorizzare gli over 50
 
Anche le aziende possono concorrere alla valorizzazione dei lavoratori maturi, nonostante ad ora risultino per lo più impreparate. Per poter percorrere questa strada, esse devono aver ben presente i benefici che ogni organizzazione potrebbe ottenere da una corretta ed efficiente gestione della forza lavoro multigenerazionale.
 
La ricerca Over 50: istruzioni e strumenti per una corretta valorizzazione dei lavoratori più maturi realizzata da Randstad sottolinea le dimensioni che risultano utili a sostenere gli over 50: la prima riguarda l’identità organizzativa, per cui la comunicazione dell’ identità dell’azienda dovrebbe essere sostenuta da una narrazione convincente e avvincente; la seconda riguarda il clima organizzativo, e nello specifico la promozione dell’autonomia e del controllo individuale sul proprio lavoro e la lotta contro gli stereotipi legati all’età; infine la terza componente riguarda l’arricchimento del tessuto relazionale attraverso la promozione di scambi tra generazioni differenti. In particolare, all’aumentare dell’identità organizzativa, dello scambio intergenerazionale e del controllo, le persone hanno rispettivamente tre volte in più, due volte e mezzo in più e due volte in più la probabilità di essere un talento attivo.
 
Al fine di aumentare la probabilità di avere e sostenere i talenti attivi nei lavoratori over 50, occorre che le aziende investano sulla loro identità organizzativa, sul favorire una collaborazione reciproca tra le generazioni e su alcune dimensioni di clima. In particolare, risulta fondamentale la lotta contro gli stereotipi e le discriminazioni legate all’età, così come il controllo e l’autonomia nel gestire il proprio lavoro.
 
In questa direzione, esistono delle aziende che si attivano con programmi ad hoc per continuare a sostenere l’entusiasmo degli over cinquanta. Tali programmi rientrano nella branca dell’Age Management e prevedono pratiche mirate per affrontare l’invecchiamento della forza lavoro, gestire il prolungamento della vita lavorativa e promuovere le pari opportunità tra lavoratori di diverse fasce di età. L’Age Management è, a sua volta, una branca della gestione e inclusione delle diversità.

Affinché sia efficace, è certo che non è sufficiente concentrarsi su un unico target come le nuove generazioni o gli over cinquanta, perché in questo modo si rischia di non cogliere le opportunità derivanti dall’integrazione delle diverse fasce d’età. Corrette politiche di Age Management dovrebbero portare al superamento dei tradizionali stereotipi sull’età (sia sui giovani che sugli anziani) e sviluppare un orientamento al confronto tra le diverse generazioni che garantisca ai lavoratori di sviluppare appieno il proprio potenziale.
 
Conclusioni
 
Si sono delineate le difficoltà che emergono nell’affrontare la sfida dell’innalzamento dell’età nel mondo del lavoro, i rischi che questa situazione pone, ma anche i vantaggi che potrebbe offrire se ben gestita. Il focus è stato sui lavoratori maturi, a volte non correttamente considerati nelle loro potenzialità: infatti, se parte dei cinquantenni è proiettata verso la pensione poiché ritiene di aver esplorato ogni possibilità di realizzazione, c’è una parte di loro che ritiene di poter dare  (e ricevere) ancora molto dal lavoro. È perciò importante lavorare sia sulla motivazione che sulle opportunità da offrire a questa fascia d’età. Come dice un antico proverbio africano “il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada”: la sfida odierna è dunque quella di riuscire a far camminare insieme le diverse generazioni, affinché questa collaborazione sia proficua per tutti.
 
Annamaria Guerra

ADAPT Junior Fellow

@Annamar95342398

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