Alcune precisazioni tecniche sulla proposta di legge per un salario minimo legale di 9 euro lordi

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Bollettino ADAPT 17 luglio 2023 n. 27
 
Il confronto politico sul salario minimo per legge è affrontato, in Italia, con un eccessivo grado di astrazione. È questa una delle ragioni della estrema polarizzazione del dibattitto pubblico su una materia che, di per sé, è caratterizzata da un elevatissimo tasso di complessità tecnica. Le numerose proposte di intervento legislativo, che si susseguono con insistenza da dieci anni a questa parte, sembrano infatti non conoscere le reali dinamiche dei trattamenti retributivi nei diversi settori economici e produttivi che sono oggi governate da una ricca e diversificata contrattazione collettiva di livello nazionale. Sollecitare un intervento legislativo sui salari senza conoscerne l’attuale struttura e composizione non può portare a nulla di buono rispetto a una emergenza che certamente esiste e che, tuttavia, impone interventi che vadano oltre gli slogan e le bandiere politiche.
 
Obiettivo del focus ADAPT sui salari (vedi C. Tucci, Lavoro, così la retribuzione contrattuale batte i 9 euro lordi del salario minimo, Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2023) è stato dunque semplicemente, al di là di ogni pregiudiziale politica e tanto meno partitica, quello di verificare, dati alla mano, quali siano oggi i trattamenti salariali stabiliti da alcuni dei principali contratti collettivi di lavoro. Come ricorda correttamente la professoressa Maria Cecilia Guerra (vedi M. Cecilia Guerra, Chi lavora in Italia sotto la soglia del salario minimo, Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2023) la data di pubblicazione del focus ADAPT è del 3 luglio mentre il testo della proposta legislativa a firma Conte, Fratoianni, Richetti, Schlein e altri è del giorno successivo. Vero anche che questa nuova proposta, presentata il 4 luglio, è identica, sul punto del contendere, al disegno di legge Catalfo del 22 aprile 2021 e pertanto i termini della questione sulla tariffa oraria, pari a 9 euro lordi, ci erano ampiamente noti. Se mai va precisato che la proposta Catalfo era tecnicamente più razionale e coerente rispetto al testo del 4 luglio, che ha consentito di raggiungere un compromesso tra forze politiche non omogenee, perché non si limitava a una determinazione del salario minimo di legge, ma si preoccupava anche di intervenire sulla rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva.
 
La precisazione di cui sopra non è marginale, rispetto ai rilievi di merito della professoressa Guerra sul focus di ADAPT, perché l’interpretazione che intende suggerire del testo di legge in questione, invero non suffragata da alcun un dato testuale esplicito, è che i contratti collettivi sarebbero tenuti per legge a fissare non un “minimo orario” ma un “minimo tabellare” (e gli addetti ai lavori sanno esattamente a cosa mi riferisco) pari almeno a 9 euro lordi. Una interpretazione questa che, peraltro, sarebbe palesemente incostituzionale perché alla legge è vietato imporre alcun obbligo al sindacato salvo non si intenda attuare l’articolo 39 della Costituzione il che, ovviamente, implica di seguire una strada ben diversa da quella prospettata nel disegno di legge in questione e andare dritti sulla regolazione della rappresentanza come del resto ha recentemente suggerito Maurizio Landini. Con la conseguenza che il trattamento economico minimo di cui parliamo è semplicemente un obbligo per i soli datori di lavoro e non per il sindacato.
 
Ma v’è molto di più, anche a prescindere dal fatto che, se fosse plausibile la proposta interpretativa suggerita dalla professoressa Guerra, il trattamento minimo imposto ai contratti collettivi (e ai datori di lavoro) sarebbe non di 9 euro lordi ma di almeno 10 o anche 11 euro lordi, a seconda dei criteri di calcolo imposti dai vari contratti collettivi e delle diverse figure professionali, perché al “minimo tabellare” vanno inderogabilmente aggiunte tutte le altre voci che concorrono alla definizione del trattamento retributivo sufficiente e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
 
Sfugge infatti, ai promotori della iniziativa, che i contratti collettivi nazionali di settore (salvo rare eccezioni) non distinguono il trattamento retributivo tra complessivo e minimo nel senso che è il trattamento retributivo complessivo il minimo imposto, per profilo professionale e livello contrattuale, al datore di lavoro. Tanto meno i contratti collettivi in Italia fissano un trattamento retributivo orario! I contratti collettivi parlano infatti, unicamente, di una retribuzione mensile indicando poi un divisore orario e le voci che devono essere conteggiate per arrivare al minimo orario contrattuale che è proprio il concetto usato dalla proposta di legge in esame. Prendiamo, come esempio, il contratto sottoscritto da Federmeccanica-Assistal e Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm (Parte sindacale). L’art. 3 della sezione IV, titolo IV, dispone che “la retribuzione dei lavoratori è determinata in misura fissa mensile. La retribuzione oraria dei lavoratori ai fini dei vari istituti contrattuali, si determina dividendo per 173 i minimi tabellari della classificazione unica, gli aumenti periodici di anzianità, gli aumenti di merito nonché gli altri compensi eventualmente fissati a mese. A tale importo si aggiungeranno gli eventuali elementi orari della retribuzione quali, ad esempio, incentivi, indennità varie, ecc..”. Una conferma, tutto questo, della correttezza dei conteggi salariali contenuti nel focus di ADAPT sui trattamenti orari minimi contrattuali (che non sono quelli tabellari) alla luce dei quali la proposta in discussione si rileva velleitaria: velleitaria non certo nei fini (questo non compete a noi dirlo) ma indubbiamente nella sua formulazione tecnica proprio perché non tiene conto della realtà e delle dinamiche retributive contrattuali del nostro Paese.
 
Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

@MicheTiraboschi

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