Bollettino ADAPT 20 gennaio 2025, n. 3
È stato presentato lo scorso 14 gennaio il rapporto Inapp 2024, dal titolo Lavoro e formazione. Necessario un cambio di paradigma. Il testo, che si articola attorno a tre capitoli tematici rispettivamente dedicati al mercato del lavoro, alle politiche del lavoro, alla formazione e all’apprendimento permanente, offre al lettore preziosi dati e spunti utili a ripensare il rapporto che lega i due termini citati del titolo nonché i recenti trend del mercato del lavoro e della produttività. Nonostante alcuni elementi positivi, emergono ad una lettura d’insieme diverse criticità sulle quali si concentra il presente contributo, ponendo particolare attenzione ai percorsi e agli strumenti utili a favorire l’integrazione tra formazione e lavoro.
Un primo dato su cui è possibile soffermare l’attenzione riguarda l’importante aumento di soggetti beneficiari di politiche attive in Italia, che dal 2021 superano quelli che godono di politiche passive. Il merito è da imputare principalmente al programma Garanzia Occupabilità Lavoratori – GOL, che con una dotazione complessiva di 5,4 miliardi di euro garantita dal PNRR ha raggiunto l’importante cifra di 3,1 milioni di persone prese in carico. Le criticità sorgono nel momento in cui si approfondisce, come fa il rapporto, cosa accade ai beneficiari dopo l’iniziale fase di presa in carico: per quanto di nostro interesse, solo circa 1,3 milioni (dati aggiornati a giugno 2024) hanno ricevuto una politica di attivazione, quasi la metà dei presi in carico in quello stesso periodo (circa 2,5 milioni). Del (già limitato rispetto al totale) numero di beneficiari, solo il 18,8%, circa 250.000 persone, hanno iniziato percorsi di formazione. È questo un dato preoccupante perché è proprio la partecipazione ad efficaci e mirati percorsi formativi che viene individuata quale leva cruciale per favorire un’occupazione di qualità, garantendo ai lavoratori competenze adeguate a governare – e non subire – le trasformazioni tecnologiche, economiche e organizzative in atto. Non stupisce infatti constatare come il 75,2% dei presi in carico dichiari «spiccato interesse a partecipare ad attività di formazione», che però non vengono erogate.
Il rapporto Inapp individua nell’assenza di un’offerta formativa adeguata a livello territoriale, nella scarsa collaborazione tra pubblico e privato, e in generale su una complessa rigidità del programma, gli elementi alla base di tale insuccesso. Ciò che si può aggiungere, in questa sede, è che le criticità finora richiamate altro non fanno che confermare uno storico problema italiano: la difficoltà non solo di progettare, ma soprattutto di implementare concretamente percorsi di formazione svolti in collaborazione con il mondo del lavoro. Il contributo dei sistemi formativi, sul punto, è sostanzialmente nullo, così come quello delle parti sociali. Ma non si può oggi pensare, e il rapporto Inapp lo conferma, che efficaci politiche attive per la gestione delle transizioni occupazionali possano essere governate solo dall’attore pubblico o solo attraverso il protagonismo dei servizi per il lavoro regionali (per approfondire, vedi Assolombarda, ADAPT, Le politiche attive nei moderni mercati transizionali del lavoro, Ricerca n. 13/2021 e A. Sartori, A. Trojsi, D. Garofalo, L. Zoppoli, M. Tiraboschi, S. Ciucciovino (a cura di) Flexicurity e mercati transizionali del lavoro. Una nuova stagione per il diritto del mercato del lavoro?, ADAPT University Press, 2021).
Il rapporto dedica spazio anche ai percorsi di istruzione e formazione professionale che, più di altri, si caratterizzano per una spiccata integrazione tra formazione e lavoro. Viene quindi presentata la filiera formativa tecnologico-professionale (la c.d. sperimentazione 4+2), e dati sugli IFTS e ITS. Anche in questo caso, elementi positivi sono riscontrabili nell’innovazione introdotta con i percorsi quadriennali, i quali si caratterizzano (e si dovranno caratterizzare) per la collaborazione con altre istituzioni formative territoriali, di diverso livello, e anche con il mondo delle imprese (per approfondire vedi E. Massagli, Progettare e gestire i «Campus formativi». Filiera tecnologico-professionale e competenze organizzativo-relazionali, Studium, 2024). Si conferma, però, anche la presenza di diverse criticità: in prima battuta, il perdurante dualismo tra istituti professionali e percorsi di istruzione e formazione professionale. La sperimentazione non aggredisce di petto il tema, cercando piuttosto di favorire una collaborazione tra questi due ambiti: ma mentre i primi sono, ancora oggi, alla ricerca di un’identità propria (tra la spinta verso la IeFP, che li svuoterebbero però di senso, e i processi di “liceizzazione”), i secondi sono scarsamente diffusi sul territorio nazionale – il 26% degli iscritti a livello nazionale era concentrato, nel 2022, in Lombardia – e scontano ancora oggi pregiudizi che li relegano ad essere, se non la seconda, la terza scelta per gli studenti in uscita dai percorsi di istruzione secondaria inferiore o, più spesso, in cerca di un nuovo percorso dopo un abbandono. Problemi che la sperimentazione non affronta, e che però limitano e continueranno a limitare l’efficacia, la riconoscibilità e lo sviluppo dell’istruzione e della formazione professionale.
Basati sulla stretta integrazione tra istituzioni formative e mondo del lavoro, e scarsamente diffusi a livello nazionale sono i percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (gli IFTS già richiamati): il rapporto Inapp conta (solo) 4.336 iscritti nel 2022, per un totale di 198 corsi. Le disparità regionali già osservate con riferimento ai percorsi IeFP sono qui ancora più marcate: le regioni nei quali risultano attivati corsi IFTS sono 8, e il 68% dei corsi si concentra in Lombardia (75 corsi) ed Emilia-Romagna (60 corsi). In crescita invece gli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy), i cui iscritti (circa 25.000 nel 2023) “pesano” però solo l’1% degli iscritti totali a percorsi terziari, con l’Università che rappresenta ancora oggi il percorso post-diploma assolutamente prevalente. In altri Paesi europei la situazione è ben diversa: i frequentanti percorsi terziari non accademici o comunque professionalizzanti sono il 55% in Francia, il 25% in Spagna, il 16% in Austria, il 9% in Germania (dati Eurostat). I percorsi autenticamente duali, quindi, crescono (molto lentamente) in Italia e rappresentano ancora un’assoluta minoranza (per approfondire, vedi ADAPT, Intesa Sanpaolo, L’apprendistato di alta formazione per il conseguimento del diploma ITS: dati, esperienze, prospettive, Report del progetto Skill Alliance, 2023)
Con riferimento all’apprendistato, il rapporto non introduce elementi di novità rispetto a quelli già contenuti nel rapporto monotematico dello scorso ottobre 2024 (per un approfondimento vedi M. Colombo, G. Impellizzieri, M. Tiraboschi, Dove va l’apprendistato? Osservazioni e proposte a partire dell’ultimo rapporto Inapp-Inps, in Bollettino ADAPT 25 novembre 2024, n. 42). Il documento in commento propone in particolare, l’allargamento dell’apprendistato anche agli adulti: una proposta che merita indubbiamente attenzione, ma secondaria rispetto alla vera criticità che caratterizza, in maniera macroscopica, questo istituto: l’assoluto predominio dell’apprendistato professionalizzante (che rappresenta il 97,7% dei contratti) e la scarsa diffusione dell’apprendistato di primo (2,1%) e terzo livello (0,9%) (in tema vedi la recente monografia G. Impellizzieri, Contributo allo studio giuridico del «sistema» dell’apprendistato, ADAPT University Press, 2024). Anche in questo caso, i percorsi caratterizzati da una stretta integrazione tra formazione e lavoro sono quelli che sperimentano le maggiori difficoltà ad affermarsi.
Attenzione meritano le analisi dedicati ai tirocini extracurriculari, dove emergono (almeno) due criticità. La prima è di metodo e, più precisamente, riguarda i criteri scelti per classificare le diverse tipologie di tirocinanti. Il Rapporto evidenzia come «il tirocinio sia sempre più uno strumento per l’inserimento/reinserimento nel mondo del lavoro piuttosto che un canale utile all’orientamento nelle scelte professionali e all’occupabilità nel percorso di transizione tra scuola e lavoro» (p. 169), e sottolinea subito dopo come «i giovani usciti da meno di un anno da percorsi di istruzione o formazione non superano il 10%». In realtà, ad un’attenta lettura del dato – ricavabile grazie alla consultazione diretta del rapporto sui tirocini extracurriculari pubblicato dall’ANPAL nel 2024 – si nota come tali categorie ricalchino quelle previste dalle Linee Guida sui tirocini approvate nel 2013 e che, sebbene siano oggi ampiamente superate, ad esse fanno ancora riferimento le Comunicazioni Obbligatorie (COB). In altre parole: ad oggi, la COB inviata all’atto di attivazione di un tirocinio indica dati scorretti perché superati. I dati (molto problematici) riguardanti i tirocini extracurriculari meriterebbero un commento a sé stante: per quanto qui di interesse, basti segnalare che tra gli enti promotori di questi percorsi le Università pesano solo il 3,2% del totale, e le istituzioni scolastiche lo 0,7%: a conferma, anche in questo caso, di un profondo scollamento tra sistemi formativi e mondo del lavoro (invero, già da tempo denunciato: vedi ad esempio AA.VV., Abolire i tirocini extracurriculari, in Bollettino ADAPT 6 dicembre 2021, n. 43).
Il rapporto Inapp 2024 contiene numerose altre analisi: quanto finora emerso pare però sufficiente per affermare che l’integrazione o più semplicemente collaborazione tra formazione e lavoro, pur auspicata da numerosi atti di indirizzo, non ultimo il Piano Nazionale Competenze-Transizioni, sperimenta numerose difficoltà nel nostro Paese. Nell’ambito delle politiche attive, quando si tratta di implementare efficaci percorsi di formazione utile alla riqualificazione del personale, il meccanismo sembra incepparsi; se si guarda ai percorsi “duali”, questi subiscono ancora atavici pregiudizi per i quali sarebbero percorsi di scarsa qualità – proprio perché più “vicini” al lavoro – e, seppur in crescita, sono ancora poco diffusi; l’apprendistato nelle due tipologie che integrano formazione e lavoro, basandosi su una collaborazione tra istituzione scolastiche, formative, universitarie e imprese non si afferma, nonostante le riforme adottate, gli incentivi e le sperimentazioni; e infine i tirocini extracurriculari, di fatto competitor dell’apprendistato, sono scarsamente promossi proprio da quelle istituzioni che, più di altre, potrebbero (o dovrebbero) utilizzarli per accompagnare l’ingresso dei giovani in uscita dai sistemi formativi nel mercato del lavoro.
Difficile immaginare, in poche righe, come affrontare le criticità finora descritte. Di certo, ciò che emerge è il reiterarsi di un paradigma – quello di cui il rapporto invoca un cambiamento – per il quale formazione e lavoro sono ancora pensati come qualcosa di distante, da tener separato. Se il primo passo è quindi un ripensamento del senso di questi termini, oggi, il secondo riguarda gli attori che, più di altri, risultano ancora ai margini di questi processi di integrazione e che però potrebbero avere un ruolo decisivo, come già l’hanno avuto in passato: le parti sociali. A loro, in particolare, è consegnata la sfida di questo ripensamento, al fine di sviluppare strumenti innovativi e percorsi formativi capaci di costruire le competenze (davvero) richieste per governare le transizioni in atto e favorire l’occupabilità di tutti i lavoratori.
Allegato informativo. Principali dati estratti dal Rapporto Inapp 2024
Matteo Colombo
Direttore Fondazione ADAPT
ADAPT Senior Fellow