Al cuore del lavoro agile: certificazione delle competenze e alfabetizzazione digitale degli adulti

Nel dibattito sul lavoro agile, come spesso accade, una posizione marginale è riservata alla riflessione sul ruolo della formazione e delle competenze. Eppure se una cosa è certa – al di là delle visioni in campo e delle diverse opinioni sui migliori strumenti di regolazione per le forme di lavoro che ricadono sotto questa etichetta – è che le trasformazioni in atto hanno una dimensione unificante nell’esistenza di nuovi strumenti e processi che superano i confini dei luoghi di lavoro per abbracciare la vita delle persone. Dominare tali asset dovrebbe essere il primo obiettivo dei lavoratori e delle imprese che si affacciano a questo scenario.

 

Non si tratta, a ben vedere, di padroneggiare esclusivamente strumenti e tecnologie, ma soprattutto informazioni e conoscenza, e qui la riflessione sul lavoro agile come modalità di organizzazione di tempi, spazi, modelli operativi e gestionali incrocia inevitabilmente quella sui lavori e sui lavoratori della conoscenza, categoria sempre più importante sul piano sociologico e che accomuna i lavoratori per cui la qualità della prestazione è sempre più determinata dalla capacità di comprendere e risolvere problemi, proporre idee e innovare, costruire relazioni.

 

Lavoratori a cui è richiesto di sviluppare nuove abilità e competenze, che non sono ancora formate nei sistemi di istruzione e formazione e, se appaiono connaturate agli schemi cognitivi dei cosiddetti “nativi digitali”, pongono una grossa sfida ai lavoratori di oggi. Come garantire l’accesso dei lavoratori ad opportunità di apprendimento coerenti con i cambiamenti organizzativi in atto? Come formare le nuove competenze? Come riconoscerle?  La personalizzazione dei metodi, dei tempi, dei luoghi e un ripensamento degli obiettivi e degli strumenti per un diritto alla formazione sostanziale appaiono cruciali.

 

La dimensione delle competenze indispensabili per accompagnare l’evoluzione del lavoro agile – assente nello schema di disegno di legge presentato dal Governo, appena accennata nel precedente disegno di legge Mosca che all’art. 3 includeva tra i diritti del lavoratore lo sviluppo delle opportunità di carriera e la formazione – viene valorizzata agli artt. 5 e 7 del Disegno di legge N. 2229 comunicato alla Presidenza il 3 febbraio 2016 “Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale”.

 

L’art. 5 (Diritto all’apprendimento continuo e certificazione delle competenze) al comma 1 prevede che ai lavoratori coinvolti in forme di lavoro agile sia riconosciuto un diritto all’apprendimento continuo, in modalità formali, non formali o informali, regolato dall’accordo tra le parti o dal contratto collettivo applicabile. Tale diritto in ogni caso dà luogo, ogni dodici mesi, a carico del datore di lavoro o del committente, a una certificazione competenze sviluppate dai lavoratori ai sensi della legislazione vigente. L’obiettivo è, da un lato, promuovere e riconoscere opportunità di crescita personalizzate, per adattarsi alle diversi situazioni di lavoro e di apprendimento; dall’altro, quello scongiurare eventuali ostacoli che potrebbero insorgere per questi lavoratori, legati ad una appartenenza fluida all’organizzazione di riferimento, che potrebbe scoraggiare gli investimenti in formazione e il riconoscimento delle competenze, come dimostrato dalla tradizionale discriminazione dei lavoratori atipici nell’accesso alle opportunità formative e dalla ritrosia delle imprese a certificarne le competenze. La previsione, ogni 12 mesi, di momenti di confronto, verifica e riconoscimento delle competenze maturate – oltre a costituire uno strumento di tutela nella prospettiva della mobilità interna o esterna del lavoratore – costituisce una opportunità di allineamento periodico degli obiettivi individuali e aziendali che argina il rischio di frammentazione potenzialmente insito in tali forme organizzative.

 

Il comma 2 prevede che, in attesa della messa a regime del sistema di cui al decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13 (si rimanda ai diversi contributi pubblicati sul tema dal nostro gruppo di ricerca e raccolti alla voce Certificazione delle competenze dell’Indice AZ su www.adapt.it), la certificazione delle competenze sia resa su base volontaria da una delle commissioni di cui all’articolo 76, comma 1, lettera a) e c) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, a condizione che operino in convenzione con uno o più fondi interprofessionali per la formazione continua  di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni. Si valorizza dunque il ruolo delle commissioni di certificazione collegando non solo idealmente ma anche sul piano operativo il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze dei lavoratori al superamento delle asimmetrie informative connesse ai rapporti di lavoro e alla promozione di una flessibilità regolata e sostenibile (vedi F. Pasquini, G. Bubola, Autonomia, subordinazione, parasubordinazione: guida pratica alla costruzione di un contratto di lavoro e alla sua certificazione, in Bollettino Certificazione n. 2/2013). Altrettanto valorizzato ne risulta il ruolo dei fondi interprofessionali per la formazione continua, in questi giorni al centro di un importante dibattito che riguarda la natura stessa dei fondi e le loro funzioni, dibattito il cui esito non potrà eludere il dato di fatto dell’urgenza di una rinnovata centralità di tali attori e di un loro ri-allineamento alle sfide in atto.

Da sempre ritenuto marginale nelle logiche di intervento dei fondi, l’impegno sul versante della certificazione delle competenze sembra un obiettivo imprescindibile a fronte di una sempre più pressante richiesta di aumentare l’efficacia e la portata degli interventi di formazione continua, non da ultimo garantendo la trasferibilità delle competenze maturate dai lavoratori.

Proprio in tale direzione il comma 3 dell’articolo in commento prevede che per il finanziamento dei servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze dei lavoratori agili, a carico del datore di lavoro o del committente, siano mobilitabili le risorse disponibili a titolo di conto aziendale ovvero stanziate dai fondi mediante appositi avvisi. Ai servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze è inoltre riconosciuto il più alto valore, assimilandoli agli interventi di formazione generale ai sensi dell’articolo 38 del Regolamento (CE) n. 800/2008 (REGOLAMENTO (CE) N. 800/2008 DELLA COMMISSIONE del 6 agosto 2008 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato) i quali godono di particolare favore in relazione alla intensità dell’aiuto concedibile alle imprese che investono in formazione.

 

L’articolo 7 (Misure promozionali e incentivanti e piano nazionale per l’alfabetizzazione digitale degli adulti) prevede che per il biennio 2016 – 2017 sia destinata una somma di 100 milioni di euro al fine di promuovere un piano nazionale per l’alfabetizzazione digitale degli adulti disciplinato con apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le risorse, secondo quanto previsto dall’art. 7, opererebbero in termini di cofinanziamento al 35 per cento con riferimento a piani formativi promossi dal sistema dei fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni.

 

Con tale previsione il disegno di legge Sacconi colma il vuoto al momento esistente relativo agli investimenti in formazione degli adulti e al coinvolgimento delle imprese nello sforzo di attuazione dell’Agenda digitale, dando nuova linfa progettuale e propulsiva ai fondi bilaterali messi al margine dalle più recenti riforme (vedi Casano, “Il sistema della formazione: fondi interprofessionali, certificazione delle competenze”, in (a cura di) M. Tiraboschi, Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Commento sistematico dei decreti legislativi nn. 22, 23, 80, 81,148,149, 150 e 151 del 2015 e delle norme di rilievo lavoristico della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità per il 2016), Giuffré, Milano, 2016) ora chiamati a gestire, in una virtuosa logica di cofinanziamento, le somme dello 0,30 destinate ma non utilizzate per la formazione continua in assenza di una precisa iniziativa da parte della singola azienda.

 

A fronte di numerose iniziative in corso nel nostro Paese e riassumibili sotto l’etichetta di Agenda digitale, volte a innovare in particolare infrastrutture, servizi, pubblica amministrazione e a creare “ecosistemi digitali” (dalla scuola, alla sanità, alla giustizia, all’agricoltura, al turismo), i livelli di analfabetismo digitale nel nostro Paese restano allarmanti e non emerge un piano strutturato di interventi per promuovere l’innovazione nelle imprese (fatta eccezione per il sostegno a start-up e PMI innovative). Le imprese italiane hanno tradizionalmente espresso una bassa domanda di competenze digitali: a fronte di un cambiamento dei modelli organizzativi incentrato sull’utilizzo di nuove tecnologie anche il profilo delle competenze su cui le imprese investono deve cambiare, per consentire ai lavoratori di sottrarsi a un rischio di analfabetismo che supera di gran lunga quello connesso alle competenze “informatiche”. Si rivelano necessari, cioè, interventi di più ampio respiro, volti a promuovere l’utilizzo delle tecnologie di informazione e comunicazione (TIC) per  il lavoro, per comunicare e per partecipare attivamente alla società, o, citando la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, (2006/962/CE)per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet”. Seguendo ancora il testo della Raccomandazione “le persone dovrebbero anche essere capaci di usare le TSI a sostegno del pensiero critico, della creatività e dell’innovazione”; nella stessa direzione di sostegno a uno sviluppo integrale della persona, si rileva poi come l’uso delle TSI comporti “un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni disponibili e un uso responsabile dei mezzi di comunicazione interattivi” e si sottolinea la correlazione tra competenze digitali e “interesse a impegnarsi in comunità e reti a fini culturali, sociali e/o professionali”.

 

L’investimento in alfabetizzazione digitale si pone dunque come un tassello importante a fronte di modelli di organizzazione del lavoro orientati al risultato, svincolati dalla logica della “presenza fisica” sul luogo di lavoro, incentrati sull’utilizzo di piattaforme e strumenti tecnologici. La padronanza di tali strumenti rappresenta del resto una condizione imprescindibile per la tutela del lavoratore non solo in relazione ai profili di salute e sicurezza, ma anche a quelli legati allo sviluppo della professionalità.

 

 

Lilli Casano

ADAPT Research Fellow

@lillicasano

 

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