Salari, inflazione e produttività: due piani di un problema ancora aperto
| di Jacopo Sala, Silvia Spattini
Bollettino ADAPT 3 novembre 2025, n. 38
La questione salariale in Italia si articola su due piani principali, tra loro connessi ma differenti: quello congiunturale, legato alla perdita di potere d’acquisto provocata dall’inflazione, e quello strutturale, che riguarda la debole dinamica della produttività del lavoro, il vero limite di lungo periodo ad una crescita sostenuta delle retribuzioni. Due dimensioni distinte dello stesso problema, che richiedono strumenti e approcci complementari: la prima, una risposta immediata e adeguata alla dinamica dei prezzi; la seconda, una strategia di medio-lungo termine per rafforzare la competitività e la qualità del lavoro.
Inflazione ed erosione del valore reale delle retribuzioni
Gli ultimi dati Istat diffusi la scorsa settimana (ISTAT, Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali – III trimestre 2025) confermano l’andamento positivo delle retribuzioni contrattuali: a settembre 2025 l’aumento tendenziale dell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è pari al 2,6% per il totale dell’economia, con alcune differenze tra settore privato (+2,4%) e PA (+3,3%). Tuttavia, in termini reali, il valore delle retribuzioni contrattuali resta inferiore di circa il 9% rispetto ai livelli di gennaio 2021.
Questo dato riflette soprattutto un problema di erosione del potere d’acquisto dovuto all’impennata dei prezzi nel biennio 2022–2023, aggravato dal ritardo di alcuni rinnovi contrattuali (per un approfondimento sul tema si veda J. Sala, S. Spattini, La (lenta) ripresa delle retribuzioni contrattuali, Working Paper ADAPT, n. 2/2025). Sempre Istat evidenzia che il 45,4% dei CCNL monitorati dall’istituto è in attesa di rinnovo, una quota destinata a superare il 50% a gennaio 2026 in assenza di nuovi accordi.
Nel breve periodo, il nodo principale da affrontare resta dunque il recupero del potere d’acquisto. Da qui l’urgenza per la contrattazione collettiva – e in particolare quella di livello nazionale – di rispondere in maniera più tempestiva alla dinamica inflazionistica, accelerando le tempistiche dei rinnovi e garantendo un adeguato incremento dei minimi tabellari.
La questione della produttività
Tuttavia, nel medio-lungo termine, il vero ostacolo alla crescita salariale è rappresentato dalla scarsa dinamica della produttività, che storicamente caratterizza il nostro Paese. Dai dati presentati nel primo rapporto sulla produttività recentemente diffuso dal CNEL (CNEL, Rapporto annuale sulla produttività, 2025) emerge come dal 1995 al 2024 la produttività del lavoro in Italia sia cresciuta in media di appena lo 0,2% l’anno, contro l’1,2% della media UE. Se poi si restringe l’orizzonte di osservazione al periodo più recente (2019–2024), si nota come la produttività del lavoro in Italia abbia addirittura registrato una dinamica negativa (-0,1%), a fronte di un aumento dello 0,4% a livello UE.
Se nell’immediato la priorità è dunque recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione, nel medio-lungo termine è la stagnazione della produttività a limitare la crescita sostenibile dei salari.
In questo discorso, è però importante evidenziare che il legame tra produttività e salari non è unidirezionale: secondo alcuni studi (si veda F. Colonna, F. Scoccianti, E. Viviano, Il rallentamento della produttività nell’area euro e il ruolo dei prezzi dei fattori di produzioni, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, 2025), la debole dinamica salariale degli ultimi anni ha spinto molte imprese a fare maggiore affidamento sul fattore lavoro (perché più conveniente), rinviando investimenti in capitale, infrastrutture e tecnologie – i principali driver della produttività – e contribuendo così a configurazioni a maggiore intensità di lavoro e dunque a una produttività complessiva più debole. In questo senso, salari bassi non sono solo un effetto della scarsa produttività, ma anche una delle cause che la alimentano, creando un circolo vizioso che frena la crescita generale (si veda J. Sala, Il circolo vizioso che affossa i salari, in Bollettino ADAPT, n. 2/2025).
Le cause della bassa produttività nel nostro Paese sono molteplici e strutturali (dalla struttura produttiva caratterizzata dalla prevalenza di microimprese alla scarsa propensione delle aziende italiane a investire in innovazione, fino ai deficit di competenze digitali tra i lavoratori italiani, ecc.), la contrattazione collettiva può però avere un ruolo attivo nel favorirne la crescita attraverso il secondo livello (aziendale o territoriale), concepito per stimolare la produttività – attraverso premi di risultato, innovazioni organizzative e strumenti di partecipazione (si veda ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2024). XI Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2025) – e redistribuirne i guadagni.
In tal senso, il rafforzamento della contrattazione di secondo livello potrebbe rappresentare anche una risposta alla ricorrente proposta di adeguare i salari alla produttività “locale”, non omogenea sul territorio nazionale. Infatti, se da un lato non è certamente possibile derogare in riduzione i minimi tabellari, dall’altro la contrattazione decentrata offre già la possibilità di agganciare una parte della retribuzione alla produttività effettiva. Il limite principale resta tuttavia la scarsa diffusione complessiva di questi strumenti (sul punto si veda, G. Comi, M. Menegotto, J. Sala, F. Seghezzi, S. Spattini, M. Tiraboschi, Incentivi pubblici e contrattazione di produttività. Cosa emerge dai report del Ministero del lavoro (2016-2024)?, Working Paper n. 10/2025, ADAPT University Press).
La manovra finanziaria e le leve fiscali
Su questo quadro si innesta la manovra di bilancio per il 2026, che mira a incrementare i salari netti attraverso interventi di natura fiscale. In particolare, due sono le principali misure: (1) una aliquota fiscale ridotta al 5% sugli aumenti retributivi stabiliti da CCNL rinnovati negli anni 2025 e 2026 ed erogati nel 2026a favore dei lavoratori con redditi fino a 28.000 euro (si veda G. Impellizzieri, S. Spattini, M. Tiraboschi, Salari, costo del lavoro, tutela del potere di acquisto dei lavoratori: verso una buona legge di bilancio? in Bollettino ADAPT, n. 36/2025); (2) la riduzione dell’aliquota sostitutiva dal 5% all’1% sui premi di risultato (si veda S. Spattini, Aliquota all’1% sul premio di risultato: tra vantaggio fiscale e impatti su welfare e costo del lavoro, in Bollettino ADAPT, n. 37/2025).
Con particolare riferimento alla tassazione agevolata sugli aumenti retributivi, per quanto possa tradursi in incrementi dei salari netti, gli effetti prodotti sono limitati. L’aumento reale delle buste paga risulta infatti modesto e non è sufficiente a colmare il divario creatosi negli ultimi anni tra andamento dei salari nominali e inflazione. D’altra parte, gli interventi fiscali possono portare un limitato supporto, ma non è questo il modo per colmare il gap, che compete invece alla contrattazione collettiva.
Inoltre, se davvero l’obiettivo è rafforzare la contrattazione di secondo livello legata alla produttività, occorre intervenire anche sul versante delle imprese. I regimi di tassazione sostitutiva sui premi di risultato rappresentano un incentivo e un vantaggio economico per i lavoratori, non per i datori di lavoro. Inoltre, soprattutto nelle piccole e medie imprese, la complessità gestionale e i costi amministrativi tendono a scoraggiare la negoziazione di accordi aziendali.
Per rendere davvero conveniente la contrattazione decentrata, sarebbe necessario introdurre misure di decontribuzione, che riducano il costo del lavoro. Tuttavia, la questione della riduzione della contribuzione sociale rappresenta un nodo delicato, poiché ogni intervento in questa direzione deve tener conto dell’equilibrio finanziario del sistema pensionistico.
Jacopo Sala
ADAPT Research Fellow
@_jacoposala
Silvia Spattini
Ricercatrice ADAPT
@SilviaSpattini
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