Cambiare contratto collettivo durante le trattative per il rinnovo: il caso del settore delle telecomunicazioni tra (i decreti di) Trani e Campobasso

Interventi ADAPT

| di Giovanni Piglialarmi, Michele Tiraboschi

Bollettino ADAPT 22 settembre 2025, n. 32

Il dibattito pubblico sui temi sindacali e del lavoro si è recentemente focalizzato sul controverso e delicato tema del dumping contrattuale. L’attenzione è corretta per le gravi distorsioni che il fenomeno alimenta nella concorrenza tra imprese e per il pregiudizio arrecato ai lavoratori fortemente penalizzati in punto di salari e tutele previdenziali (di questo se ne dà ampia documentazione in G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Fare contrattazione nel terziario di mercato, ADAPT University Press, 2025, voll I e II).

Da questa prospettiva di grande interesse è la vicenda che ha accompagnato il mancato rinnovo contrattuale nell’ambito del settore delle telecomunicazioni a cui ha fatto seguito la decisione di Assocontact, l’associazione datoriale che rappresenta le aziende di call center in outsourcing, di sottoscrivere un nuovo contratto nazionale di settore con l’organizzazione sindacale Cisal Comunicazione (si tratta del CCNL per dirigenti, quadri, impiegati e operai dei servizi di business process outsourcing, digital experience e data management).

La vicenda in questione, di cui ci siamo già occupati in altra sede (vedi G. Piglialarmi, Il settore telecomunicazioni tra il (mancato) rinnovo contrattuale e il dissenso sindacale: cosa sta succedendo?, in Bollettino ADAPT del 5 maggio 2025, n. 17), è ora ritornata sotto i riflettori dell’opinione pubblica e degli studiosi delle dinamiche sindacali a seguito di una recentissima pronuncia del Tribunale di Trani (precisamente il decreto del 15 settembre 2025, vedilo qui).

Il caso si riferisce a una azienda che si occupa di comunicazione (call center) condannata per condotta antisindacale. SLC-CGIL Bari, FISTEL-CISL Puglia e UGL Telecomunicazioni Bari hanno infatti contestato al datore di lavoro di aver cambiato unilateralmente il CCNL applicato in azienda, passando dal CCNL Assotelecomunicazione-Asstel (codice K411) al CCNL BPO Assocontact (H641). Questo cambio, stando a quanto rilevato dal giudice, sarebbe avvenuto non solo durante le trattative di rinnovo del CCNL fino a quel momento applicato dall’azienda – e pertanto durante il periodo di ultrattività del contratto – ma anche in violazione delle disposizioni di legge e di contratto collettivo in materia di consultazione e informazione sindacale, minando così la credibilità e l’immagine delle organizzazioni sindacali ricorrenti.

È bene precisare che il Tribunale di Trani, nell’esaminare la vicenda complessiva, non si sofferma né sulla comparazione tra i due CCNL rispetto alle differenze sul piano normativo ed economico, né sulla comparazione tra le due coalizioni sindacali che firmano i due contratti collettivi al fine di rilevare il diverso grado di rappresentatività. È del resto di tutta evidenza, rispetto a questo conflitto di matrice intersindacale, quali siano le organizzazioni sindacali che, in termini comparativi, possano dirsi più rappresentative, soprattutto alla luce del recente orientamento della giurisprudenza di merito che aggiunge ai consolidati indici di misurazione quello della copertura contrattuale (G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, La maggiore rappresentatività comparata nel settore del commercio: si può ripartire da Campobasso, in Bollettino ADAPT del 1° luglio 2024 n. 26). In questo senso, infatti, il CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione sottoscritto dall’associazione datoriale Assotelecomunicazioni-Asstel e dalle organizzazioni sindacali SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL e UGL telecomunicazioni è applicato in tutto il territorio nazionale e copre oltre 120.000 lavoratori (dati Inps-Cnel, 2024) rispetto al CCNL BPO Assocontact che, allo stato, trova applicazione a un numero alquanto limitato di imprese e di lavoratori (siamo sotto la soglia dell’1% del sotto-settore di riferimento).

Di sicuro interesse è, in ogni caso, il passaggio dove il Tribunale di Trani afferma che il datore di lavoro, nell’individuare il CCNL da applicare ai rapporti di lavoro, «ha la più ampia libertà garantita ai sensi dell’art. 41 Cost.», purché questa scelta non si ponga «in contrasto con l’utilità sociale, la sicurezza, la salute, la libertà e la dignità umana». Si tratta di un passaggio argomentativo di non poco conto, posto che la magistratura ordinaria – a differenza di quella amministrativa – sovente ha ricondotto tale prerogativa esclusivamente sotto l’egida dell’art. 39 Cost., attribuendo alla scelta del CCNL uno dei tanti modi attraverso i quali il datore di lavoro possa manifestare la sua libertà sindacale (per la centralità in materia di scelta del contratto collettivo dell’articolo 41 della Costituzione rinviamo a  I. Armaroli, G. Impellizzieri, E. Massagli, G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, Contrattazione collettiva e mercati del lavoro, ADAPT University Press, 2024, qui pp. 37-45) .

Il nodo del problema, tuttavia, è che l’esercizio di questa libertà, per quanto legittima e riconducibile anche all’art. 39 della Costituzione, non può certamente dirsi priva di ogni qualsivoglia limite, dovendo confrontarsi sempre – oltreché con i limiti imposti dall’art. 41 della Costituzione – con il generale canone di buona fede e correttezza «derivante dal dovere di solidarietà ex art. 2 Cost.».

Pertanto, rileva il Tribunale di Trani, il datore di lavoro avrebbe quantomeno dovuto informare le organizzazioni sindacali sottoscriventi il CCNL disapplicato della volontà di cambiare il CCNL e sondare così la possibilità di stipulare un accordo di transazione. Ricorda infatti il giudice che come per i licenziamenti collettivi «anche il cambio di CCNL, che coinvolge tutti i lavoratori» deve «necessariamente passare per un accordo con le OO.SS. che li rappresentano al momento del cambio». Tanto più se tale cambio avviene in pendenza delle trattative di rinnovo del CCNL disapplicato.

Evidentemente siamo solo agli inizi di un contenzioso annunciato e che ha già evidenziato il vero punto del contendere che sono cioè gli effetti della c.d. “contrattazione pirata” sull’ordinato sviluppo del nostro sistema di relazioni industriali. Un termine oramai sdoganato anche in ambito giudiziale a seguito di un’ordinanza del Tribunale di Roma del 14 marzo 2025 (G. Piglialarmi, M. Tiraboschi, I contratti c.d. “pirata”: dal Tribunale di Roma un importante chiarimento, in Bollettino ADAPT del 9 giugno 2025, n. 22) con cui la magistratura ha evidenziato come l’impiego di detta espressione non sia per nulla diffamatoria ma, al contrario, è «locuzione sovente utilizzata in gergo tecnico per definire contratti non sufficientemente tutelanti per i lavoratori, a causa di carenze normative o economiche, solitamente stipulati da associazioni sindacali minoritarie al fine di costituire un’alternativa a contratti collettivi c.d. tradizionali» (corsivo nostro).

La vicenda del contratto telecomunicazioni è in effetti giunta alla attenzione di altri Tribunali. Allo stato, a quanto ci consta, si segnala anche la decisione del Tribunale di Campobasso del 16 luglio 2025, n. 1352 che ha riconosciuto come il CCNL TLC (codice CNEL K411) risulti sottoscritto da organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentativi rispetto a quelle che hanno firmato il CCNL BPO (codice CNEL H641) e che, tuttavia, eventuali differenze di trattamento tra i due CCNL – il secondo legittimamente applicato da una società di call center per i motivi che seguono – non costituiscono una lesione del sindacato e quindi devono essere rimesse alle singole azioni giudiziarie dei lavoratori.

Nel caso in questione il Tribunale di Campobasso ha negato il carattere antisindacale della condotta tenuta da un’altra società di call center – che pure ha cambiato CCNL ricorrendo all’applicazione del CCNL BPO – facendo leva su una interpretazione formale della clausola di ultrattività del CCNL TLC, che non consentirebbe di ritenere ultrattivo detto contratto perché non preceduto da una disdetta ma giunto a naturale scadenza. In buona sostanza si riconosce come legittima la clausola di ultrattività di natura pattizia ma questa deve essere formulata in un certo modo per spiegare determinati effetti (prendendo a riferimento quella del CCNL Sanità Privata AIOP).

Come detto, il contenzioso è solo agli inizi e si attendono sviluppi della materia sapendo tuttavia che quando è il giudice a decidere in materia di contrattazione collettiva è sempre una sconfitta per tutti gli attori del sistema di relazioni industriali.

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore in diritto del lavoro

Università eCampus

@Gio_Piglialarmi

Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

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