Bocciato in Spagna il progetto di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

Interventi ADAPT

| di Lavinia Serrani

Bollettino ADAPT 22 settembre 2025, n. 32

Il progetto di legge per ridurre la giornata lavorativa settimanale in Spagna da 40 a 37,5 ore senza decurtazione salariale, una delle principali bandiere politiche della vicepresidente del governo e ministra del lavoro Yolanda Díaz, è stato respinto lo scorso 9 settembre dal Congresso dei Deputati con 178 voti favorevoli alle mozioni di rigetto e 170 contrari. Una votazione che ha segnato una delle sconfitte più dure per l’esecutivo di Pedro Sánchez dall’inizio della legislatura e che ha sollevato un acceso dibattito politico, sociale e sindacale.

La proposta elaborata dal Ministero del Lavoro, in dialogo con le principali confederazioni sindacali (CCOO e UGT), si collocava in linea con le riforme degli ultimi anni volte a rafforzare la tutela dei lavoratori: aumento del salario minimo interprofessionale, riforma della disciplina dei contratti a termine e rafforzamento della contrattazione collettiva. Oltre alla riduzione dell’orario di lavoro, il progetto prevedeva: il rafforzamento del registro orario (art. 34 Estatuto de los Trabajadores), quale strumento per contrastare il diffuso fenomeno delle ore straordinarie non retribuite; l’introduzione di sanzioni amministrative fino a 10.000 euro per violazione delle regole sull’orario di lavoro; una maggiore specificazione del diritto alla disconnessione digitale; e misure di coordinamento con la contrattazione collettiva.

Si trattava dunque non solo di una riduzione del tempo di lavoro, ma di un intervento complessivo nel solco delle riforme degli ultimi anni, che hanno contribuito a migliorare le condizioni dei lavoratori senza compromettere la crescita economica. Il rigetto della proposta, tuttavia, non ha sorpreso gli osservatori: già nelle settimane precedenti Junts per Catalunya aveva annunciato la presentazione di una mozione di rigetto, allineandosi alle posizioni del Partido Popular, di Vox e dell’Unión del Pueblo Navarro. La convergenza di forze politiche molto distanti sul piano ideologico e territoriale è stata letta come espressione di un blocco trasversale di resistenza alle riforme in materia di lavoro, con forte legittimazione da parte delle associazioni datoriali.

Commentatori e analisti, difatti, hanno parlato di una “vittoria dell’oligarchia corporativa”, sottolineando come partiti che divergono radicalmente sulla questione territoriale – dai nazionalisti catalani agli ultraconservatori di Voxabbiano trovato un terreno comune nel respingere una misura invisa al mondo imprenditoriale. Un punto di incontro che, secondo molti sindacalisti, dimostra la forza di pressione delle organizzazioni padronali, capaci di condizionare il processo legislativo anche contro un accordo già raggiunto tra governo e sindacati.

Durante il dibattito in aula, la ministra del lavoro Yolanda Díaz ha sottolineato il carattere “reazionario” di tale alleanza, accusando Junts di aver abbandonato le rivendicazioni sociali in favore di un sostegno agli interessi imprenditoriali. Dall’altra parte, i deputati popolari e di Vox hanno criticato la misura come «ideologica», destinata a danneggiare le PMI, che costituiscono circa il 90% del tessuto produttivo spagnolo. Junts, da parte sua, ha contestato l’assenza di un approccio graduale e negoziato, ritenendo la riduzione delle ore una “soluzione magica imposta” piuttosto che il frutto di un percorso condiviso.

Il voto parlamentare è stato accompagnato da manifestazioni di piazza. Davanti al Congresso, centinaia di lavoratori convocati dai principali sindacati, CCOO e UGT, hanno chiesto a gran voce la riduzione della giornata lavorativa, ritenendola una misura di civiltà e un passo necessario per migliorare la qualità della vita. I leader sindacali Unai Sordo e Pepe Álvarez hanno parlato dal palco, promettendo che la battaglia non finirà qui. «Oggi non si chiude nulla» – ha detto Álvarez – «presenteremo il progetto tutte le volte che sarà necessario. Non faremo un passo indietro».

Sullo sfondo, però, resta fortissimo il peso della grande impresa. Le principali organizzazioni padronali – CEOE e CEPYME – hanno ringraziato i gruppi politici che hanno bocciato la legge, sostenendo che l’iniziativa avrebbe generato un impatto negativo su produttività, occupazione e competitività. Per la confederazione degli imprenditori, la discussione sul tempo di lavoro non deve essere imposta per legge, ma affrontata nel quadro del dialogo sociale e della contrattazione collettiva.

La sconfitta parlamentare non segna la fine del percorso. Díaz ha dichiarato con fermezza che la misura «sarà legge», lasciando intendere l’intenzione di ripresentarla in futuro. Il governo non esclude, difatti, di ripresentare il testo in una versione modificata, cercando di ricostruire un consenso che al momento appare fragile. Per i sindacati, la sfida sarà trasformare la sconfitta in mobilitazione sociale, rafforzando il sostegno popolare a una misura che, secondo i sondaggi, è gradita a una larga parte della popolazione, compresi molti elettori del Partido Popular e di Vox. Per la grande impresa, invece, il messaggio è chiaro: nessuna riforma del lavoro sarà possibile senza il loro consenso.

Al di là delle manovre parlamentari, la vicenda ha riportato al centro del dibattito pubblico un tema che spesso resta sullo sfondo: il conflitto di classe. Da un lato, i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali chiedono più tempo libero, maggiore equilibrio tra vita privata e lavoro e una redistribuzione dei frutti della produttività. Dall’altro, il mondo imprenditoriale teme costi aggiuntivi, calo di competitività e perdita di margini di profitto. In questa cornice, la bocciatura della riduzione d’orario non è solo una battuta d’arresto politica, ma anche un segnale sullo stato dei rapporti di forza in Spagna: le imprese hanno dimostrato ancora una volta la loro capacità di influenzare il legislatore, mentre la sinistra di governo fatica a compattarsi intorno a un progetto di riforma sociale di ampio respiro.

Sul piano tecnico, alcuni contenuti del progetto – come il rafforzamento del registro orario – potrebbero essere introdotti anche attraverso regolamenti di esecuzione già previsti dall’Estatuto de los Trabajadores, senza necessità di nuova legge. Al di là delle strategie governative, tuttavia, la vicenda spagnola dimostra come la questione dell’orario di lavoro non sia solo un tema tecnico di organizzazione produttiva, ma un nodo centrale dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, in cui si intrecciano dimensioni giuridiche, economiche e politiche. Per i giuslavoristi, la vicenda sollecita una riflessione critica sul rapporto tra legge e contrattazione collettiva, e sul ruolo che lo Stato deve assumere nella promozione di condizioni di lavoro più eque in una società democratica.

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona 

X @LaviniaSerrani