Produttività: contrattazione e partecipazione le possibili leve?

Interventi ADAPT

| di Ilaria Armaroli, Marco Menegotto, Jacopo Sala

Bollettino ADAPT 15 settembre 2025, n. 31

Lo scorso 10 settembre è stato presentato al CNEL il primo Rapporto Annuale sulla produttività, elaborato del Comitato Nazionale sulla Produttività. Un documento di oltre 140 pagine, divise in 4 capitoli di analisi economica dei principali indicatori di produttività del nostro Paese, confrontati col panorama internazionale.

Dai dati presentati nel rapporto emerge come dal 1995 al 2024 la produttività del lavoro in Italia sia cresciuta in media appena dello 0,2% l’anno, contro l’1,2% della media UE. A pesare su questo divario sono numerosi fattori, tra cui la prevalenza di microimprese (che costituiscono il 94,7% delle imprese italiane), la scarsa propensione delle aziende italiane a investire in innovazione, il deficit di competenze digitali (soltanto il 16% dei lavoratori possiede competenze ICT elevate) e la tendenza, sempre più comune negli ultimi anni, delle imprese a espandere il fattore lavoro più che investire in capitale (v. J. Sala, Il circolo vizioso che affossa i salari).

Guardando ai singoli settori, emerge un panorama piuttosto eterogeneo che aiuta a comprendere le cause del ritardo complessivo del Paese. Il manifatturiero, che storicamente rappresenta il comparto più dinamico (con una crescita media dello 0,9% annuo tra il 1995 e il 2023 e del 3,5% tra il 2009 e il 2014), sta attraversando oggi una fase particolarmente delicata. Dopo anni di progressivo rallentamento, nel 2023 il settore ha registrato una contrazione del 2,4%, mentre Germania e Spagna hanno continuato a crescere (rispettivamente del 2% e dell’1,9%). Una dinamica completamente opposta caratterizza invece le costruzioni, che nel quinquennio 2019-2023 hanno visto la produttività crescere del 3,3% annuo, trainata da bonus edilizi e dagli investimenti del PNRR. Un risultato che spicca ancora di più se confrontato con i partner europei, dove lo stesso settore ha invece subito contrazioni significative. Il settore dei servizi presenta andamenti più diversificati. Il comparto del commercio, dei trasporti e dei servizi ricettivi e della ristorazione mantiene una crescita dell’1,1% annuo nel periodo 1995-2023, mentre i servizi di informazione e comunicazione, nonostante la transizione digitale in corso, crescono meno della metà rispetto al Regno Unito (+1,7% contro +7,6% tra il 1995 e il 2023). Le maggiori difficoltà si concentrano però nelle attività professionali e di supporto, dove la produttività è calata dell’1,3% nel lungo periodo, riflettendo ritardi tecnologici e squilibri generazionali che ancora caratterizzano molti studi professionali nel nostro Paese.

In buona sostanza, le analisi condotte confermano il significativo ritardo del nostro Paese in termini di produttività. Quello che colpisce è il peso assunto dalla componente degli scarsi investimenti soprattutto intangibili (ricerca e sviluppo, nuove tecnologie, formazione per la loro implementazione, nuova organizzazione del lavoro etc.) delle nostre imprese se ci confrontiamo con i vicini Paesi UE (spec. nel manifatturiero, su cui vedi § 2.5).

Da ciò consegue anche una minore distribuzione del valore generato su questo fronte. E del resto, il nostro osservatorio (www.farecontrattazione.it) sulla contrattazione collettiva in Italia attesta come nella contrattazione dei premi di risultato, obiettivi e indicatori legati all’innovazione restano tra i meno diffusi (cfr. ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2024). XI Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2025, spec. 98-100).

Non mancano poi proposte in termini di policy per facilitare il recupero del gap (si veda il paragrafo 1.3 dedicato alle Principali raccomandazioni per il sostegno alla produttività).

Può stupire come non sia considerato il ruolo della contrattazione collettiva come leva di produttività. Contrattazione non solo distributiva (premi di risultato), ma anche in materia di orario di lavoro, introduzione di nuove tecnologie, gestione dell’invecchiamento attivo della popolazione, ecc.

Un aggancio alla contrattazione di produttività lo si rintraccia nella proposta (n. 2) di introduzione di un credito d’imposta per la formazione 4.0 e il potenziamento dei finanziamenti alla formazione, pur se in una logica eccessivamente pubblicistica. In questo frangente si suggerisce l’introduzione di controlli della formazione erogata “anche al fine di migliorare la verifica dei parametri legati ai contratti decentrati di produttività.

Quasi del tutto assenti sono, più in generale, riferimenti alle relazioni industriali e alla partecipazione dei lavoratori, che pure analoghi organismi istituiti in altri Paesi europei da tempo valorizzano in ottica funzionale proprio all’innovazione e alla produttività delle imprese.

Ad esempio, la ricerca comparata condotta nell’ambito del progetto BroadVoice[1], ci conferma che già nel 1996 il Consiglio nazionale irlandese per lo sviluppo economico e sociale, sosteneva come: “Le evidenze internazionali indicano che le innovazioni nei luoghi di lavoro – pensate per aumentare la partecipazione dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro, la flessibilità positiva e il lavoro di squadra, la comunicazione, la redistribuzione dei guadagni e per migliorare la distribuzione del lavoro e degli orari – hanno un impatto positivo sostanziale sulla performance economica, sull’occupazione, sulla qualità e sulla produttività” (Strategy into the 21st Century, 165).

La partecipazione dei lavoratori e il dialogo sociale venivano quindi inclusi tra i pilastri della strategia nazionale irlandese per l’innovazione e la produttività, con conseguenti programmi di promozione di innovativi modelli organizzativi[2].

Un approccio simile è adottato anche dal programma svedese Produktions Lyftet, avviato nel 2007 dall’associazione datoriale Teknikföretagen e dal sindacato IF Metall, asupporto delle aziende per la costruzione di modelli organizzativi che favoriscano lo sviluppo, l’apprendimento e il coinvolgimento dei lavoratori a tutti i livelli. Anche in questo caso è prevista l’istituzione di comitati congiunti.

A ben vedere, anche il nostro ordinamento sembra iniziare a considerare al ruolo della partecipazione dei lavoratori nel sostenere l’innovazione e le performance aziendali. Recentemente, la l. n. 76/2025 ha promosso l’intervento di commissioni paritetiche nell’elaborazione di piani di miglioramento e innovazione organizzativa (v. M. Tiraboschi (a cura di), Primo commento alla legge di iniziativa popolare sulla partecipazione dei lavoratori (approvata dal Parlamento il 14 maggio 2025), ADAPT University Press, 2025). Invero, a partire dal 2016-2017, la normativa fiscale valorizza il coinvolgimento dei lavoratori, riconoscendo incentivi anche contributivi sui premi di risultato, a condizione che tali forme di partecipazione siano previste all’interno di un piano di innovazione definito in base a un contratto collettivo (per un approfondimento tecnico, v. M. Dalla Sega, G. Impellizzieri, M. Menegotto, G. Piglialarmi, S. Spattini, M. Tiraboschi, La struttura della retribuzione. Minimi retributivi, salario di produttività, busta paga, ADAPT University Press, 2024, 46 e ss.). Inoltre, ai sensi dell’art. 44, d. lgs. n. 165/2001, nella contrattazione nazionale del settore pubblico, si stanno diffondendo i cosiddetti Organismi Paritetici per l’Innovazione, finalizzati al coinvolgimento delle rappresentanze sindacali nella progettazione organizzativa.

Eppure, anche dalle nostre ricerche, le esperienze aziendali di costruzione partecipata dei percorsi di innovazione – che pure, come visto, potrebbero essere leva della produttività – risultano piuttosto episodiche e frammentarie.

Nell’attuale fase di costruzione della nuova finanziaria, la produttività meriterebbe dunque tutte le attenzioni del caso, non con incentivi o misure spot (v. G. Comi, M. Menegotto, J. Sala, F. Seghezzi, S. Spattini, M. Tiraboschi, Manovra finanziaria e salari: perché tassare l’ordinario quando ancora non decollano le misure di incentivazione della contrattazione di produttività?), ma dentro una visione di lungo termine, nel solco degli indirizzi proposti dal rapporto. Ma anche sull’esistente,ad esempio con il rafforzamento e la semplificazione all’accesso ai benefici fiscali e contributivi esistenti per le ipotesi di distribuzione dei risultati di produttività, in particolare laddove questo sia generato da piani di innovazione con il coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze.

Ilaria Armaroli

ADAPT Research Fellow

X@ilaria_armaroli

 

Marco Menegotto

ADAPT Research Fellow

X@MarcoMenegotto

 

Jacopo Sala

ADAPT Research Fellow

X@_jacoposala


[1] Il progetto è cofinanziato dalla Commissione europea e condotto da un partenariato internazionale, coordinato da ADAPT e composto dalla Cisl nazionale, la Fondazione Tarantelli, l’Università di Amsterdam, l’Università di Lubiana, l’Università tecnologica di Luleå in Svezia, il centro di ricerca irlandese Workplace Innovation Europe e l’Istituto di Filosofia e Sociologia dell’Accademia delle Scienze della Bulgaria.

[2] Si pensi all’iniziativa New Work Organisation in Ireland, promossa dall’Irish Productivity Centre e sviluppata in collaborazione con la confederazione datoriale IBEC e il sindacato ICTU, con il sostegno del Fondo Sociale Europeo. Ma anche il lavoro di IDEAS (Institute for the Development of Employees Advancement Services), centro di ricerca, formazione e innovazione aziendale fondato dal sindacato irlandese SIPTU, che promuove creazione di comitati congiunti tra sindacato e management, con il compito di individuare opportunità per la risoluzione collaborativa dei problemi, promuovere il lavoro di squadra, migliorare i processi organizzativi e sviluppare nuovi modi di lavorare attraverso una partecipazione autentica dei lavoratori.