Placement universitario: ancora un miraggio per gli studenti e le aziende italiane

Non vi è giorno in cui non si parli del dramma della disoccupazione giovanile in Italia, senza però proporre molte soluzioni. Se uno dei problemi principali è quello dell’incontro tra domanda e offerta, non può che suscitare qualche attenzione il fatto che oggi nessuna università italiana rende immediatamente e liberamente accessibili i curriculum in forma completa, rispettando a pieno le modalità di pubblicazione indicate dalla legge. Questo dato emerge da una ricerca condotta mappando tutte le università italiane e provando ad accedere agli elenchi dei curriculum vitae che dovrebbero essere disponibili.

 

 

Delle 90 Università italiane mappate nessuna rende immediatamente e liberamente accessibili i curriculum in forma completa, includendo quindi nome dello studente e/o numero di cellulare o indirizzo email.

Di norma, il primo passaggio da compiere è la registrazione, da parte dell’azienda, al sistema Almalaurea (utilizzato come server per la raccolta dei cv, senza un reindirizzamento alla pagina del consorzio) o ad altri sistemi di raccolta dei curriculum creati direttamente dall’ateneo (ad esempio, il sistema JobSoul per le università del Lazio).

Dopo la registrazione passano dei giorni prima che l’ufficio placement verifichi le informazioni inserite dall’azienda e invii le credenziali per l’accesso. Una volta effettuato l’accesso, si potranno selezionare i cv messi a disposizione in forma anonima e, soltato dopo il download dei cv selezionati, sarà possibile visionarli in forma completa (ossia comprensivi di dati personali).

La quantità di download effettuata non è però illimitata. Esiste, infatti un plafond di cv scaricabili e una durata dell’“abbonamento”. Una volta esaurito il plafond o scaduto l’abbonamento, sarà necessario contattare l’ufficio placement per la “ricarica” (gratuita) o, addirittura, compilare un modulo di richiesta da inviare, nella speranza che l’ufficio placement risponda.

 

Vi sono poi 11 atenei che non riportano sul sito le modalità di accesso ai curriculum dei propri studenti, richiedendo in alcuni casi contatti diretti con i responsabili degli uffici preposti, i quali o non sono rintracciabili, o richiedono l’invio di un modulo – compilato, timbrato e firmato – via fax, o richiedono addirittura una dichiarazione del rappresentante legale dell’azienda.

 

Lo scenario delle 11 Università telematiche esistenti sul territorio italiano, poi, non si discosta molto da quello appena delineato. Per la quasi totalità di queste non esiste un’area placement all’interno dei loro siti e, di conseguenza, non si fa neanche accenno alla possibilità di prendere visione dei cv. Le poche che ne parlano richiedono di pubblicare un’offerta per l’accesso o di contattare il servizio placement.

 

La ricerca condotta da ADAPT mostra che esiste ancora una distanza netta tra quanto previsto dalla legge e la realtà.

 

Infatti, l’art. 6 del d. lgs. n. 276/2003 – come modificato dal c.d. “Collegato lavoro” del 2010 – ha introdotto per le università pubbliche e private dei regimi particolari di autorizzazione che prevedono dei requisiti piuttosto snelli e di facile soddisfazione, oltre che una procedura semplificata, per poter svolgere l’attività di intermediazione.

 

I requisiti sono i seguenti:

 

  1. Rendere pubblici e gratuitamente accessibili i cv dei propri studenti;
  2. Sui propri siti istituzionali;
  3. Dalla data di immatricolazione fino ad almeno 12 mesi dopo il conseguimento del titolo di studio;
  4. Interconnettendosi alla borsa nazionale continua del lavoro ovvero il portale www.cliclavoro.gov.it;

 

Dal punto di vista della procedura, è sufficiente che le università inviino al Ministero del lavoro una comunicazione preventiva dell’inizio attività, allegando un’autocertificazione del possesso dei requisiti richiesti. Il Ministero procederà poi a registrare le università che inviano la comunicazione nell’apposita sezione dell’albo informatico (S. Spattini, L’intermediazione apre ai privati. Regime semplificato per università, sindacati e siti internet).

Ad ulteriore chiarimento è intervenuta la circolare del 4 agosto 2011, che ha precisato che non possono essere addotte ragioni di tutela della privacy alla parziale pubblicazione dei curriculum. Infatti, si chiarisce che il curriculum deve riportare almeno un numero di telefono cellulare o un indirizzo di posta elettronica, al fine di poter permettere il contatto diretto tra l’azienda e gli studenti.

 

Quanto detto è indice del fatto che i primi due requisiti previsti dalla legge non siano sempre e del tutto rispettati dagli Atenei italiani.

 

Difficile pare comprendere se anche il terzo requisito fissato dalla normativa sia rispettato. Quando si accede ai curriculum, infatti, spesso paiono riferiti all’ultimo anno di frequenza universitaria. In questo modo quindi si replica il modello tipicamente italiano di separazione tra studio e lavoro.

 

Infine, anche l’interconnessione con il portale di Cliclavoro appare quantomeno incerta. L’anagrafe del Miur, infatti, riporta oltre 1.600.000 iscritti agli Atenei italiani nell’anno accademico 2014/2015. Il sito www.clilclavoro.gov.it alla voce curriculum studente riporta poco più di 580.000 voci, comprendendo anche gli studenti secondari superiori. I conti, quindi, non tornano.

 

Siamo ben lontani, quindi, dall’intento del legislatore del 2003 di facilitare e snellire il processo di incontro dei giovani con l’offerta di lavoro. Oltre alle lungaggini per l’accesso agli elenchi, bisogna considerare che i cv che si riescono a scaricare sono compilati senza alcuna attenzione da parte degli studenti, con informazioni essenziali mancanti (ad esempio, il titolo della tesi) che potrebbero invece essere determinanti per la selezione di un’azienda, indice del fatto che agli studenti non viene spiegata l’importanza dell’inserimento del proprio cv on line.

 

La pubblicazione dei curriculum dei propri studenti è, tuttavia, da considerare come un mero strumento per le università di svolgere la funzione di intermediazione tra mondo accademico e mercato del lavoro loro riconosciuta dalla riforma Biagi. Il loro ruolo è, infatti, ben più ampio.

 

Nella pratica, la funzione di intermediazione dovrebbe consistere nella creazione di una rete di relazioni tra aziende del territorio e studenti e dunque si dovrebbe poter pensare alle università come ad un ponte: attraverso attività quali l’attivazione di tirocini formativi, di presentazioni aziendali e di career day, le università dovrebbero essere in grado di comprendere le esigenze formative e di figure professionali richieste dalle imprese locali e progettare, già a monte, i propri corsi di laurea in modo da formare i profili richiesti dal mercato del lavoro (più approfonditamente su questo si veda Le opportunità occupazionali dei giovani: il ruolo del placement universitario, a cura di S. Spattini). Potrebbero essere, quindi, loro stesse una soluzione all’esclusione dei giovani dal mercato del lavoro.

 

Per far questo, però, è necessario che gli uffici placement delle Università siano strutturati e svolgano la loro funzione tipica, ma anche che assumano un ruolo strategico, favorendo la circolazione dei curricula dei propri laureati tra le imprese del territorio, in modo tale da facilitarne il matching. L’obiettivo che si devono porre le università è quello di allargare l’offerta formativa post-laurea con la convinzione che una collaborazione sempre più stretta tra università e mercato del lavoro possa portare a politiche di formazione e qualificazione in favore degli studenti italiani.

 

Affinchè le riforme siano efficaci è necessario che i soggetti che le pongono in atto siano preparati a condurre l’innovazione e il cambiamento. Il ruolo degli uffici placement può essere davvero una “leva” per l’occupabilità, ma solo modulando la propria offerta formativa in corrispondenza dei fabbisogni del tessuto produttivo del paese.

Ciò che emerge da questa ricerca è che nonostante qualche miglioramento si sia visto, ancora una volta le università italiane non si dimostrano all’altezza del ruolo loro affidato e si è ancora lontani dalla visione di un ruolo strategico e fondamentale del placement universitario.

 

Alessia Battaglia

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

@_alebattaglia

 

Andrea Negri

ADAPT Junior Fellow

@andreanegri39

 

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Placement universitario: ancora un miraggio per gli studenti e le aziende italiane
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