Dizionario breve sul welfare aziendale a cura di ADAPT e AIWA

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Definizione

La welfarizzazione del premio di risultato consiste nella possibilità concessa al lavoratore, così come disciplinato dal comma 184, art. 1 della L. 208/2015, di convertire in servizi di welfare aziendale una parte o la totalità del premio di risultato che presenta i requisiti necessari per poter aver accesso alla detassazione. La welfarizzazione si configura quindi come una modalità di erogazione dei premi di risultato. Tale concetto viene spesso identificato anche con il termine “welfare di produttività”.

 

Di cosa parliamo

All’interno della Legge di stabilità 2016 vengono affrontati due grossi temi, il welfare aziendale e i premi di risultato, due temi distinti che trovano in loro punto di incontro nel comma 184[1]  dell’art. 1. Tale disposizione introduce la possibilità di scelta, in capo allo stesso lavoratore, di ricevere il premio di risultato in denaro, con una tassazione agevolata al 10%, oppure di sostituire le somme con i benefits previsti dai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 51 del T.U.I.R.

 

Nel caso in cui il lavoratore opti per sostituire il premio di risultato con prestazioni di welfare, il loro valore non sarà soggetto a tassazione, nemmeno quella agevolata al 10%, ma saranno completamente esenti, in quanto esclusi dalla determinazione del reddito da lavoro, nei limiti previsti per ogni tipologia di servizio, bene o opera. Poiché il richiamo ai commi 2, 3 e 4 è integrale, ci sarà anche la possibilità di sostituire i premi con dei voucher, come previsto dal comma 3-bis) o con somme di denaro, esclusivamente nei casi previsti dei suddetti commi.

 

La welfarizzazione del premio di risultato deve, però, essere prevista dai contratti aziendali o territoriali. Questo vincolo fa in modo che la decisione presa in capo al lavoratore non sia completamente libera ma debba sottostare alla volontà della contrattazione collettiva di secondo livello togliendo la piena facoltà di scelta al lavoratore.

 

Per quanto riguarda l’aspetto contributivo, la circolare 28/E dell’Agenzia delle Entrate ha affermato che “sotto il profilo fiscale, deve essere valutato in base a criteri sistematici che pongono la disposizione in connessione con gli altri commi della stessa legge di Stabilità, concernenti il reddito di lavoro dipendente, e con i principi generali dettati dall’articolo 51 del TUIR.”. Ciò significa che, nel caso in cui il dipendente eserciti la sua possibilità di scegliere l’erogazione dei premi sotto forma di welfare, il valore dei servizi, oltre a non concorrere a formare reddito da lavoro dipendente, non sarà soggetto a contributi previdenziali, assistenziali e assicurativi.

 

La welfarizzazione non è possibile però per tutti i premi di risultato, ma soltanto per quelli che hanno il diritto di essere assoggettati all’aliquota sostitutiva poiché presentano le condizioni soggettive e oggettive che verranno ora illustrate.

 

Ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione

I datori di lavoro, che possono accedere a tale agevolazione sono gli attori del settore privato, anche nel caso in cui non sia svolta un’attività commerciale, gli enti pubblici economici, che sono assimilati al settore privato, le Agenzie di somministrazione, anche quando il lavoro dei propri dipendenti viene svolto nelle attività delle pubbliche amministrazioni e infine gli esercenti arti e professioni.

 

Più complicata è l’individuazione dei lavoratori, per i quali è necessario il rispetto di due requisiti, uno di natura qualitativa e uno di natura quantitativa. Per quanto riguarda il limite qualitativo si fa riferimento al fatto che il reddito del dipendente deve essere derivante da lavoro dipendente, escludendo in questo modo tutti gli altri soggetti che percepiscono redditi assimilati. Il limite di natura quantitativa fa rimando al reddito percepito dal lavoratore che, non deve essere superiore, nell’anno precedente rispetto a quello di percezione del premio, a 80.000 euro. Questo limite, innalzato progressivamente permette a una platea più ampia di poter accedere all’agevolazione comprendendo anche ruoli e posizioni più alte.

 

Ambito oggettivo di applicazione dell’agevolazione

L’art. 2, comma 1 del Decreto Interministeriale identifica i premi di risultato nelle “somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienze e innovazione”. Il punto centrale di tale norma è che vengono premiate soltanto determinate erogazioni legate a un incremento di produttività, redditività, efficienza, qualità e innovazione. Per quanto riguarda gli incrementi, non viene specifica quale debba essere l’entità dell’incremento.

 

Superando i tecnicismi che consento a un premio di risultato di essere detassato, ed eventualmente welfarizzato, risulta utile riflette sul ruolo che assume lo strumento analizzato in questo contributo. Il ruolo ricoperto dalla welfarizzazione del premio di risultato, infatti, va oltre il semplice risparmio fiscale e contributo che, senza ombra di dubbio, rappresentano una delle maggiori leve di attrattività verso questo strumento. Il premio di risultato e la sua welfarizzazione consentono di flessibilizzare la struttura della retribuzione, che risulta essere ancora troppo rigida, consentendo inoltre di valorizzare la funzione sociale della retribuzione. In questo modo inizia ad incrinarsi l’associazione lavoro-retribuzione tipica di un’economia fordista e si affermano sempre più nuove forme di retribuzione che non si limitano alla sola erogazione monetaria, ma ricomprendono anche altre dimensioni come quelle legate alla crescita professionale, alla partecipazione ai processi decisionali, al benessere organizzativo, alla conciliazione tra vita privata e lavoro e a tutto ciò che riguarda anche dimensioni extra lavorative.

 

La welfarizzazione del premio di risultato  nella contrattazione collettiva

La welfarizzazione dei premi di risultato è una pratica presente nella contrattazione collettiva già prima della sua introduzione nel quadro normativo vigente oggi.

 

Già nel 2013, ad esempio, l’integrativo Lanfranchi, un’azienda metalmeccanica bresciana, concedeva la possibilità di “welfarizzare” tutto o parte del premio variabile per le spese sostenute per rette di asili e colonie climatiche sostenute per sé o per i propri familiari e adeguatamente dimostrate. A coloro che optavano per questo percorso, in considerazione dei benefici fiscali derivanti, veniva concesso un premio aggiuntivo del 10% calcolato sull’importo welfarizzato. Findomestic, nel 2014, prevedeva la possibilità di accesso al piano welfare, vale a dire la possibilità, da parte del dipendente, di scegliere in base alle proprie esigenze di vita personale nonché familiari la ripartizione delle risorse, secondo una distribuzione percentualizzata pari al 70% in denaro e 30% in quota welfare. Tra i beni e servizi a disposizione del dipendente c’erano la previdenza complementare e l’area formazione ed educazione dei propri familiari, nella quale rientrano percorsi di studi primari, secondari, universitari, master e corsi di lingua.

 

Questi e altri casi, seppur ricoprono ancora oggi un ruolo importante, si presentavano come casi isolati. La situazione si è molto evoluta negli anni e, secondo quando emerso dal Rapporto ADAPT sulla contrattazione collettiva in Italia, nel biennio 2016-2017 il 18% dei contratti analizzati prevedono la possibilità di welfarizzare il premio di risultato.

 

I diversi contratti possono prevedere che la welfarizzazione del premio avvenga in cifra fissa o in percentuale rispetto alla totalità del premio. Nel primo caso può essere indicata una singola possibilità, come nel caso FCA che prevede la possibilità di convertire 700 euro per a 1^ e 2^ area oppure 800 euro per la 3^ area professionale, oppure, anche se avviene più raramente, si possono indicare più scaglioni di conversione in cifra fissa.

 

Nel secondo caso sono prevista diverse percentuali che renderanno la cifra convertita variabile in base al valore del premio, come avviene per l’integrativo Compass che prevede la possibilità di convertire il 100% oppure il 50% del premio, per l’integrativo Air Liquide in cui si aggiunge anche la percentuale del 25% del premio o per l’integrativo Wind.

 

Altra possibilità è la conversione di una cifra libera, senza vincolo quantitativo, come ad esempio nei contratti Eataly e MPS.

 

Così come già presente nell’integrativo Lanfranchi, anche nell’integrativo FCA viene prevista una quota aggiuntiva di welfare, a carico del datore di lavoro, nel caso in cui il lavoratore decidesse di convertire parte del premio di risultato in welfare. Questa clausola, che si sta diffondendo in un numero sempre maggiore di contratti, ha una duplice motivazione. Da un lato funge da incentivo per la conversione: il dipendente, infatti, non solo grazie alla conversione percepisce un valore netto superiore rispetto a quello che avrebbe ricevuto se avesse optato per l’erogazione in denaro del premio, ma vede anche incrementata questa somma da un ulteriore erogazione. Dall’altro lato viene accolta la richiesta del sindacato di ripartire tra lavoratore e azienda il vantaggio economico derivante dalla scelta del lavoratore di convertire il premio.

 

Riferimenti normativi

– 51 e 100, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)

– 1, commi 182-191, L. 28 dicembre 2015, n.208

– 1, commi 160-162, L. 11 dicembre 2016, n. 232

 

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, 15 giugno 2016

 

Riferimenti bibliografici

– E. Massagli, Le novità in materia di welfare aziendale in una prospettiva lavoristica, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, Milano 2016

 

Per una analisi empirica della contrattazione collettiva

– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2015

– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, II Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016

– AA.VV., La contrattazione collettiva in Italia, III Rapporto Adapt, Adapt University Press, 2016

 

[1] Legge si stabilità, Articolo 1 Comma 184: “le somme e i valori di cui al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 51 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono, nel rispetto dei limiti ivi indicati, a formare il reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’imposta sostitutiva disciplinata dai commi da 182 a 191, anche nell’eventualità in cui gli stessi siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, delle somme di cui al comma 182”.

 

Luca Vozella

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@LucaVozella1

 

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