Contrattazione di secondo livello nel Mezzogiorno: il CCRL Pugliese dell’Area Alimentazione-Panificazione

Lo scorso 28 marzo le Federazioni di Categoria del settore alimentare facenti capo a Confartigianato Imprese, CNA, Casartigiani, CLAAI e le sigle sindacali FLAI-CGIL, FAI-CISL e UILA-UIL della Puglia hanno sottoscritto il nuovo Contratto collettivo regionale dell’Area Alimentazione-Panificazione.
 
Il contesto regionale
 
Il contratto, incardinato all’interno degli assetti contrattuali dell’artigianato, notoriamente basati sul doppio livello nazionale/regionale, è solo l’ultimo di una serie di accordi che testimoniano una crescente vitalità delle relazioni sindacali nell’ambito dell’artigianato pugliese.
 
Già lo scorso 29 luglio, infatti, le OO.AA. e le OO.SS. avevano sottoscritto, a livello interconfederale, un accordo quadro funzionale alla realizzazione della contrattazione regionale di categoria. Vale la pena sottolineare come tale intesa, lungi dall’essere una mera riproposizione di quanto già stabilito negli accordi interconfederali nazionali degli anni 2008/2009, oltre a fornire alle singole sigle di categoria un canovaccio contrattuale, abbia consentito l’ulteriore rafforzamento di una bilateralità in costante sviluppo, ormai riconosciuta per qualità e quantità delle prestazioni anche a livello nazionale.
 
A fronte di un incremento della contribuzione alla bilateralità di soli 1,58 euro, le Parti hanno infatti disposto, in quella sede, un notevole ampliamento del welfare contrattuale, individuando ben sette nuove prestazioni a carico dell’ente bilaterale dell’artigianato pugliese: quattro in favore dei dipendenti e tre in favore dei datori di lavoro. Tra queste spicca il sostegno al consolidamento degli impianti debitori per gli imprenditori che abbiano fatto ricorso ai meccanismi di garanzia creditizia dell’artigianato, i c.d. “Confidi”, anche a seguito di episodi di usura.
 
Il CCNL di riferimento
 
Le parti stipulanti hanno dovuto fare i conti con un quadro nazionale in divenire. Risale infatti allo scorso 19 novembre la sottoscrizione dell’ipotesi di rinnovo contrattuale tra le rispettive organizzazioni nazionali, integrata da un ulteriore accordo i primi del mese di dicembre scorso.
 
Invero, l’ipotesi di accordo nazionale non si è limitata alla c.d. “manutenzione”, ma ha comportato tutta una serie di innovazioni sostanziali di cui le parti regionali hanno dovuto necessariamente tenere conto, proprio in virtù della correlazione tra i due livelli. Tra gli aggiornamenti introdotti a livello nazionale risalta senza dubbio l’ampliamento della sfera di applicazione del contratto che, già esteso nella precedente tornata alle imprese di Panificazione di qualsiasi dimensione, anche non artigiane, ha visto incrementare la propria potenziale platea di riferimento con l’ingresso delle «imprese non artigiane del settore alimentare che occupano fino a quindici dipendenti». I rapporti di lavoro dei dipendenti di questa classe di imprese sono regolati dalla nuova “Parte II” del CCNL.
 
Notevoli le novità a livello nazionale anche in materia di apprendistato, laddove è stato dato seguito alle deleghe del d.lgs. n. 167/2011 per ciò che concerne la fattispecie professionalizzante – individuando una disciplina anche per i rapporti articolati in cicli stagionali – nonché in materia di part-time e tempo determinato sebbene, con riguardo a quest’ultimo, il recente d.l. n. 34/2014 neutralizzi di fatto tutta una serie di disposizioni relative alle causali.
 
Le novità di maggior rilievo previste dal CCRL
 
Il CCRL in questione rappresenta un grande passo in avanti per le relazioni sindacali artigiane in Puglia: si tratta in effetti del primo contratto regionale artigiano mai realizzato in assoluto in questa Regione. Non solo: è il primo CCRL artigiano stipulato in una Regione del Mezzogiorno.
Non per questo le PARTI SOCIALI hanno difettato in ambizione. Al contrario: l’articolato contrattuale contiene una serie di disposizioni che mirano in maniera decisa a modernizzare l’organizzazione produttiva del comparto, attraverso l’individuazione di strumenti di sostegno alla flessibilità ed alla produttività del lavoro tarati sulle specifiche caratteristiche delle imprese pugliesi.
 
Strumenti di flessibilità
 
Il CCRL ha colto appieno tanto le deleghe del livello nazionale quanto gli spazi già concessi dagli assetti contrattuali dell’artigianato e dalla legge in materia di articolazione dell’orario di lavoro.
In particolare, sono tre gli strumenti individuati: l’orario multiperiodale (art.9), la flessibilità collettiva (art.10) ed un sistema di banca-ore (art.11).
 
Con riferimento al primo strumento, è noto come la disciplina legale (d.lgs. n. 66/2003) disponga che la durata media dell’orario di lavoro si calcoli con riferimento ad un periodo non superiore ai 4 mesi, consentendo al tempo stesso all’autonomia negoziale (di qualsiasi livello) di elevare tale limite fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, purché tali ragioni vengano specificate nei contratti collettivi. Il CCRL utilizza questa opportunità, enucleando una serie di ragioni obiettive che tengono conto, ad esempio, tanto delle variazioni cicliche tipiche delle MPMI del settore alimentare, quanto di iniziative di ricerca o innovazione di processo e prodotto che possono richiedere una diversa distribuzione dell’orario di lavoro nell’arco dell’anno.
 
Una volta optato per l’adozione di un orario multiperiodale, l’impresa dovrà definirne le concrete modalità attuative – e solo le modalità – tramite una semplice procedura di consultazione che coinvolga le rappresentanze sindacali,ove presenti, o il delegato gestionale di bacino nonché un rappresentante dell’associazione datoriale di riferimento.
 
È tuttavia agevole immaginare che lo strumento di flessibilità preferito dalle aziende sarà quello individuato al successivo art.10. Innestata su quanto già previsto dal livello nazionale, la disposizione in oggetto si limita ad incrementare le quote di flessibilità oraria già previste rispettivamente per le aziende artigiane del settore alimentare, per le aziende non artigiane del medesimo settore ed infine per tutte le aziende della panificazione. In forza dell’esecuzione di una prestazione aggiuntiva rispetto all’orario normale, con il salario del relativo mese di competenza viene corrisposta al lavoratore unicamente la relativa maggiorazione retributiva secondo quanto previsto tanto dal CCNL quanto dal CCRL (per le quote eccedenti quelle nazionali). La prestazione aggiuntiva dovrà essere compensata con una riduzione di orario entro i nove mesi successivi (laddove il CCNL ne prevede solo sei). Di contro, i lavoratori interessati percepiranno la retribuzione relativa all’orario contrattuale settimanale sia nei periodi di superamento che in quelli di corrispondente riduzione dell’orario contrattuale, come previsto dalle disposizioni nazionali.
 
Per ciò che concerne la banca ore, le parti hanno inteso ricorrere ad un sistema inedito. A fronte di un meccanismo noto che, basato sull’adesione volontaria del lavoratore, vede l’orario di lavoro settimanale calcolato come media nell’arco del mese di calendario, il lavoratore potrà optare per uno fra due sistemi differenti. Si tratta del c.d. “tipo A”, per cui a fronte della prestazione aggiuntiva su base mensile, viene accantonato l’intero ammontare delle spettanze maturate e del c.d. “tipo B” per cui al lavoratore viene liquidata, con il mese di competenza, la sola maggiorazione prevista dal CCNL mentre la retribuzione ordinaria relativa viene accantonata.
 
Trascorsi 12 mesi dovrà liquidarsi al dipendente l’importo corrispondente a quanto non recuperato secondo la tipologia di banca scelta, ossia l’intera retribuzione (paga ordinaria più maggiorazione) in caso di opzione A; unicamente la paga ordinaria in caso di opzione B.
 
La reale differenza tra le due tipologie di banca non è tanto questa quanto la diversa ripartizione tra datore di lavoro e lavoratore della facoltà d’uso delle ore accantonate. Difatti, nel caso di tipo A – quello che richiede un maggiore “sacrificio” al lavoratore – le ore accantonate potranno essere utilizzate dal datore di lavoro solo nella misura del 40% per far fronte a situazione di crisi, riduzioni di ordini, per evitare il ricorso ad ammortizzatori sociali o per assecondare periodi e cadute, anche cicliche, di attività produttiva. Potranno invece essere utilizzate dal lavoratore titolare nella misura del 60%, previo accordo con il datore di lavoro e compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive dell’impresa, per riposi compensativi da utilizzare prioritariamente nei periodi di minore attività, anche in prolungamento delle ferie. Il tipo B – grazie al quale il lavoratore percepisce immediatamente le maggiorazioni relative alle ore “eccedenti” – vede le percentuali invertite, con il 60% delle ore accantonate nella disponibilità del datore di lavoro ed il 40% nella disponibilità del lavoratore.
 
Tanto lo strumento della multiperiodalità quanto quello della banca-ore sono assistiti dal ruolo di monitoraggio posto in capo all’ente bilaterale e possono essere attivati attraverso una modulistica standard allegata al CCRL stesso.
 
P.R.O. – Premio Regionale per Obiettivi
 
Tra le disposizioni di maggiore interesse figura senza dubbio quella relativa all’istituzione di un premio di produttività: un argomento ontologicamente appartenente alla contrattazione di prossimità.
La concreta corresponsione del premio è subordinata al raggiungimento di obiettivi di produttività, qualità, redditività, efficienza o innovazione.
 
Si tratta di una disposizione che riprende quanto stabilito dal d.P.C.M. 22 gennaio 2013: la norma che ha dettato le condizioni per poter usufruire della detassazione sul salario di produttività nell’anno 2013.
Le parti, pur consapevoli che l’efficacia del citato decreto è spirata lo scorso 31 dicembre, hanno comunque inteso fare riferimento a quella formulazione ritenendola rappresentativa della gamma di obiettivi concretamente individuata all’art.13 del CCRL. Parimenti, il fatto che l’art. 1, comma 481 della l. n. 228/2012 preveda lo stanziamento di risorse dirette a finanziare la detassazione anche per gli anni 2014 e 2015, ha indotto le organizzazioni stipulanti ad optare per un sistema comunque coerente con il citato d.P.C.M. (si veda la autodichiarazione di conformità all’art. 20) ferma restando la possibilità, stabilita nella classica clausola finale di salvaguardia, di intervenire in un momento successivo in caso vengano emanati «provvedimenti legislativi […] che agiscano sugli effetti degli istituti previsti dal presente CCRL», tra cui potrebbe ben figurare un nuovo decreto per la detassazione.
 
Passando ad un’analisi di merito sulle caratteristiche del P.R.O., si è optato per un premio suddiviso in due tranche di eguale valore, tra loro disconnesse e indipendenti, ciascuna delle quali matura in ragione del raggiungimento di obiettivi differenti tra loro. Il diritto alla corresponsione di una metà del premio scatta solo in caso di incremento superiore al 5% rispetto al valore della media aritmetica degli ultimi tre anni del dato del consumo medio mensile delle famiglie per alimentari e bevande come ricavabile dai rilevamenti ISTAT – parte Mezzogiorno, tanto a livello generale quanto per il singolo settore di riferimento dell’azienda (parametri di “CLASSE A”).
 
Il diritto alla corresponsione di un altro 50% del premio scatta invece solo in caso del raggiungimento degli obiettivi di “CLASSE B”. Si tratta di parametri molto più prossimi alla singola realtà aziendale. Per attivare questa parte del premio deve verificarsi infatti un incremento del fatturato aziendale maggiore o uguale del 10% rispetto alla media aritmetica dell’ultimo triennio nonché uno tra altri tre eventi: lancio sul mercato di un nuovo prodotto; riduzione degli scarti di produzione o dei resi di almeno il 10% rispetto all’anno precedente; incremento del fatturato legato alle esportazioni di almeno il 6% rispetto all’anno precedente.
 
Interessante, in quanto coglie appieno il senso dell’estensione dell’ambito di applicazione effettuata dal contratto nazionale, il fatto che la disposizione tenga conto della specificità rappresentata dagli esercizi commerciali (rientranti nelle imprese non artigiane del settore alimentare sotto i 15 dipendenti), per i quali occorrerà aver riguardo all’andamento dei corrispettivi come individuabile dagli scontrini fiscali anziché quello del fatturato.
 
Altre disposizioni
 
Oltre alle clausole di sistema (Competenza del livello regionale, campo di applicazione, decorrenza e durata ecc.), completano l’articolato contrattuale una serie di ulteriori disposizioni quali, ad esempio, quelle relative alla costituzione di uno specifico Gruppo tecnico del settore alimentare in seno a quello più ampio dell’artigianato già previsto nell’accordo Quadro del luglio 2013, o quelle relative all’apprendistato. A tal riguardo le parti, pur nella consapevolezza delle recenti semplificazioni, non rinunciano a fornire uno schema condiviso di PFI e di registro per l’annotazione della formazione aziendale. Inoltre sottolineano il valore strategico dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale impegnandosi – in carenza di una compiuta normativa regionale – ad adoperarsi per la stipulazione di un accordo interconfederale che ne disciplini perlomeno gli aspetti di loro competenza.
 
Non mancano riferimenti al welfare contrattuale dell’artigianato, imperniato sulla bilateralità e sulla sanità integrativa (Fondo San.Arti.). Una disamina di quanto costruito in Puglia in materia di bilateralità e prestazioni per i dipendenti ed i datori di lavoro meriterebbe un’analisi a parte. In questa sede basti sapere che, per quanto concerne il primo di questi due pilastri, viene recepito quanto citato in apertura e cioè l’incremento su base regionale della quota di contribuzione all’ente bilaterale dell’artigianato pugliese per finanziarne le nuove prestazioni, già comunque pienamente attive in virtù dell’accordo di recepimento Intercategoriale siglato anche dai rappresentanti delle Federazioni di categoria dell’Area Alimentazione-Panificazione il 27 settembre 2014.
 
Il forte richiamo alle pari opportunità ed ai relativi strumenti bilaterali attivi a livello regionale (art.17), nonché al diritto alla formazione ed all’integrazione dei lavoratori immigrati (art.18) denota la sensibilità delle parti stipulanti su problematiche spesso non adeguatamente considerate in sede di regolazione del rapporto di lavoro e mira – nei fatti – alla costruzione di un sinallagma lavorativo che tenga conto anche di sempre più attuali esigenze di “sostenibilità sociale”.
 
Umberto Antonio Castellano
Relazioni sindacali, Confartigianato Imprese Puglia
 
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