VIII Rapporto Welfare for People ADAPT-Intesa Sanpaolo: le principali novità
| di Chiara Altilio
Bollettino ADAPT 6 ottobre 2025, n. 34
Il 2 ottobre, a Milano, ha avuto luogo la presentazione dell’VIII Rapporto ADAPT-Intesa Sanpaolo sul welfare occupazionale e aziendale in Italia. Il Rapporto, curato da Michele Tiraboschi, rappresenta il frutto delle analisi condotte da ricercatrici e ricercatori dell’Osservatorio welfare di ADAPT. Attraverso una chiave di lettura di diritto delle relazioni industriali, il Rapporto dà conto degli sviluppi del welfare occupazionale e aziendale nel nostro Paese, in un quadro economico e sociale contrassegnato da dinamiche che stanno riscrivendo strutturalmente il legame tra sistemi contrattuali e di lavoro a quelli di welfare.
Per quanto attiene ai contenuti, l’ottava edizione propone l’analisi e la mappatura del contributo delle relazioni industriali nello sviluppo del welfare occupazionale e aziendale in Italia, sia dal punto di vista generale (Parte I) che particolare (Parte II). Viene altresì fornito un quadro aggiornato sulle principali tendenze rilevate dai principali report sviluppati dalle parti sociali nonché da centri di ricerca e provider di welfare aziendale (Parte III), con l’obiettivo di ricomporre il fenomeno in un quadro unitario, nonostante le diverse prospettive di analisi adottate.
Le tendenze in materia di welfare occupazionale e aziendale nel triennio 2022-2024
Entrando nel merito delle novità, nella Parte I del Rapporto si offre un primo bilancio dello sviluppo delle misure che compongono il welfare occupazionale e aziendale, compiendo un focus sulle politiche di welfare contrattuale sviluppate in 132 accordi di rinnovo dei CCNL e su 616 contratti aziendali sottoscritti nel triennio 2022-2024.
Per quanto concerne le misure di welfare sviluppate dalla contrattazione collettiva nazionale, emerge una crescita sostenuta nel tempo delle forme tradizionali di protezione sociale di matrice collettiva, portate avanti a livello nazionale attraverso un articolato sistema bilaterale, che si sviluppa su fondi negoziali di previdenza complementare, fondi sanitari contrattuali e enti bilaterali.
Guardando al triennio analizzato, il 40% dei rinnovi dei CCNL prevede soluzioni destinate a promuovere l’adesione a forme pensionistiche complementari per i dipendenti (innalzamento delle quote di finanziamento; versamento di ulteriori somme; incentivi specifici per categorie di dipendenti). Le misure di assistenza sanitaria integrativa sono invece contenute nel 43% dei rinnovi e si sostanziano in diverse soluzioni negoziali (riconoscimento dell’obbligatorietà della copertura sanitaria, aumento della contribuzione a carico azienda, estensione delle coperture sanitarie). Una percentuale leggermente inferiore, invece, si registra con riguardo alla diffusione dei flexible benefits, dato che questi strumenti – che si sostanziano in veri e propri crediti messi a disposizione dei lavoratori sotto forma di beni e servizi di welfare – sono previsti nel 29% dagli accordi di rinnovo.
Passando all’analisi dei 616 accordi aziendali sottoscritti nel triennio e contenenti almeno una misura di welfare, con riferimento a previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa e credito welfare, emerge una tendenza opposta a quella registrata a livello nazionale. Infatti, se a livello nazionale gli accordi che sviluppano soluzioni di previdenza complementare (40%) e di assistenza integrativa (43%) sono superiori a quelli che intervengono per riconoscere dei flexible benefits (29%), a livello aziendale il 33% degli accordi riconosce questi ultimi, contro il 24% degli accordi che intervengono in materia di previdenza complementare e il 21% a sostegno del welfare sanitario.
Particolare attenzione è stata posta anche alle ulteriori categorie di misure di welfare occupazionale sviluppate a livello aziendale. In questa sede vale la pena segnalare che, rispetto ai 616 accordi contenenti almeno una misura di welfare, il 63% prevede almeno una delle misure contenute nella categoria “soluzioni per la conciliazione e flessibilità organizzativa” (congedi, permessi, aspettative, flessibilità dell’orario, lavoro agile, banca ore solidale, particolari disposizioni per la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale). Si tratta in assoluto della categoria di prestazioni a livello aziendale più ricorrente negli accordi analizzati nel triennio, con una percentuale di diffusione negli accordi quasi doppia rispetto ai buoni pasto/mensa (32%) e buoni acquisto/flexible benefits (33%) e di gran lunga superiore rispetto alle disposizioni in materia di assistenza sanitaria integrativa (21%) e previdenza complementare (24%).
Grazie al supporto del Welfare Index ADAPT per Intesa Sanpaolo è stato poi possibile valutare le politiche di welfare contrattuale sviluppate nel triennio a livello aziendale, quali leve principali per incidere sull’organizzazione del lavoro e sulla produttività. Da questo punto di vista, l’analisi conferma una visione delle politiche di welfare come strumento per la gestione delle risorse umane, visto lo sviluppo rilevante, a livello decentrato, di misure di welfare organizzativo (congedi, permessi, soluzioni di flessibilità oraria), affiancate da processi di integrazione e valorizzazione delle misure già previste dal CCNL applicato, in particolar modo nel campo della previdenza complementare e dell’assistenza sanitaria integrativa.
Sempre con riguardo all’analisi offerta nella Parte I del Rapporto, particolare attenzione è stata posta alle connessioni tra sviluppo del welfare occupazionale e la disciplina del premio di produttività, che rappresenta un importante canale di finanziamento delle misure di welfare occupazionale. Rispetto ai 1.301 accordi aziendali considerati nell’analisi, il 31% di questa disciplina (anche o esclusivamente) il premio di risultato. Tra queste intese, il 68% prevede l’opzione di welfarizzazione del premio. Inoltre, tra gli stessi accordi che prevedono la welfarizzazione del premio, il 56% di questi prevede anche l’introduzione di una quota aggiuntiva, da erogarsi in beni e servizi di welfare (“bonus di conversione”), a carico dell’azienda, per i (soli) dipendenti che abbiano optato per la conversione, totale o parziale, del premio in strumenti di welfare di cui all’art. 51, commi 2 e 3, ultimo periodo, TUIR. Al fine di apprezzare le connessioni tra welfare di produttività e soluzioni di conciliazione, si segnala nel triennio considerato la presenza di diversi accordi che prevedono la possibilità di convertire il premio di risultato in “tempo libero”, al fine di agevolare un miglior equilibrio tra tempi e responsabilità associati alla vita professionale, personale e familiare dei dipendenti. In questo modo gli accordi offrono ai dipendenti un’alternativa alla tradizionale erogazione monetaria del PDR e alla conversione in beni e servizi di welfare, riconoscendo la conversione di quota parte del premio in ore o giornate di permesso.
Il welfare aziendale nel settore turistico
Nella Parte II del Rapporto, invece, sono presenti tre diversi approfondimenti che, in linea con le precedenti edizioni, propongono un’analisi del fenomeno dando conto di dinamiche settoriali (Turismo), territoriali (Milano) e tematiche (previdenza complementare).
L’analisi del welfare occupazionale e aziendale nel settore turismo pone particolare attenzione alle tecniche utilizzate nei principali sistemi contrattuali di settore per riconoscere prestazioni finalizzate a rispondere alle esigenze specifiche delle aziende del comparto e dei lavoratori e lavoratrici che lo animano.
Nel dettaglio sono state oggetto di analisi le politiche di welfare contrattuale sviluppate nell’ambito di 5 CCNL del settore (previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, formazione, conciliazione vita-lavoro) e del sistema di enti bilaterali nazionali e territoriali ad essi collegati (sostegno al reddito, rimborsi e servizi, formazione, servizi di sostegno professionale).
Per quanto riguarda invece la contrattazione aziendale, le politiche di welfare si concentrano prevalentemente su benefit funzionali alla retention, come i buoni pasto, o su misure di welfare organizzativo, quali l’ampliamento dei permessi o dei congedi. Tuttavia, come mostrano alcune esperienze analizzate, essa può anche contribuire a rafforzare gli strumenti di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa previsti nel settore.
Le politiche aziendali e contrattuali per la casa nel territorio milanese
L’approfondimento territoriale di questa edizione è invece dedicato al distretto di Milano e affronta, nello specifico, il tema delle politiche abitative come ambito per lo sviluppo di politiche integrate tra istituzioni pubbliche e attori privati, alla luce del crescente squilibrio tra domanda e offerta abitativa e da un costante aumento dei canoni di locazione.
Con l’obiettivo di analizzare e mappare le principali strategie abitative promosse da imprese, attori sociali e istituzioni locali nel territorio milanese, l’indagine ricostruisce i modelli di intervento utilizzati e le risposte concrete offerte ai dipendenti, che spaziano da strategie unilaterali delle imprese fino ad accordi collettivi di secondo livello, interventi ad hoc da parte degli enti bilaterali e partnership pubblico-private.
Alla luce del quadro di riferimento tracciato nel focus, si sottolinea la necessità di investire in un dialogo (sempre più) strutturato tra attori pubblici e soggetti privati, oggi indispensabile per progettare soluzioni in grado di integrare le sfide dell’abitare con quelle dell’occupazione. Per questo motivo si rinvia alla possibilità di implementare, nei prossimi anni, strumenti di governance territoriale più inclusivi e partecipativi, in grado di saper coniugare le sfide dell’abitare e dell’occupazione. Tra le opzioni più promettenti, spicca la possibilità di costruire, a livello locale, dei veri e propri “patti per l’abitare”, promossi da istituzioni, imprese e parti sociali, per dare risposta alle fasce di popolazione ancora escluse da soluzioni abitative accessibili, strutturate e sostenibili.
Il ruolo dei fondi pensione negoziali nei principali sistemi contrattuali: modelli regolativi, criticità e prospettive di sviluppo
Il terzo approfondimento di questa ottava edizione, quello tematico, è dedicato alla previdenza complementare, ponendo l’attenzione sulle politiche in materia promosse dalle parti sociali nei principali sistemi contrattuali, nell’ottica di ricostruire e analizzare il funzionamento dei fondi negoziali attivi, i modelli di finanziamento e le principali iniziative messe in campo dalla contrattazione collettiva per incentivare e promuovere questa forma di welfare.
L’analisi dei 77 CCNL mappati ha permesso di approfondire il ruolo di 28 fondi pensione negoziali, attivi a livello settoriale o intersettoriale, che rappresentano oggi i principali strumenti collettivi di previdenza integrativa nel panorama nazionale, con peculiari traiettorie di sviluppo nei diversi settori contrattuali. La mappatura ha consentito di mettere a fuoco i diversi meccanismi di finanziamento della previdenza integrativa associati a ciascun fondo, le peculiari esperienze sviluppate a livello territoriale o aziendale per promuovere il secondo pilastro pensionistico nonché le principali potenzialità e criticità connesse allo sviluppo del modello “negoziale” di previdenza complementare, sotto il profilo della copertura complessivamente offerta.
Per quanto riguarda il finanziamento, nella maggior parte dei casi analizzati i valori medi della contribuzione datoriale si attestano tra l’1 e il 2% del minimo contrattuale, con l’inserimento, sempre più frequente, di contributi aggiuntivi per la copertura di rischi legati a premorienza e invalidità, così come l’introduzione di aliquote più elevate o di ulteriori incentivi (conversione agevolata degli scatti di anzianità, contributi una tantum) per specifiche fasce d’età o categorie di lavoratori.
In merito invece alla promozione della previdenza a livello decentrato, l’approfondimento indaga, a livello territoriale, su quanto si registra in alcune regioni (Veneto, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige), in cui si sono affermati fondi pensione territoriali intercategoriali, promossi dalle parti sociali locali quale soluzione previdenziale omogenea a lavoratori di settori diversi che operano nello stesso territorio. Lato aziendale, invece, il focus è stato posto sul settore bancario, nell’ambito del quale la previdenza complementare è gestita storicamente a livello aziendale o di gruppo, favorendo elevati tassi di copertura anche grazie a politiche contrattuali a livello aziendale molto avanzate, lasciando dunque alla contrattazione nazionale un ruolo residuale.
Nonostante le ampie criticità rilevate (frammentarietà dei modelli di adesione, scarsa partecipazione di giovani e donne, minore diffusione nelle aree meridionali, modesta entità dei contributi versati), dall’approfondimento emerge che la contrattazione collettiva ha dimostrato una notevole capacità di adattamento alle nuove sfide del sistema previdenziale e, più in generale, del mercato del lavoro, grazie all’adozione di numerose iniziative. Una conferma in tal senso proviene anche dai dati Covip, che vedono nei fondi negoziali la principale forma di previdenza complementare sviluppata nel nostro Paese. Questo modello va tuttavia rilanciato con maggiore determinazione, attraverso un investimento strategico delle parti sociali, orientato ad ampliare le platee, rafforzare la partecipazione attiva degli iscritti e costruire un secondo pilastro pensionistico più inclusivo, solido e capace di rispondere alle trasformazioni del lavoro e della società.
Per un approfondimento di quanto qui brevemente richiamato, si rinvia alla lettura del testo integrale del Rapporto, da oggi disponibile open-access sui siti ADAPT farecontrattazione, bollettino ADAPT e ADAPT University Press.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
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