Lezioni di Employability/36 – Via di fuga dall’università

Quella che vorrei raccontare non è una storia di #buonascuola né di buona università.

 

Non è un racconto sul ruolo, fondamentale, che le aule delle nostre accademie dovrebbero rivestire nella formazione e nello sviluppo di competenze spendibili nel mercato del lavoro.

 

È tuttavia una storia di talento, di coraggio e di una giovane ma piena consapevolezza del proprio futuro.

 

Lui si chiama Marcello e ha deciso, dopo aver frequentato e quasi terminato il percorso di laurea triennale in economia presso una università del Nord Italia (il cui nome non è importante poiché somiglia a tante altre del nostro Paese), di non proseguire gli studi specialistici. Eppure Marcello era un ottimo studente, era pieno di energia, era sempre seduto ai primi posti a lezione e interagiva con il docente, era sempre pronto e disponibile ad approfondire temi e contenuti, era entusiasta quando ha iniziato il suo percorso.

 

Poi, nel corso dei tre anni, qualcosa si è spento. Marcello ha visto i suoi colleghi avanzare, come lui e forse anche meglio, pur senza il suo stesso sforzo, il suo stesso animo e coinvolgimento. E non perché fossero più meritevoli di lui ma solo perché nessuno ha mai indagato davvero sul grado di consapevolezza e acquisizione di nozioni e competenze. Ha sperimentato e subìto in prima persona un sistema di valutazione, esame dopo esame, incapace, per la sua stessa struttura, di valorizzare il merito, lo spirito critico e l’autonomia di pensiero. Ha percepito, in quasi la totalità degli insegnamenti seguiti in aula – salvo rarissime meritevoli eccezioni, – di non essere “interessante” per il docente che aveva di fronte a sé.

 

In pochi hanno chiesto il suo nome, specifiche informazioni sulla sua formazione precedente. In pochi hanno cercato di capire le ragioni per cui si fosse iscritto a quel corso di laurea triennale e non ad un altro. In pochissimi hanno tentato di adeguare l’insegnamento al livello, alle aspettative e al fabbisogno della classe che avevano dinanzi. Marcello ha compreso, nel triennio, che la centralità della formazione accademica non fosse stata posta negli studenti, nel loro percorso e nel loro futuro ma nei docenti, nel loro bisogno di parole, monologhi e sapere.

 

Spesso, negli anni trascorsi in aula, gli è stato detto, verbalmente e non, di “non intervenire” troppo durante le lezioni, di seguire le indicazioni del docente, di adattarsi a valutazioni basate su test scritti a risposta multipla, di sedare la propria voglia di andare oltre.

Raramente, durante il triennio, gli è stato proposto di visionare un bilancio, un contratto qualsiasi, di assistere ad una trattativa reale. Molta teoria, sì. Poca concretezza. Quasi mai ha visto da dentro una azienda, ha parlato con chi lavora e programma il suo funzionamento e progetta il suo sviluppo. Quanto Marcello immaginava dell’università, della ricchezza delle opportunità che gli avrebbe dato e della qualità delle relazioni offerte, si è scontrato contro un muro di chiusura e regole.

 

Questo ha scatenato nella sua testa, nelle sue azioni e dopo nelle sue scelte, l’idea di dover superare quel confine, quella siepe che lo teneva lontano dal mondo reale. Ha iniziato cosi a coltivare, in un modo via via sempre più professionale, una sua vecchia passione, per il “food and beverage” e con un suo amico ha deciso di avviare una giovane start-up per l’esportazione e la vendita di prodotti alimentari italiani.

 

Si è iscritto ad un corso di somelier e ha affrontato l’esame per il titolo che ha brillantemente superato insieme a tutti gli esami del semestre accademico. La sua idea di marketing, di autonomia e creatività si è trasformata lentamente in un piano concreto, in competenze specifiche, linguistiche e tecniche, in un obiettivo concreto e realizzabile, purché ambizioso. Nei primi passi mossi nel nuovo “ruolo”, Marcello ha compreso che, ad esempio, l’inglese è sì la lingua internazionale degli scambi, ma non soddisfa sempre le esigenze dei mercati locali, dove la conoscenza della lingua nazionale consente di valicare limiti culturali e linguistici. Ha iniziato a studiare il tedesco e il francese, e le tradizioni specifiche dei singoli Paesi. Marcello non sa se resterà in Italia a lungo.

 

Quando ho incontrato Marcello ho pensato a quanto talento ci sia nella conoscenza di sé. Individuare la propria strada, il proprio cammino, personale e professionale, è forse un obiettivo difficile da realizzare pienamente, ma esso coincide quasi sempre con una percezione, quasi tattile e sensoriale, di cosa ci consenta di sentirci appagati e realizzati.

 

La scuola, l’università e i loro “maestri” dovrebbero servire a questo. A facilitare un percorso di consapevolezza di sé e del proprio talento, attraverso lo studio di altre vite, delle idee e delle intuizioni di altri uomini che ci hanno preceduto. Lo studio dei contesti economici, degli istituti giuridici, degli assetti sociali e politici ci danno le coordinate per capire il nostro posto nel mondo. L’energia e l’entusiasmo di Marcello sono contagiosi e valgono di più, molto di più di una delusione personale nei confronti di una accademia e un sistema scuola non idonee ad orientare e a specializzare la persona.

 

Forse però vale la pena di riflettere sul valore che perdiamo, come Paese, ogni qualvolta ogni singolo studente decide di scappare da un percorso formativo perché si sente incompreso. Perdiamo opportunità, perdiamo l’occasione di concorrere alla formazione di una classe dirigente del futuro, consapevole, sensibile e critica. Perdiamo in sintesi occasioni di crescita collettiva. Ogni qualvolta decidiamo di non investire sui nostri giovani.

Per fortuna il talento non si perde, esso trova la sua strada, sempre, con le sue forze.

 

Eliana Bellezza

ADAPT Research Fellow

@ElianaBellezza

 

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Lezioni di Employability/36 – Via di fuga dall’università
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