Verso la revisione della Direttiva sui CAE: arriva l’approvazione del Parlamento europeo

Interventi ADAPT

| di Sara Prosdocimi

Bollettino ADAPT 13 ottobre 2025, n. 35

Giovedì 9 ottobre 2025, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza l’accordo provvisorio per la revisione della direttiva CAE, a seguito dei negoziati con il Consiglio svoltisi con successo lo scorso maggio.

I Comitati Aziendali Europei (CAE), introdotti originariamente dalla Direttiva 94/45/CE e poi aggiornati nel 2009, rappresentano un meccanismo di informazione e consultazione dei lavoratori sulle decisioni di rilievo transnazionale adottate da imprese o gruppi con oltre 1000 dipendenti operanti in almeno due Stati membri dell’UE o dello SEE. Già a gennaio dello scorso anno, la Commissione Europea aveva presentato una nuova proposta di revisione della Direttiva 2009/38/CE. Infatti, a seguito della valutazione della direttiva condotta nel 2018, pur riconoscendone il valore aggiunto e i progressi compiuti rispetto al testo del 1994, erano emerse numerose criticità ancora irrisolte, tra cui: il numero limitato di nuovi CAE istituiti; la scarsa efficacia delle consultazioni tra rappresentanti dei lavoratori e imprese; le difficoltà di accesso dei CAE alla giustizia; nonché la mancanza, in diversi Stati membri, di sanzioni e meccanismi correttivi realmente dissuasivi. L’obiettivo dichiarato dalla Commissione nel 2024 era quindi quello di rafforzare il dialogo sociale e rendere più efficace lo strumento dei CAE a livello transnazionale (sulla proposta della Commissione europea si veda E. Ligas, La Direttiva sui Comitati Aziendali Europei: una revisione all’insegna del dialogo sociale, in Boll. ADAPT 4 marzo 2024, n. 9).

Considerata la rilevanza del tema per l’evoluzione del dialogo sociale europeo, non sono mancati negli scorsi mesi interventi delle altre istituzioni europee al riguardo, fra cui il Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo (di seguito “CESE”) di fine maggio 2024, nel quale il CESE si è occupato di formulare una valutazione e fornire raccomandazioni sulle questioni ancora non risolte della proposta, per garantire che la stessa potesse avere concreti effetti in merito al ruolo dei CAE, quali strumenti di dialogo sociale atti a promuovere la condivisione delle scelte e, allo stesso tempo, proteggere la produttività e la qualità dell’occupazione delle imprese (per approfondire si veda S. Prosdocimi, Sull’opportunità della revisione della Direttiva EWC: il parere del CESE, in Boll. ADAPT 10 giugno 2024, n. 23).

Il documento approvato dal Parlamento europeo rappresenta, quindi, un passaggio decisivo verso il rafforzamento della direttiva sui CAE, con l’intento di offrire maggiori tutele e strumenti efficaci ai rappresentanti sindacali e ai lavoratori delle imprese transnazionali.

Il testo, specificando alcuni dei contenuti dell’accordo provvisorio emerso dal negoziato interistituzionale fra Parlamento europeo e Consiglio del maggio 2025, segna infatti un ulteriore avanzamento della proposta originaria della Commissione, adottando un approccio ancora più prescrittivo. L’obiettivo dichiarato è, infatti, la “piena effettività” dei diritti di informazione e consultazione transnazionale dei lavoratori, coerentemente con l’articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con il principio 8 del Pilastro europeo dei diritti sociali.

Un primo punto centrale riguarda la definizione di “questioni transnazionali”, ora formulata in termini più chiari e coerenti con la complessità delle strutture multinazionali (premesse, paragrafo 6). Nello specifico, la portata delle questioni transnazionali è stata precisata al fine di garantire che le decisioni con un impatto sostanziale sui lavoratori in più di uno Stato membro attivino l’obbligo di informare e consultare un CAE, senza tuttavia estendere tale obbligo alle decisioni quotidiane o alle questioni che incidono sui dipendenti in modo marginale. Tale impostazione se, da un lato, mira a evitare interpretazioni restrittive del termine adottate in alcuni Stati membri, ampliando la competenza del CAE e rafforzando il principio di prevenzione (riconoscendo che i processi decisionali delle imprese transnazionali hanno spesso impatti a catena su scala europea), dall’altro, sottolinea la necessità di considerare il livello di direzione coinvolto nella decisione, al fine di assicurare che la consultazione avvenga effettivamente al livello più appropriato e pertinente rispetto alla portata della questione trattata.

In secondo luogo, si chiarisce che, qualora vengano condivise informazioni sensibili con i membri degli organi speciali di negoziazione, dei CAE o con i rappresentanti dei lavoratori nell’ambito di una procedura di informazione e consultazione, la direzione centrale può richiedere che tali informazioni siano trattate in modo confidenziale e vietarne la successiva divulgazione (nuovo art. 8). In materia di riservatezza, si precisa tuttavia che la mancata comunicazione o l’omissione di informazioni da parte della direzione aziendale può essere giustificata solo sulla base di criteri oggettivi e limitatamente al periodo in cui permangono le relative ragioni, così da evitare un uso strumentale della nozione di “riservatezza” volto a eludere una consultazione effettiva (premesse, paragrafo 15). Il testo conferma anche le garanzie rafforzate di accesso tempestivo alle informazioni e di consultazione significativa prima che la direzione centrale adotti decisioni che incidono sui lavoratori. Ciò significa che l’informazione deve essere fornita in tempi compatibili con la possibilità per il CAE di formulare osservazioni e proposte, e che la consultazione deve essere intesa come un processo reale di confronto e non come un mero adempimento formale.

A ulteriore garanzia dei diritti di informazione e consultazione, va inoltre richiamata la conferma dell’inserimento del nuovo paragrafo 4 all’articolo 11 della direttiva, già previsto nell’accordo di maggio. Il testo impone, infatti, agli Stati membri di garantire ai soggetti titolari dei diritti derivanti dalla direttiva (e quindi in particolare gli special negotiating bodies, i CAE e, per loro conto, i rispettivi membri o rappresentanti) un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari e, se del caso, amministrativi. La portata innovativa della disposizione risiede soprattutto nella seconda parte del paragrafo, che introduce un obbligo di copertura dei costi legali o, in alternativa, la predisposizione di “misure equivalenti” atte a evitare restrizioni di fatto all’accesso alla giustizia dovute a mancanza di risorse finanziarie, assicurando quindi che l’esercizio dei diritti previsti dalla direttiva non rimanga solo teorico o dipendente dalla capacità economica dei rappresentanti dei lavoratori. La norma, tuttavia, non impone un obbligo diretto di copertura integrale dei costi, limitandosi a richiedere che “le procedure possano essere effettivamente avviate”, lasciando pertanto un certo margine di discrezionalità nell’attuazione. Dal punto di vista pratico, questa clausola rafforza in modo decisivo la tutela procedurale dei CAE. Si tratta di una novità che risponde a un’esigenza concreta emersa nella prassi applicativa: la difficoltà dei rappresentanti dei lavoratori di sostenere i costi di procedimenti giudiziari o amministrativi complessi e transnazionali. Con questa precisazione, la direttiva mira a evitare che la mancanza di risorse economiche costituisca un ostacolo di fatto all’esercizio dei diritti riconosciuti, garantendo così parità di accesso e reale possibilità di tutela nei confronti di eventuali violazioni da parte delle imprese. La norma ha, inoltre, un’importante funzione di armonizzazione minima tra gli ordinamenti nazionali. Poiché la direttiva non si limita a raccomandare misure di sostegno, ma impone agli Stati di “assicurare l’effettivo accesso” e di “prevedere la copertura dei costi ragionevoli”, il legislatore europeo pone un vincolo giuridico sostanziale che gli Stati non potranno eludere con soluzioni meramente simboliche. In prospettiva, ciò potrebbe portare all’adozione di fondi nazionali o europei di sostegno alle azioni legali dei CAE, o a meccanismi di rimborso analoghi a quelli previsti per i rappresentanti sindacali in altri ambiti del diritto del lavoro.

Ancora, l’accordo conferma la necessità di una rappresentanza di genere più equilibrata nei CAE: viene infatti abbandonata la formula meramente programmatica contenuta nella proposta iniziale per introdurre un obbligo procedurale qualificato, accompagnato da un meccanismo di trasparenza e rendicontazione. Nello specifico, il nuovo testo introduce il riferimento a una “balanced gender representation” da garantire nei processi di nomina, ma non come quota vincolante nel risultato finale. Si tratta, dunque, di un obbligo di procedura e trasparenza più che di risultato, il cui mancato raggiungimento deve in ogni caso essere adeguatamente motivato (si vedano l’art. 5, par. 2, lett b) per quanto riguarda l’elezione dei membri degli organi speciali di negoziazione; e l’art. 6, nuovo par. 2a con riferimento all’elezione dei membri dei CAE).

Infine, si conferma l’eliminazione graduale degli accordi esentati, cioè di quelle intese volontarie storiche che, in base alle deroghe introdotte dalle versioni precedenti della direttiva, erano rimaste al di fuori dell’applicazione piena della normativa sui CAE. La riforma consente la rinegoziazione di tali accordi, soprattutto nei casi in cui essi non garantiscano risultati soddisfacenti in termini di partecipazione e trasparenza. Questa scelta mira a superare un regime di disuguaglianza giuridica che aveva di fatto mantenuto due livelli di tutela differenti tra le imprese europee, favorendo invece un’applicazione uniforme e aggiornata del diritto alla rappresentanza transnazionale.

Nel complesso, quindi, il testo, già a partire dalla versione di maggio, non si limita a chiarire le competenze o a colmare lacune procedurali, ma introduce principi sostanziali di effettività, trasparenza e responsabilità condivisa, proponendosi di sostenere i CAE non solo come organismi di mera consultazione formale ma veri e propri strumenti di partecipazione attiva e democratica alla governance delle imprese multinazionali.

Nel momento in cui si scrive, organizzazioni come CES (Confederazione Europea dei Sindacati), IndustriAll Europe, CESI (Confederazione Europea dei Sindacati Indipendenti) ed EFFAT (Federazione Europea dei Sindacati dell’Alimentazione, dell’Agricoltura e del Turismo) hanno già accolto con favore il voto odierno del Parlamento europeo, che apre la strada all’adozione formale da parte del Consiglio e alla successiva trasposizione nazionale. In tale contesto, il coinvolgimento attivo delle parti sociali e delle autorità competenti sarà essenziale per assicurare una trasposizione coerente con i diversi modelli di relazioni industriali. La rapida adozione e attuazione della direttiva rappresenterebbe, in definitiva, un passo decisivo verso il rafforzamento del dialogo sociale europeo e verso una partecipazione effettiva dei lavoratori alla governance delle imprese transnazionali.

Sara Prosdocimi

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

@ProsdocimiSara