Trasparenza retributiva per una effettiva parità di retribuzione: la Direttiva (UE) 2023/970

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Bollettino ADAPT 18 marzo 2024, n. 11

 
Con la direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno inteso intervenire con l’obiettivo di dare effettiva attuazione al principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o lavoro di pari valore (art. 157 TFUE) e al divieto di discriminazione (art. 4, direttiva 2006/54/CE). Infatti, ancora nel 2020 risultava elevato (13%) il divario retributivo di genere nell’Unione europea. Per raggiungere tali obiettivi, la direttiva agisce attraverso meccanismi che vogliono garantire la trasparenza retributiva.
 
Gli Stati membri devono recepire la direttiva entro il 7 giugno 2026.
 
La scelta di puntare sulla trasparenza delle retribuzioni per arrivare a garantire effettivamente la parità retributiva si basa sulla convinzione che una maggiore conoscibilità del sistema retributivo di una azienda, dei dati effettivi del divario retributivo di genere, delle informazioni specifiche per ciascun lavoratore sia elemento centrale e decisivo per prevenire ed eliminare la discriminazione retributiva e garantire la parità. Infatti, le informazioni sulle retribuzioni consentono di individuare eventuali discriminazioni retributive ed avere i dati necessari per presentare un ricorso e avere maggiori probabilità di successo, garantendo così l’effettività del diritto alla parità retributiva.
 
Affinché questi obiettivi siano più facilmente perseguibili, la direttiva non limita il campo di applicazione al rapporto di lavoro, ma lo estende alle fasi di selezione, regolamentando la trasparenza e la parità prima della assunzione, a partire dalla formulazione degli avvisi e l’utilizzo di titoli professionali che devono essere neutri sotto il profilo del genere, così come le procedure di assunzione non devono mettere in atto condotte discriminatorie. È previsto, poi, che i candidati a un impiego abbiano diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro informazioni riguardanti la retribuzione iniziale (o la fascia retributiva in cui si colloca la posizione di lavoro) e le disposizioni del contratto collettivo applicabili alla posizione lavorativa in questione. Contestualmente, il potenziale datore di lavoro non può chiedere al candidato informazioni sulla sua retribuzione relativa al rapporto di lavoro in corso o a precedenti rapporti di lavoro.
 
Il principale diritto previsto dalla direttiva è rappresentato dal diritto di informazione, consistente nel diritto del lavoratore di richiedere e ricevere per iscritto (anche per tramite dei rappresentanti dei lavoratori o di un organismo per la parità) informazioni sul suo livello retributivo e sulla retribuzione media, anche ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.
 
Per garantire ai lavoratori l’accessibilità alle informazioni sulle retribuzioni, sono previsti una serie di obblighi per i datori di lavoro, a partire da dover informare annualmente i lavoratori circa il loro diritto in materia di informazione sulle retribuzioni. Devono, inoltre, rendere accessibili ai lavoratori le informazioni circa i criteri (che devono essere naturalmente oggettivi e neutri sotto il profilo del genere) per la determinazione della retribuzione, i livelli retributivi e la progressione economica dei lavoratori.
 
È previsto, poi, che i datori di lavoro con almeno 100 dipendenti comunichino alle autorità competenti informazioni dettagliate sul divario retributivo di genere. Qualora tale divario sia almeno il 5 per cento in una qualsiasi categoria di lavoratori, non sia giustificato da criteri oggettivi e neutri e il datore di lavoro non abbia corretto tale differenza entro sei mesi dalla data della comunicazione delle informazioni sulle retribuzioni, deve essere effettuata una valutazione congiunta tra datori di lavoro e rappresentanti dei propri lavoratori per intervenire con misure correttive per prevenire ed eliminare le disparità retributive e rendere effettivo il principio di parità di trattamento.
 
Per agevolare i datori di lavoro nella comunicazione delle informazioni dettagliate sul divario retributivo di genere, gli stessi Stati membri possono produrre le informazioni richieste sulla base dei dati amministrativi che i datori di lavoro comunicano attraverso dichiarazioni alle autorità fiscali o di sicurezza sociale (quindi nel contesto italiano all’Agenzia delle Entrate, all’INPS, all’INAIL).
 
La raccolta, comunicazione e diffusione dei dati sui divari retributivi consentono ai datori di lavoro di prendere consapevolezza della loro situazione rispetto a tale questione e conseguentemente agire per colmare l’eventuale disparità.
 
La raccolta e diffusione dei dati aggregati sul divario retributivo di genere ad opera degli Stati membri ha la funzione di fare conoscere la situazione alle autorità pubbliche competenti, ai rappresentanti dei lavoratori e ad eventuali altri portatori di interessi per adottare delle azioni per prevenire ed eliminare le disparità retributive e rendere effettivo il principio di parità di trattamento.
 
Infine, si osserva come la direttiva promuova il ruolo e il coinvolgimento effettivo delle parti sociali nella sua attuazione, a partire dalla possibilità per gli Stati membri di affidare alle parti sociali l’attuazione della direttiva (in conformità al diritto e/o alle prassi nazionali), assicurandosi, tuttavia, il raggiungimento dei risultati prescritti dalla stessa.
 
In ogni caso, il coinvolgimento delle parti sociali e della contrattazione collettiva nell’implementazione dei contenuti della direttiva è assicurato da molti richiami e da un articolo dedicato al dialogo sociale, dove si sollecitano gli Stati membri a adottare misure adeguate a promuovere il ruolo delle parti sociali e la contrattazione collettiva in relazione alle misure volte a contrastare la discriminazione retributiva, in particolare lo sviluppo di sistemi di classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere.
 
Alcune disposizioni del nostro ordinamento già disciplinano alcuni profili toccati dalla direttiva. Per esempio, il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna -, come modificato dalla Legge n. 162/2021 in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, regolamenta al Capo II i divieti di discriminazione, tra i quali in particolare il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro (art. 27), il divieto di discriminazione retributiva (art. 28), il divieto di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera, ecc. In ogni caso, la direttiva comprende una serie di disposizioni, in particolare relative al diritto di informazione e ai diritti di tutela (adire in tribunale, chiedere il pieno risarcimento, ecc.) che dovranno essere recepite nel nostro ordinamento.
 

Silvia Spattini 
Ricercatrice ADAPT
@SilviaSpattini

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