Tirocini di inserimento lavorativo controproducenti dopo la riforma del lavoro a termine

L’entrata in vigore del d.l. n. 34/2014 con la sua modifica al lavoro a tempo determinato pone il serio problema dell’opportunità della permanenza nell’ordinamento del lavoro i tirocini di inserimento o reinserimento lavorativo.
Tali tirocini hanno lo scopo di agevolare il primo inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro di soggetti privi di occupazione, attraverso l’instaurazione non di un rapporto di lavoro, bensì di un’esperienza formativa “in situazione”, svolta, cioè, non attraverso teoria o laboratori, ma direttamente in azienda, con l’affiancamento di un tutor.
Come è noto, i tirocini di questo tipo non possono avere durata superiore ai 6 mesi, proroga compresa, e danno diritto ad un rimborso, a carico dell’azienda ospitante, non inferiore ai 300 euro, salvo diverse disposizioni delle regioni.
 
Il tratto caratteristico dei tirocini è il loro scopo: un breve addestramento non formale allo svolgimento di un’attività, utile per immettere la persona priva di occupazione in una realtà lavorativa vera, conoscerla e mettersi in gioco; al contempo è un sistema di incontro domanda/offerta, perché si mettono le imprese in condizione di conoscere dal vero persone in cerca di lavoro. L’incontro mediante il tirocinio non di rado produce, poi, assunzioni.
 
Non c’è, tuttavia, da nascondere il punto debole della disciplina dei tirocini: l’effettiva funzione formativa e, dunque, non lavorativa. Il tirocinio non dovrebbe avere lo scopo di rafforzare la forza lavoro del datore, ma essere solo un’occasione di conoscenza tra le parti, per altro regolata da un preciso piano formativo, posto a fissare esattamente quali apprendimenti debba acquisire la persona priva di lavoro e come documentarli. Tuttavia, troppo spesso i piani formativi sono insufficienti, poiché finiscono per coincidere con i meri mansionari delle figure professionali, oppure, anche se ben strutturati, non solo tali da scongiurare il pericolo che i tirocini siano un sistema di acquisizione di manodopera a buon mercato, particolarmente appetibile perché a bassissimo costo e a impatto burocratico ridotto, quanto meno nella fase gestionale. La “busta paga” infatti è semplicissima. C’è solo, all’avvio, l’onere di stendere il progetto formativo con l’ente promotore e di sottoscriverlo con la convenzione regolante i rapporti. Niente contributi, niente Inps, solo l’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni.
È evidente che il d.l. n. 34/2014, avendo introdotto il contratto a tempo indeterminato totalmente acausale per i primi 36 mesi, frazionabili fino ad 8 periodi prorogabili, con una durata media di ogni segmento di 4-5 mesi, mette fortemente in discussione l’utilità stessa dei tirocini, così come regolati dalla norma.
 
A ben vedere, un servizio per il lavoro pubblico o accreditato non ha più troppe ragioni per promuovere un tirocinio di massimo sei mesi, al duplice scopo di creare un’esperienza per il lavoratore e favorire la conoscenza delle capacità lavorative al datore.
Non sussistendo alcuna necessità di evidenziare ragioni particolari per l’attivazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato, risulterebbe certamente più utile e conveniente proporre direttamente l’assunzione a tempo determinato, prendendo atto di una circostanza incontestabile: la nuova configurazione del lavoro a tempo determinato è null’altro se non una “prova lunga”, con facile possibilità di “ripensamento” in capo al datore, che dosando bene i tempi del contratto e delle proroghe, può facilmente interrompere il rapporto, puntando sul decorso del termine, al riparo da qualsiasi vertenza.
 
L’utilità sarebbe reciproca. Per il lavoratore che con un contratto di lavoro a termine, anche breve, avrebbe la medesima opportunità formativa “on site” e di contatto con un datore offerta dal tirocini, godendo, però, di un vero e proprio contratto di lavoro, con le sue garanzie e, soprattutto, i versamenti contributivi. Per il datore, l’utilità di evitare di stilare un progetto formativo formale (magari “solo” formale) e incaricare un tutor, ed assumere direttamente il lavoratore, senza il pericolo di attivare, anche solo per leggerezza, un tirocinio simulato, che nasconde una vera e propria attività lavorativa.
 
Certo, per il lavoratore si perderebbe il “beneficio” della formazione strutturata nel piano. Ma, in realtà, proprio perché la funzione formativa dei tirocini è l’elemento più critico, di fronte alla possibilità di un contratto di lavoro “vero”, per quanto breve (ma anche i tirocini possono essere di pochissimi mesi) meglio un rapporto di lavoro genuino.
 
Il Governo farebbe molto bene ad assumere velocemente l’iniziativa di rivedere profondamente i tirocini di inserimento e reinserimento, abolendoli del tutto, lasciandoli solo per le categorie di lavoratori svantaggiati ed i disabili, oltre a garantire la permanenza dei tirocini curriculari.
Non sarebbe opportuno apprendere, tra qualche mese, che nonostante il tentativo sbandierato di flessibilizzare all’estremo il lavoro, i tirocini continuano egualmente la loro inarrestabile marcia all’incremento esponenziale, che ha contribuito (non certo da sola) al fallimentare bilancio dell’apprendistato.
 
Se i tirocini restassero in piedi e fagocitassero, come nulla pare escludere, anche il lavoro a tempo determinato nonostante la sua riforma, vi sarebbe la controprova di un sistema del mercato del lavoro condizionato non tanto e non solo dalla forma giuridica della contrattazione, quanto proprio esclusivamente dalla corsa alla svalutazione del salario.
È vero che mediamente le aziende sono disposte ad assegnare ai tirocinanti rimborsi superiori ai minimi previsti dalle regioni. Ma, comunque, la spesa risulterebbe molto, ma molto inferiore al costo aziendale di un vero e proprio contratto di lavoro.
 
 
Dunque, ci si può aspettare che i tirocini di inserimento e reinserimento continuino ad essere utilizzati per una forma indiretta di “dumping” anche contro il tempo determinato acausale. Una scoperta che sarebbe molto meglio non fare, con un intervento profondo ed urgente, che punti alla valorizzazione del lavoro, senza scorciatoie.
 
Luigi Oliveri
Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità
Provincia di Verona
@Rilievoaiace
 
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Tirocini di inserimento lavorativo controproducenti dopo la riforma del lavoro a termine
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