Strategie per lo sviluppo sostenibile di imprese e territori. Il caso della Comunità Energetica del Pinerolese

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Bollettino ADAPT 16 marzo 2020, n. 11

 

Mentre si studiano gli esiti ancora incerti dell’impatto delle tecnologie abilitanti sui sistemi industriali e sul mondo del lavoro e si disegnano i profili della agognata Impresa 4.0, un Team di lavoro del CPE – Consorzio Pinerolo Energia (Torino) traccia i confini di un ecosistema reticolare, pianificando la transizione della dimensione territoriale di riferimento verso nuovi sistemi di produzione e di consumo dell’energia.

 

In linea con le disposizioni della Renewable Energy Directive 2018/2001/UE (cd. RED II), l’esperimento avviato, a cui partecipano istituzioni territoriali, mondo accademico, aziende e cittadini, riguarda la costituzione di una Comunità Energetica del Pinerolese capace di coniugare benefici ambientali, economici e sociali ed altresì di generare valore non soltanto verso il suo interno ma anche verso il territorio in cui opera.

 

Nel solco di una intensa trasformazione del settore energetico nel suo complesso, 28 Comuni del Pinerolese, sottoscrivendo un protocollo d’intesa che ne disciplina le finalità e l’oggetto, hanno istituito la Oil free zone “Territorio Sostenibile” e promosso la costituzione della Comunità Energetica come mezzo fondamentale per la sperimentazione di forme aggregate per la produzione e l’autoconsumo di energia derivata principalmente da fonti rinnovabili.

Individuati i confini della Oil Free Zone, l’area territoriale nella quale, entro un determinato arco temporale e sulla base di uno specifico atto di indirizzo adottato dai Comuni, si prevede “la progressiva sostituzione del petrolio e dei suoi derivati con energie prodotte da fonti rinnovabili” (art. 71 L. n. 221/2015), l’obiettivo primario di progettazione di un sistema complesso di relazioni capace di valorizzare la specificità del territorio e altresì di coniugare le risorse di questa rivoluzione ambientale, tecnologica e sociale, porta con sé una serie di interrogativi sul ruolo delle relazioni industriali nei processi di transizione energetica nonché sulle implicazioni reciproche tra le politiche del lavoro e le politiche per lo sviluppo sostenibile territoriale.

 

Tra i numerosi profili di originalità, il Protocollo di Intesa per l’istituzione della Oil Free Zone, richiamando un Avviso sottoscritto il 21 dicembre 2011 da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil per il coinvolgimento delle Parti Sociali nell’analisi delle ricadute sullo sviluppo sostenibile delle imprese e dei territori, attraverso la leva della bilateralità e del welfare, sulla formazione e riqualificazione professionale ed altresì sulla incentivazione retributiva collegata a modelli organizzativi di produzione e di lavoro improntati all’efficienza e al risparmio energetico, sottolinea le potenzialità intrinseche della Oil Free Zone quale strumento per rafforzare i processi di sviluppo sostenibile delle imprese e dei territori.

 

All’interno dei confini territoriali della Oil Free Zone, la Comunità Energetica, prospettando una trama di relazioni territoriali tendenzialmente stabili, volte a regolare la collaborazione e la compartecipazione a un progetto di interesse comune fondato sullo sfruttamento congiunto e responsabile di risorse naturali, mira alla edificazione di piani di protezione e di sviluppo dell’integrità degli stakeholder e dell’ambiente fisico, economico e sociale.

 

La comunità non coincide, quindi, con il perimetro delle aziende che vi partecipano, ma sconfina in una organizzazione produttiva orizzontale, che non sembra apprezzabile se si adottano gli stereotipi dell’uniformità fordista. La cooperazione tra gli attori della costituenda Comunità Energetica, partendo dal mero scambio di informazioni, può potenzialmente raggiungere forme intense di condivisione non soltanto di obiettivi economici, sociali e ambientali e di risorse necessarie per perseguirli ma altresì di strumenti di diritto e di lavoro atti a regolare un fenomeno che può risultare utile alla tutela e alla promozione del lavoro nel contesto di nuove organizzazioni complesse.

 

Quale corpo intermedio di territorio con finalità (anche) ambientali, la Comunità Energetica rappresenta, del resto, il punto di osservazione idoneo per la pianificazione dell’impatto potenziale sul fattore lavoro della transizione verso gli ambiziosi obiettivi europei di sostenibilità, per la sperimentazione di percorsi di formazione di emergenti figure professionali, per la costruzione, parallelamente al bilancio energetico, di un sistema di monitoraggio della dotazione di capitale umano capace di attenzionare le conoscenze e le competenze green che la transizione verso un nuovo modello di produzione e consumo dell’energia potrebbe sviluppare.

 

In assenze di precise disposizioni, lo strumento eletto per affrontare, in una prospettiva di lungo periodo e nel rispetto dell’identità delle imprese e del territorio, il processo di trasformazione del mercato del lavoro locale non può che essere rappresentato dal dialogo sociale.

Una posizione già adottata da ACEA Pinerolese Industriale S.p.A., in qualità di società capofila del CPE, e CGIL – CISL – UIL territoriali, che in un Protocollo di Intesa – “Promozione e Iniziative per lo Sviluppo Economico, Sociale ed Occupazionale del Territorio Pinerolese” – di settembre 2019 convenivano sulla necessità di “costruire specifiche iniziative coordinate che, partendo dalle buone pratiche e dai percorsi già avviati, agevolino un reale confronto sul futuro del territorio, (…) per la creazione di un piano di sviluppo produttivo, infrastrutturale, turistico, sociale e eco sostenibile per il Pinerolese”.

 

Sul punto, all’interno del suo Statuto, la Comunità Energetica del Pinerolese, si propone di realizzare e sviluppare nel territorio, “un modello energetico sostenibile, partecipato, cooperativo, fondato sul progressivo superamento dell’uso di combustibili fossili e di loro derivati e sul più ampio utilizzo di energia da fonti rinnovabili” e “ricerca il più ampio dialogo con la società civile, in particolare con le associazioni senza scopo di lucro, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali e le istituzioni pubbliche”.

 

Ancora una volta, il caso pratico dimostra che la ricerca dei nessi di sistema tra “sostenibilità ambientale” e “sostenibilità del lavoro” è imprescindibilmente legata alla attuazione di un approccio “partecipativo” che, plasmato sul contesto territoriale di riferimento, faciliti l’integrazione delle strategie di tutela dell’ambiente con gli obiettivi di inclusione sociale e di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (cfr., in argomento, P. Tomassetti, Diritto del lavoro e ambiente, ADAPT University Press, 2018).

 

Maria Cialdino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MCialdino

 

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