Spagna: una riforma complessiva del lavoro per recuperare i diritti e combattere la precarietà

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Bollettino ADAPT 10 gennaio 2022, n. 1
 
Sull’onda del recente riconoscimento dei diritti e delle tutele sul lavoro alla categoria dei cosiddetti rider (su cui vedi L. Serrani, Spagna: Just Eat firma con i sindacati un accordo apripista sulle condizioni di lavoro dei fattorini, in Bollettino ADAPT 20 dicembre 2021, n. 45), la Spagna ha da qualche giorno raggiunto un nuovo traguardo sul piano del “recupero dei diritti e della dignità del lavoro” come ha sostenuto la ministra del lavoro spagnolo Yolanda Díaz, quello di una riforma complessiva del lavoro, frutto di un periodo di negoziazione che ha coinvolto tre ministeri, le parti sociali e in certa misura anche la Commissione Europea, e che si è protratto per oltre un anno a causa delle interruzioni dettate dall’emergenza pandemica.
 
Trattasi, dunque, di una riforma, come è stato sin da subito sottolineato in una nota della Asociación Española de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, a firma della Presidente María Emilia Casas, che è nata dal dialogo sociale e i cui complessi equilibri ottenuti all’esito di reciproche concessioni e rinunce, sono confluiti nel Real Decreto-ley 32/2021, de 28 de diciembre, de medidas urgentes para la reforma laboral, la garantía de la estabilidad en el empleo y la transformación del mercado de trabajo, pubblicato il 30 dicembre 2021 sul Boletín Oficial del Estado.
 
Il contratto a tempo indeterminato come regola
 
Come ha osservato, tra gli esponenti della dottrina che hanno da subito offerto la propria visione della riforma, Wilfredo Sanguineti, “la grande novità è che per la prima volta dall’approvazione nel 1980 dell’Estatuto de los Trabajadores ci troviamo di fronte ad una riforma del lavoro che non intende affrontare i problemi riducendo i diritti per promuovere l’occupazione o aumentare la flessibilità a disposizione delle imprese, come è avvenuto per tutte le riforme promosse in precedenza, tanto dai governi socialisti che da quelli conservatori. Al contrario, si tratta di una riforma che, come è stato ripetutamente affermato, non solo recupera i diritti ma considera questo un aspetto in grado di favorire il miglioramento delle relazioni industriali. Una vera e propria rivoluzione copernicana”.
 
Il principale obiettivo sotteso a tale riforma è stato, infatti, quello di ridurre la crescente precarietà e la viscerale svalutazione salariale che ha caratterizzato il mercato del lavoro spagnolo negli ultimi anni, e che ha provocato un aumento della disuguaglianza, del fenomeno dei “lavoratori poveri”. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali dell’INE, in Spagna oltre il 25% dei lavoratori ha contratti a tempo determinato (con percentuali molto più alte nelle attività legate al turismo e nelle costruzioni), e il tasso di disoccupazione è tra i più alti in Europa: il 14,57% nel terzo trimestre, sul totale della popolazione attiva, e il 31,15% tra i giovani con meno di 25 anni che faticano a trovare protezioni contrattuali.
 
Di conseguenza, e come ha anche osservato Antonio Baylos in un primo commento a caldo nel suo blog, “senza dubbio, la riforma delle assunzioni a tempo determinato, attuata principalmente attraverso la modifica dell’art. 15 dell’Estatuto de los Trabajadores, rappresenta l’elemento di maggior pregio del complesso di norme pattuite”. La riforma introduce, infatti, la presunzione secondo cui il contratto di lavoro debba essere, di regola, a tempo indeterminato, salvo due sole eccezioni: quella delle esigenze produttive e quella della sostituzione di altri lavoratori. Detti contratti non potranno, in ogni caso, durare più di sei mesi (o un anno in presenza di accordi collettivi settoriali) e potranno essere utilizzati dalle imprese per non più di 90 giorni in un anno.
 
Tale modifica normativa comporta, di fatto, la scomparsa della figura del contrato para obra o servicio determinado, cambiamento quanto mai rilevante se si considera che questa figura contrattuale oscilla tra il 38 e il 40% del totale dei contratti a tempo determinato. La conclusione dell’opera o del servizio, pertanto, non è più causa di estinzione del contratto, venendosi a creare una situazione speciale per l’estinzione dei contratti a tempo indeterminato nel settore della costruzione. Così, l’impresa, una volta terminata l’opera, dovrà offrire al lavoratore una proposta di ricollocamento, previo svolgimento, quando necessario, di un percorso di formazione a carico dell’impresa. Ove il lavoratore rifiutasse l’offerta o ragioni ad essa connesse determinino l’impossibilità di ricollocarlo, in mancanza di un posto adeguato si verifica l’estinzione del contratto, con un’indennità del 7% calcolata sul salario indicato nelle tabelle retributive del contratto collettivo, e dunque superiore a quella di 20 giorni all’anno di cui all’art. 52, lettera c) dell’Estatuto de los Trabajadores per i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
 
Il contrato fijo discontinuo potrà essere utilizzato per lavori o attività produttive di natura stagionale, nonché per quelli che pur privi di tale natura, in quanto intermittenti, abbiano tempi di esecuzione certi, determinati o indeterminati. I lavoratori soggetti a questo tipo di contratto saranno il collettivo privilegiato per le azioni di formazione. I contratti settoriali potranno favorire opportunità di lavoro e migliorare la loro formazione durante i periodi di inattività.
 
Rapporti tra livelli di contrattazione
 
E a proposito di contrattazione settoriale, la riforma affronta nell’ambito dei subappalti la questione decisiva della copertura dei vuoti normativi sino ad ora esistenti, grazie all’introduzione della disposizione secondo cui un contratto settoriale applicabile dovrà esservi sempre, sia esso quello dell’attività svolta dall’impresa principale o uno diverso che la contrattazione collettiva settoriale stabilisca nel quadro delle norme generali. Il contratto aziendale potrà essere applicato dall’impresa appaltatrice solo ove preveda condizioni retributive più favorevoli.
 
Non a caso, come ha anche osservato Jesús Cruz Villalón, un altro degli obiettivi della riforma è stato quello di “rafforzare la contrattazione collettiva settoriale quale strumento di gestione della politica salariale, favorendo un cambiamento della specializzazione produttiva meno incentrata sul ricorso intensivo a lavori non qualificati e poco retribuiti”. L’aspetto della preferenza del contratto aziendale, che nelle microimprese ha facilitato la svalutazione salariale, viene ora corretta con il semplice espediente di eliminare tale preferenza con riferimento all’importo della retribuzione. Questo apre la strada ad un ruolo da protagonista per i contratti settoriali, o meglio ancora sarebbe – secondo Villalón – per quelli nazionali, in modo tale che siano questi a dettare in maniera omogenea l’evoluzione generale dei salari, scongiurando i rischi di pratiche di concorrenza sleale. E l’avvenuto recupero dell’ultrattività dei contratti, vale a dire, la loro estensione una volta che la loro validità sia scaduta senza averne concordato un rinnovo, senza dubbio può favorire tale risultato.
 
Allo scopo, poi, di ridurre l’eccessivo turnover, vengono ridisegnati i disincentivi per i contratti a brevissimo termine. In concreto, viene introdotta una penalizzazione il cui importo cresce quanto più corta è la durata del contratto. Così, i contratti a tempo determinato che si concludano prima di 30 giorni vedranno maggiorati i contributi previdenziali di un importo pari a 26 euro, il che rappresenta un forte disincentivo a replicare tanti contratti di breve durata. Per svolgere un lavoro di 10 giorni, ad esempio, sarà più conveniente assumere una persona per l’intero periodo piuttosto che coprire lo stesso tempo con due contratti e 52 euro di maggiorazione contributiva. In via eccezionale, tuttavia, non si applica tale maggiorazione ai regimi speciali per i lavoratori agricoli, domestici, minerari e ai contratti per esigenze di sostituzione.
 
Flessibilità interna

 

La nuova normativa stabilisce, altresì, che i cosiddetti Expedientes de Regulación Temporal de Empleo (ERTE) per motivi economici, tecnici, organizzativi e produttivi – vale a dire, la gestione delle situazioni temporanee di crisi occupazionale di impresa – divengono ora più agili da gestire per le piccole e medie imprese, relegando i licenziamenti collettivi ad un ruolo secondario o di ultima istanza. Inoltre, per effetto della pandemia, nell’ambito dei licenziamenti per causa di forza maggiore verranno d’ora in poi considerati come causa specifica di licenziamento l’impedimento o le limitazioni all’attività d’impresa derivanti da una decisione del Governo.
 
E ancora, si prevede che le imprese in situazione di crisi potranno accedere al cosiddetto Mecanismo RED de Flexibilidad y Estabilización del Empleo. Trattasi di un sistema attraverso cui si intende favorire il mantenimento del posto di lavoro e che prevede esenzioni dai contributi previdenziali per quei lavoratori che abbiano subito una sospensione del rapporto di lavoro o una riduzione dell’orario.
 
Contratti formativi

 

Viene poi introdotto un cambio di modello rispetto al contratto formativo che potrà ora prevedere soltanto due modalità: la formazione in alternanza e l’acquisizione di una pratica professionale. Del contratto di formazione in alternanza viene ridefinito il quadro applicativo, retributivo e orario per rispondere ad una nuova finalità: acquisire la competenza professionale adeguata e corrispondente ad un determinato livello di studi. Potranno essere stipulati con persone di qualsiasi età, salvo il caso del Catalogo delle Qualifiche Professionali, per cui è previsto il limite massimo di 30 anni e una durata massima di 2 anni. La giornata di lavoro non potrà superare il 65% il primo anno e l’85% il secondo anno, rimanendo esclusi gli straordinari, i turni o le ore notturne. Quanto alla retribuzione, si terrà a riferimento a quella prevista nel contratto, e non potrà scendere al di sotto del 60% nel primo anno e del 75% nel secondo anno. Ad ogni modo, non sarà mai inferiore al Salario Minimo Interprofessionale in proporzione alle ore di lavoro. Quanto, invece, al contratto per l’acquisizione di una pratica professionale, questo potrà essere stipulato entro un massimo di 3 anni (o 5 nel caso di persone con disabilità) dal termine dei rispettivi studi, e potrà avere una durata compresa tra i 6 mesi e 1 anno.
 
Solo il tempo saprà dire se questa riforma, saprà davvero rendere effettiva quella rivoluzione copernicana che come sempre passa non soltanto dalle modifiche al dettato normativo, ma da un reale cambio di mentalità di coloro che quelle misure sono chiamati ad applicare. Indubbiamente apprezzabile, in questa prospettiva, è l’introduzione della disposizione secondo cui il Governo effettuerà, nel gennaio 2025, una valutazione dei risultati ottenuti con le misure introdotte, procedendo a sottoporre al tavolo del dialogo sociale una proposta di azioni ulteriori nel caso in cui quelle in essere non fossero servite a compiere passi in avanti significativi nella riduzione della precarietà.

 
Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

@LaviniaSerrani

Spagna: una riforma complessiva del lavoro per recuperare i diritti e combattere la precarietà
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