Salute e sicurezza sul lavoro nella IV rivoluzione industriale

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Bollettino ADAPT 11 aprile 2022, n. 14

 

Per uno studente o un neolaureato in giurisprudenza, il lavoro agile rappresenta indubbiamente una sintesi esplicativa delle imponenti trasformazioni del lavoro. Anche per questo lo smart working è tema di grande fascino per un giovane e, come tale, è ampiamente gettonato nella scelta dell’argomento della tesi di laurea. Non sempre, tuttavia, chi ha intrapreso un percorso di studi in materie giuridiche ha una formazione di base sufficiente a inquadrare il fenomeno nelle sue imprescindibili componenti tecnologiche, economiche e sociali, che vanno ben oltre il solo mutamento dei luoghi di lavoro. Cambiamenti così epocali imporrebbero una rifondazione dello stesso sistema universitario e delle logiche disciplinari verticali che, nonostante recenti aperture alla interdisciplinarità, limitano la piena conoscenza e comprensione di accadimenti sempre più complessi e articolati, che sfidano la stessa concezione tradizionale di cosa siano l’impresa e il lavoro. Le vecchie nozioni e fattispecie codicistiche paiono, in effetti, largamente superate. Così come non chiaro è il contributo che il giurista può dare a un fenomeno che è già stato rappresentato, negli studi ingegneristici ed economici, nei termini di una IV Rivoluzione Industriale.

 

Pensiamo, rispetto al lavoro agile, ad un aspetto da tempo al centro dell’attenzione pubblica come quello della salute e sicurezza nei “luoghi” di lavoro. Non mancano certamente studi in materia. Quello che ancora fatica ad emergere è un lavoro di gruppo e di tipo interdisciplinare, capace di integrare, in un discorso unitario, le diverse dimensioni e applicazioni disciplinari di un fenomeno che, nella realtà del mondo del lavoro, richiede risposte complesse e non certo contributi parziali che si perdono nella incomunicabilità tra le diverse discipline. Lo stesso termine coniato dal legislatore per rappresentare il fenomeno non trova eguali a livello comparato e alimenta percezioni soggettive di una realtà che non ha ancora conquistato un volto univoco, schiacciata com’è tra il vecchio telelavoro e le forme più innovative di lavoro da remoto, rese possibili dalla digitalizzazione e da sofisticate tecnologie.

 

Tutto si inquadra a partire dall’inarrestabile tendenza alla digitalizzazione, che ha coinvolto l’ambito economico e sociale e, dunque, quello normativo e che conduce ad un mutamento destinato a sicura affermazione e a trasfigurazione degli assetti generali tradizionalmente intesi, configurando la rivoluzione di cui si parla. Proprio in questo si legge il paradigma innovativo che ha informato anche il mondo del diritto. In particolare, partendo dal dato di un’economia rinnovata dall’uso delle tecnologie digitali, nel quadro dell’affermazione della smart factory quale azienda intelligente che, sfruttando i manufatti tecnologici, potenzia le capacità produttive, personalizzabili e flessibili, si giunge alla novità di un’interconnessione costante tra lavoratori e macchine artificiali. Il fattore tecnologico induce all’innovazione di prestazioni di lavoro fluide, che abbandonano la rigida predeterminazione di spazio e tempo di lavoro, permettendo la resa della prestazione lavorativa entro ambienti di lavoro virtuali. La vera rivoluzione che ha investito la società si riscontra proprio qui: si trascende dal dato fisico e dalla materialità degli spazi, per rappresentare luoghi di lavoro e spazi sociali che nulla hanno a che fare con la spazialità abitualmente intesa.

 

Per quanto di interesse ai fini giuslavoristici, la riconfigurazione dell’ambiente di lavoro e la tensione all’uso massivo di tecnologie digitali, oltre a dettare la possibilità di sviluppare nuove modalità di effettuazione della prestazione di lavoro (da remoto ovvero in modalità agile, tramite piattaforma), sottendono un cambiamento di più ampio respiro.

Nonostante l’instabilità della condizione originata dalla rivoluzione del digitale, dinanzi alla quale non si assiste ad un arresto, ma ad una continua destandardizzazione delle modalità tipiche di esecuzione delle attività lavorative, è possibile trarre indicazioni, che non si pretendono esaustive nell’ottica della protratta evoluzione. L’uso di devices e altre apparecchiature tecnologiche introduce rischi previamente sconosciuti nell’ambiente di lavoro, che impattano sulla salute del lavoratore e impongono un aggiornamento della materia, per apprestare una tutela ancor più specifica e dedicata. In questo senso anche la professionalità dei soggetti coinvolti subisce modificazioni, a fronte dell’adattamento progressivo alle emergenti necessità, al fine di una formazione ed un aggiornamento costanti. Nel mondo del lavoro si profilano pericoli nuovi, incerti alla luce della mancanza di evidenze scientifiche in materia: il tecnologicamente possibile si scontra con una linea invalicabile di tutela della persona umana, che permane al centro di ogni considerazione socio-economica. Proprio la salute, oggetto di previsione anche costituzionale, nella sua dimensione fisica e psicologica finisce per non arretrare a fronte dei cambiamenti in atto, bensì li piega per una sua perdurante garanzia.

 

Accanto a tali valutazioni, si ascrivono la ridefinizione del concetto di “luogo” di lavoro e le ulteriori conseguenze sul piano della salute e della sicurezza. L’inserimento del digitale nel contesto lavorativo ha comportato la possibilità della resa delle attività da remoto, grazie alla costante interazione garantita dalla modalità telematica. La prospettiva ha indotto una presa di coscienza sui nuovi potenziali rischi per i prestatori operanti al di fuori della sede di lavoro, che si impongono a causa della porosità del tempo di lavoro e di vita e, dunque, della potenziale pervasività del primo. In questi rinnovati contesti lavorativi non si può trascendere anche dalla considerazione del pericolo derivante dalla mancanza di socialità e, pertanto, si rende necessaria un’analisi sociologica della materia, richiamando ancora una volta l’esigenza di interdisciplinarità.

 

Dunque, prescindendo dall’elencazione delle nuove categorie di rischio che necessitano completo riconoscimento nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza del prestatore, la rivoluzione digitale ha inciso sulla base stessa del Testo Unico sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81): la definizione univoca di “luogo” di lavoro, che legittima la normativa apprestata, cede il passo ad un labile inquadramento, dettato dalla possibilità di un lavoro “ubiquo” che supera la fissità dello spazio di lavoro. Di conseguenza, tale assunto impone un ripensamento profondo della regolamentazione tradizionale, che possa rispondere, in primis, ad un cambiamento integrato, sul piano spazio-temporale, culturale e sociale e, in ultimo, giuridico. Solo una ricerca interdisciplinare, che prenda le mosse dal dato economico e sociale, per giungere alle considerazioni giuridico-normative prospettate, è pertanto idonea a contribuire a una comprensione profonda di una rivoluzione quanto mai pervasiva, che ha finito per scardinare un elemento fondante la subordinazione: il luogo di lavoro, aspetto legittimante la tutela della salute e della sicurezza del prestatore subordinato. Qualcosa si muove, in questa direzione, come dimostra la ricerca, ancora parziale e a tratti sperimentale, condotta dal gruppo di ricerca DEAL e ADAPT (vedi AA.VV., Il sistema prevenzionistico e le tutele assicurative alla prova della IV Rivoluzione Industriale,  Adapt University Press, 2021, vol. I-VI), ma molto di più si potrebbe fare se i giovani studenti e le nuove generazioni di ricercatori potessero vivere, sin dai primi passi nelle aule universitarie, ambienti di apprendimento innovativi, idonei a superare la specializzazione verticale dei saperi.

 

Francesca Mariani

Dottore in Giurisprudenza

Università di Bologna

Salute e sicurezza sul lavoro nella IV rivoluzione industriale