Quali misure di prevenzione per i rider? Rischi, tutele e opportunità per un lavoro più sicuro

Bollettino ADAPT 16 dicembre 2024, n. 45
 
Lo scorso aprile è stata approvata dal Parlamento dell’Unione Europea la direttiva in tema di lavoro mediante piattaforme digitali, la quale, tra le altre cose, prevede un’ampia estensione della qualifica di lavoro subordinato ai rapporti di lavoro su piattaforma. Il tema è di particolare interesse per il nostro Paese, considerando le criticità presenti nella disciplina della materia, con riferimento ai profili di salute e sicurezza. Difatti, tale Direttiva chiede agli Stati membri dell’Unione Europea di conformarsi al disposto normativo in essa contenuto, tramite l’emanazione di una apposita norma che definisca i criteri per realizzare compiutamente lo scopo proposto. Lo scopo, come anticipato, è quello di garantire tutele minime per i lavoratori su piattaforma, a prescindere dalla distinzione tra autonomia e subordinazione. Come chiarito dall’articolo dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul lavoro “The EU Directive on platform work: improvements and remaning challenges related to occupational safety and health”, la Direttiva pone in essere una presunzione di subordinazione a favore dei lavoratori del settore, al seguito della quale troveranno attuazione anche gli obblighi inerenti la materia antinfortunistica. Uno specifico capitolo della Direttiva è difatti dedicato alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ponendo l’attenzione sui rischi economici e psicosociali a cui i lavoratori delle piattaforme sono soggetti.
 
In Italia la normativa di riferimento in ambito salute e sicurezza negli ambienti di lavoro è il d.lgs. n. 81/2008, anche noto come “Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro”. Tale norma vorrebbe che le disposizioni relative alla sicurezza sul lavoro fossero destinate alla generalità dei lavoratori, compresi gli apprendisti, i tirocinanti e chi presta la propria attività a titolo gratuito. La vocazione universalistica appena menzionata viene però ridimensionata dall’art. 3 del decreto stesso, che assegna un trattamento certamente più favorevole ai lavoratori subordinati. Ricordiamo infatti, a titolo meramente esemplificativo, che i lavoratori aventi un contratto di collaborazione coordinata e continuativa usufruiscono delle tutele contenute nelle disposizioni del d.lgs. n. 81/2008 solo nei casi in cui la prestazione venga svolta nei luoghi del committente (Chiara Lazzari, “Gig economy e tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Prime considerazioni a partire dal caso Foodora”, Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, p. 473).
 
È evidente come tale limitazione alle effettive tutele del Testo Unico della Salute e Sicurezza sul Lavoro sia significativamente rilevante nel contesto lavorativo dei lavoratori della gig-economy. Questi ultimi, difatti, non sono sempre ingaggiati con contratti di lavoro subordinato, ma soprattutto con contratti di collaborazione, di lavoro autonomo occasionale o a partita iva, e svolgono la propria prestazione lavorativa al di fuori dei locali del committente (che molto spesso prende le vesti di un applicativo digitale). L’art. 3 d.lgs n. 81/2015 appare dunque essere una disposizione anacronistica (dal momento che basa la differenza sul luogo di svolgimento), a fronte dell’introduzione di nuove modalità organizzative del lavoro (es. smart working) che prescindono dalla fisicità e materialità del luogo di lavoro, e in particolare a fronte dell’introduzione da parte del legislatore del capo V-bis (“Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”) all’interno del d.lgs. n. 81/2015.
 
I lavoratori subordinati saranno senza ombra di dubbio coperti dalle tutele insite nelle disposizioni del Testo Unico summenzionato, ma per quanto concerne i collaboratori etero-organizzati e autonomi, tale tutela non è affatto scontata.
 
Di particolare rilievo sono le pronunce dei tribunali di Bologna e Firenze, sezione lavoro. Le due pronunce, contenute nel decreto n.r.g. 745/2020 (la prima), e nel decreto n.r.g. 886/2020 (la seconda), sono emblematiche in quanto rimuovono il velo della finta qualificazione di lavoro autonomo dal rapporto di lavoro in essere tra i riders ricorrenti e le società committenti. In forza del principio di effettività e a scapito del dato formale consistente nel nomen iuris del contratto, i giudici di entrambi i tribunali riconoscono che il rapporto di lavoro sussistente possa venir qualificato come una collaborazione continuativa etero-organizzata, con conseguente condanna della società convenuta alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale necessari per scongiurare il rischio covid (ricordiamo difatti che in virtù dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, ai lavoratori con rapporti di collaborazione organizzata dal committente sono estese le tutele del lavoro subordinato).
 
Il rischio covid non è, però, l’unico rischio sofferto dai riders nel corso dello svolgimento delle loro prestazioni lavorative (e valutabile nel corso dell’esperienza pandemica). I riders generalmente effettuano la loro prestazione lavorativa su strada, con tutti i rischi del caso che dovrebbero essere presenti nel Documento di Valutazione dei Rischi redatto dalla società committente (ricordiamo che dal 2013 l’omessa valutazione dei rischi all’interno dell’omonimo documento può essere sanzionata penalmente).
 
Come si legge nel Documento Tecnico della regione Toscana, allegato alla delibera n.665 del 13-06-2022, che è stata emanata per fornire indicazioni al datore di lavoro circa la valutazione dei rischi lavorativi, i riders lavorano su strada, con tutti i rischi insiti nella circolazione stradale (investimenti, urti, colpi e impatti). I fattori che possono influenzare tale rischio sono certamente legati al traffico veicolare (elevata intensità, disorganizzazione dei percorsi cittadini, rotonde o incroci etc). Inoltre, la mancata conoscenza o il mancato rispetto del codice della strada e della segnaletica, in aggiunta ad eventuali difficoltà linguistiche, possono essere considerati fattori che aumentano la pericolosità dell’attività lavorativa, che peraltro nella maggior parte dei casi viene svolta nelle ore serali/notturne (con conseguente minore illuminazione). Il rider, in più, proprio per la natura della sua prestazione lavorativa, è portato a consultare lo schermo digitale per sincerarsi che il tragitto da seguire sia corretto. Tale operazione, specie laddove il veicolo non sia dotato di apposito supporto per il telefono cellulare, può causare delle disattenzioni. In aggiunta, lo zaino portato sulle spalle del lavoratore, in particolare se pesante, può essere motivo di sbandamento del mezzo.
 
Le condizioni atmosferiche, inoltre, impattano sia sul rischio insito nella circolazione stradale, sia sul microclima, dal momento che i riders sono esposti al variare delle condizioni metereologiche.
 
La prestazione lavorativa include anche la movimentazione (o semi-movimentazione) manuale dei carichi: le attività di carico e scarico della merce, pur di breve durata, comportano attività di movimentazione manuale. Inoltre, di fondamentale rilevanza è il trasporto dei prodotti, contenuti in uno zaino/borsa che viene tenuto sulle spalle del rider. Tale peso comporta un grave affaticamento muscolare, esercitando sulla colonna vertebrale una forza pari a 7.2 della colonna vertebrale stessa, che peggiora drasticamente nel caso di busto inclinato e altre posture scorrette (Documento Tecnico della regione Toscana, allegato alla delibera n.665 del 13-06-2022, p. 14).
 
Il lavoro dei riders è un lavoro a contatto con il pubblico, e pertanto deve essere valutato anche il rischio di aggressioni. Infine, non da sottostimare è lo stress lavoro-correlato, alimentato dalla pressione temporale a cui i riders sono sottoposti quando viene loro imposto di consegnare i prodotti entro un certo arco temporale, pena l’esclusione, da parte dell’algoritmo, da alcuni slot temporali più vantaggiosi in cui eseguire la prestazione lavorativa. Incide sullo stress anche la precarietà del contratto per quei lavoratori che subiscono (ma non cercano) tali condizioni.
 
Per eliminare, o almeno ridurre detti rischi al minimo non altrimenti comprimibile, possono essere messe in atto varie misure, suggerite dalla delibera della regione Toscana sopra citata. Con riguardo allo stress lavoro-correlato, può essere stabilito un numero massimo di consegne effettuabili dal lavoratore. Relativamente al rischio aggressioni, un kit d’emergenza può essere dato in dotazione al rider, insieme a misure che favoriscano i pagamenti elettronici o anticipati.
 
Per quanto invece riguarda i rischi insiti nella circolazione su strada, devono venir individuati dei percorsi non affollati né riservati ai pedoni e che non abbiano un fondo stradale sconnesso. Di fondamentale importanza la regolare e puntuale manutenzione dei mezzi utilizzati per il trasporto dei beni, che risulta essere a carico del datore se il veicolo viene fornito dal committente, mentre risulta essere a carico del lavoratore se quest’ultimo usa un mezzo di sua proprietà.
 
Estremamente rilevanti sono la formazione sia generica che relativa al rischio specifico che deve essere erogata gratuitamente ai lavoratori e la sorveglianza sanitaria alla quale i lavoratori, parimenti senza oneri economici a loro carico, devono sottoporsi.
 
Non sembrano oggi molte le iniziative come quelle della Regione Toscana, la cui Delibera può essere intesa come best-practice. Come riportato nella premessa del documento stesso, “l’obiettivo è quello di fornire indicazioni tecnico-scientifiche per la successiva valutazione dei rischi lavorativi (…), caratterizzandosi come Linea di Indirizzo per l’adempimento da parte del Datore di Lavoro ai propri doveri in materia di salute e sicurezza dei lavoratori”. La Delibera si rivolge dunque ai datori di lavoro aventi rapporti di collaborazione organizzata con i riders; sembrerebbe dunque escludere i lavoratori autonomi (p. 3)
 
Relativamente al panorama della letteratura internazionale, possiamo segnalare che è stato pubblicato lo studio “Securing safer, fairer conditions for platform workers: key regulatory and policy developments and challenges” ad opera dell’ European Agency for Safety and Health at Work”. Tale studio appare molto interessante in quanto, oltre a fornire un quadro di confronto fra le normative dei Paesi nei quali il lavoro in piattaforma è stato disciplinato, espone perplessità in merito alla questione della manutenzione delle attrezzature di lavoro (veicoli per la consegna dei beni) e alla formazione relativa ai rischi lavorativi che i lavoratori dovrebbero ricevere: entrambe sarebbero, almeno formalmente, a carico del datore di lavoro ma non vengono quasi mai effettuate.
 
In attesa di un provvedimento legislativo che regoli compiutamente la materia, come si presume avverrà con il recepimento della richiamata direttiva, l’associazione datoriale AssoGrocery e le organizzazioni sindacali NIDIL-CGIL, FELSA-CISL e UILTEMP-UIL hanno sottoscritto un accordo collettivo ex art. 2, co. 2, D. Lgs. n. 81/2015 che, fra i vari provvedimenti, istituisce i RLS, rende pubblici i dati relativi agli infortuni e, con riguardo agli infortuni stessi, impedisce che la temporanea sospensione dell’account del lavoratore incida sul ranking reputazionale. Date le diversità e complessità del settore, l’augurio è quello di prevedere delle tutele minime per i lavoratori a prescindere dalla distinzione tra autonomia e subordinazione. Ciò coincide esattamente con quanto riportato nella Direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali, emanata recentemente dal Consiglio e dal Parlamento Europeo.
 
Si attende dunque il provvedimento legislativo che, attuando le prescrizioni della Direttiva Europea, fornirà finalmente tutele concrete a quella categoria di lavoratori troppo spesso bistrattata.
 
Chiara Carloni

ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti

Quali misure di prevenzione per i rider? Rischi, tutele e opportunità per un lavoro più sicuro
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