Qualche domanda sul personale – ADAPT incontra Simone Capoferri, Chief Human Resources & Organization Officer di Gewiss
| di Arianna Zanoni
Bollettino ADAPT 9 giugno 2025, n. 22
L’innovazione tecnologica, i cambiamenti demografici e sociali, insieme all’impatto del declino della popolazione attiva, pongono sfide sempre più complesse ai sistemi di relazioni industriali, chiamati a garantire la sostenibilità economica e sociale dei settori produttivi e delle singole realtà aziendali. In questo contesto, la contrattazione collettiva può rivelarsi uno strumento strategico, capace di accompagnare e orientare i cambiamenti, offrendo soluzioni concrete per una gestione del personale orientata al benessere dei dipendenti e alla produttività aziendale.
Nell’ambito della rubrica Qualche domanda sul “Personale” abbiamo intervistato Simone Capoferri, Chief Human Resources & Organization Officer in Gewiss dal 2020 con una laurea in giurisprudenza alla Statale di Milano e una carriera internazionale in ambito HR alle spalle, per porgli alcune domande relative alla gestione delle risorse umane in azienda.
A proposito di Gewiss
GEWISS nasce nel 1970 dall’intuizione del suo fondatore, il Cavaliere Domenico Bosatelli, che per primo comprese le potenzialità del tecnopolimero applicato all’impiantistica elettrica. Fin dalla sua origine, l’azienda si è distinta per i costanti investimenti in ricerca e sviluppo, nella formazione delle persone e nel rafforzamento delle proprie strutture produttive. Un percorso che ha consentito a GEWISS di affermarsi come interlocutore di riferimento nella realizzazione di soluzioni e servizi per la home & building automation, la protezione e distribuzione dell’energia, la mobilità elettrica e l’illuminazione intelligente. Un momento di svolta significativo nella storia aziendale si è registrato nel 2019, anno che ha rappresentato una vera e propria transizione strategica. In quell’anno, GEWISS contava 1.500 dipendenti e un fatturato di 300 milioni di euro. Nonostante l’organizzazione fosse in piena salute, il Cavaliere Bosatelli iniziò a riflettere sul futuro dell’azienda, condividendo con uno dei suoi tre figli, Fabio Bosatelli – oggi Presidente – la volontà di intraprendere un nuovo percorso di crescita. L’obiettivo era duplice: da un lato, valorizzare il potenziale ancora inespresso dell’azienda; dall’altro, affrontare con determinazione la crescente competitività di un mercato globale dominato da player di dimensioni sempre maggiori. A questa visione si è unita la lungimiranza di Fabio stesso, consapevole che i valori che avevano guidato la crescita di GEWISS sin dalle origini non bastavano più da soli per sostenere una nuova fase di sviluppo. È in questo contesto che sono stati definiti i quattro pilastri strategici “MINDS”: diventare più Manageriali, Internazionali, Digitali e Sostenibili. Per dare concretezza a questa trasformazione, è stato nominato un nuovo Amministratore Delegato, l’Ing. Paolo Cervini, avviando un percorso di evoluzione organizzativa orientato anche al rafforzamento della presenza internazionale. Le filiali estere sono state riorganizzate secondo una logica per Regioni, rendendole più integrate e coinvolte nelle dinamiche aziendali. Parallelamente, in Italia, è stata definita una chiara distinzione tra i ruoli Corporate – con responsabilità sull’intera organizzazione – e quelli focalizzati esclusivamente sullo sviluppo commerciale del mercato italiano, storicamente il principale per fatturato. Questa riorganizzazione, accompagnata dall’introduzione di un sistema strutturato di valutazione della performance, ha contribuito in modo determinante alla crescita registrata nei cinque anni successivi. Un percorso segnato da due importanti acquisizioni e da risultati di rilievo: GEWISS conta oggi oltre 3.000 dipendenti e un fatturato che supera gli 800 milioni di euro.
Ritiene che i modelli partecipativi di cui si discute molto possano effettivamente essere di supporto all’innovazione organizzativa? Quale dovrebbe essere il ruolo del sindacato in questo contesto?
I modelli partecipativi rappresentano un efficace strumento a supporto dell’innovazione organizzativa, in quanto favoriscono un ambiente in cui le persone si sentono coinvolte, ascoltate e valorizzate. Questo approccio stimola la creatività, rafforza la collaborazione tra colleghi e incoraggia l’adozione di nuove idee. Quando i dipendenti sono attivamente coinvolti nei processi decisionali, aumentano la loro motivazione, il senso di responsabilità e l’identificazione con gli obiettivi aziendali, contribuendo così al miglioramento delle performance complessive dell’organizzazione. Inoltre, tali modelli promuovono un clima di lavoro più inclusivo, aperto e cooperativo.
In questo scenario, anche il ruolo del sindacato merita una riflessione. Oggi più che mai, è necessario che il sindacato avvii un processo di rinnovamento, superando una visione ancora fortemente ancorata ai tradizionali contesti produttivi. È fondamentale che si evolva per riuscire a rappresentare con efficacia anche il mondo impiegatizio, che soprattutto tra le generazioni più giovani fatica a riconoscerlo come un interlocutore diretto e vicino.
Il progressivo calo di rappresentatività del sindacato all’interno delle aziende costituisce, inoltre, un elemento critico anche per le stesse organizzazioni. Un sindacato solido e riconosciuto, capace di portare avanti con competenza le istanze dei lavoratori, permette un confronto costruttivo, orientato a trovare una direzione condivisa, pur nel rispetto delle naturali differenze di visione. Al contrario, interfacciarsi con un sindacato debole o poco rappresentativo rischia di spostare l’attenzione su temi percepiti solo da una parte minoritaria della popolazione aziendale, riducendo l’efficacia del dialogo sociale.
È quindi auspicabile che il sindacato investa nello sviluppo di nuove competenze, aggiornando strumenti e linguaggi, per allinearsi ai profondi cambiamenti che stanno interessando il mondo del lavoro, le organizzazioni e le persone.
Nella vostra realtà applicate un contratto aziendale? In caso affermativo quali sono gli elementi più rilevanti?
A partire dal 2019/2020, abbiamo lavorato a un nuovo sistema di premio di risultato, profondamente diverso rispetto a quello adottato in passato. Il nuovo modello è basato su KPI specifici e ben definiti, con l’obiettivo di garantire un ritorno economico equo, proporzionato e progressivo per tutta la popolazione aziendale. Alla base del sistema vi è la coerenza e fattibilità degli obiettivi, identificati nei seguenti ambiti strategici: profittabilità, produttività, sostenibilità e sicurezza sul lavoro.
Parallelamente, abbiamo introdotto un importante elemento di flessibilità: ogni dipendente può usufruire di fino a 10 giorni al mese di lavoro da remoto, in accordo con il proprio manager di riferimento. Per rendere efficace questo modello, è stato essenziale dotarsi di un sistema strutturato di valutazione della performance, grazie al quale il luogo fisico di lavoro diventa secondario rispetto al raggiungimento condiviso degli obiettivi. In questa logica, lo smart working diventa un vero e proprio strumento di motivazione e di miglioramento del work-life balance.
Da sempre, prestiamo grande attenzione anche al tema del part-time. Ogni anno lanciamo una campagna dedicata per raccogliere le richieste dei dipendenti: il part-time viene solitamente concesso per la durata di un anno, con la possibilità di rinnovo, in base alle esigenze personali e organizzative.
Abbiamo inoltre introdotto un accordo sulle ferie solidali, che consente, in situazioni di particolare necessità e in accordo con il sindacato, di donare giorni di ferie a colleghi in difficoltà, promuovendo così una cultura aziendale solidale e inclusiva.
Infine, collegata al premio di risultato, quattro anni fa abbiamo attivato una piattaforma di welfare aziendale. Il successo dell’iniziativa è testimoniato da un tasso di conversione dell’80%, ovvero dalla percentuale di dipendenti che scelgono volontariamente di utilizzarla. Un ruolo cruciale è stato svolto dalla campagna di comunicazione, che ha previsto non solo strumenti informativi digitali, ma anche incontri dedicati per spiegare nel dettaglio le opportunità offerte, evitando di affidarsi esclusivamente alla comunicazione via email.
Lo strumento del welfare aziendale viene spesso inteso come una mera erogazione monetaria nonostante possa rappresentare un valido strumento di accompagnamento delle trasformazioni in corso nelle imprese e nel mercato del lavoro. Come intende lei questo strumento?
La componente economica del welfare è certamente ben rappresentata dalla piattaforma che abbiamo introdotto negli ultimi anni e che registra un tasso di adesione molto alto. Tuttavia, per noi, il welfare non si esaurisce nella dimensione monetaria: rappresenta, piuttosto, un insieme di azioni e iniziative volte a promuovere il benessere complessivo delle nostre persone.
Crediamo fortemente che prendersi cura delle persone significhi agire in modo concreto. È per questo che, ad esempio, organizziamo campagne di vaccinazione antinfluenzale a carico dell’azienda, e abbiamo recentemente attivato uno sportello psicologico in collaborazione con un partner qualificato anche a livello europeo. Questo ci consentirà, tra l’altro, di estendere il servizio anche alle sedi estere.
Promuoviamo inoltre iniziative di sensibilizzazione su tematiche legate alla salute, che si svolgono presso il nostro Experience Center di Cenate Sotto. Offriamo un servizio di assistenza fiscale in azienda e abbiamo attivato numerose convenzioni con realtà del territorio, come palestre, supermercati e altri servizi utili alla vita quotidiana.
Un’attenzione particolare è rivolta anche alla mensa aziendale, un servizio che può sembrare secondario ma che, nella nostra esperienza, ha un impatto rilevante sulla qualità della giornata lavorativa. È molto apprezzata dai collaboratori e contribuisce al senso di appartenenza.
In sintesi, riteniamo che il welfare aziendale rappresenti uno strumento strategico per creare un ambiente di lavoro sereno, motivante e produttivo. È un investimento che genera valore tanto per le persone quanto per l’organizzazione, favorendo una cultura basata sulla cura reciproca, sulla fiducia e sulla crescita condivisa.
La formazione dei dipendenti è una forte leva di attraction e retention. Come Gewiss dà risposta ai fabbisogni formativi dei propri dipendenti?
Il mio sogno – e al tempo stesso la nostra ambizione – è che ogni persona riconosca in Gewiss l’azienda ideale per crescere professionalmente e sviluppare il proprio potenziale. Ed è su questa visione che, negli ultimi cinque anni, abbiamo costruito con convinzione un percorso volto a rafforzare una cultura orientata all’apprendimento continuo.
Abbiamo implementato una piattaforma di e-learning che integra contenuti di LinkedIn Learning, corsi interni e percorsi formativi dedicati in particolare all’area Sales, sia di natura tecnica che focalizzati sul potenziamento delle soft skills, oggi fondamentali per affrontare con efficacia la quotidianità lavorativa.
Considerata la nostra sempre più marcata proiezione internazionale, attribuiamo grande importanza anche alla formazione linguistica: abbiamo attivato corsi di inglese in collaborazione con un provider esterno, disponibili su tutto il territorio italiano e nei Paesi in cui siamo presenti.
Un investimento particolarmente significativo ha riguardato la formazione d’aula per i nostri People Manager. Crediamo che un buon leader sia in grado di far crescere le persone che guida: per questo abbiamo progettato due percorsi intensivi, “Jump” e “Jump Higher”, ciascuno della durata di una settimana. Questi percorsi affrontano il tema della relazione quotidiana tra manager e collaboratori, con un’attenzione specifica alla gestione di contesti multigenerazionali in continua evoluzione. Un focus particolare è stato dedicato alla cultura del feedback continuo, valorizzando in particolare il feedback positivo come leva motivazionale e di crescita. Infine, con grande orgoglio, abbiamo avviato un percorso interno sulla falsariga di un MBA in partnership con SDA Bocconi, rivolto a 25 talenti, italiani e internazionali. Il percorso prevede otto moduli in aula, una sessione all’estero, la realizzazione di un progetto su un caso reale e una cerimonia conclusiva di graduation. Si tratta di un’iniziativa fortemente attrattiva, che ha riscosso grande partecipazione e sulla quale puntiamo molto, al punto da essere già al lavoro sulla seconda edizione.
Le competenze ricercate dalle aziende non sono più solo quelle tecniche, ma si sta ponendo sempre maggiore attenzione alle cosiddette soft skills: in cosa risiede, a suo avviso, il valore di questo tipo di competenze? Cosa si può fare concretamente valorizzare le soft skills?
Nonostante il termine “soft” possa suggerire un’idea di secondarietà, le soft skills, ovvero le competenze relazionali e comportamentali, sono oggi assolutamente imprescindibili nei contesti organizzativi. Se in ambito scolastico contribuiscono alla crescita personale e alla maturazione dei giovani, in ambito professionale rappresentano una leva strategica per il successo individuale e per la crescita complessiva dell’azienda.
Non si tratta di competenze alternative rispetto a quelle tecniche, ma complementari: le soft skills hanno la capacità di valorizzare e amplificare le competenze “hard”. Un esempio semplice: un venditore con un’approfondita conoscenza del prodotto difficilmente avrà successo se non possiede anche solide capacità comunicative e relazionali.
In uno scenario caratterizzato da continui cambiamenti, le soft skills che riteniamo oggi fondamentali includono l’empatia, la collaborazione, la gestione dell’incertezza e la visione sistemica. Un’altra competenza chiave è l’attitudine all’innovazione, che però deve necessariamente essere accompagnata dalla capacità di accettare l’errore. Innovare significa anche sperimentare, e questo comporta il rischio di sbagliare: l’errore, se frutto di un impegno autentico e professionale, deve essere riconosciuto come parte integrante del processo di miglioramento. È fondamentale, quindi, promuovere una cultura che accetti l’errore come elemento di apprendimento.
Le soft skills giocheranno un ruolo ancora più determinante nel futuro, anche in relazione all’evoluzione dell’intelligenza artificiale. L’elemento umano resterà sempre insostituibile. In quest’ottica, sta emergendo con forza il concetto di Fusion Skills: un insieme di competenze che unisce il meglio delle capacità umane con le potenzialità dell’AI. Si parla di dieci intelligenze chiave, che includono, tra le altre, l’intelligenza creativa, quella socio-emotiva, il pensiero critico, strategico e morale, e la capacità di ampliare la propria cognizione attraverso l’uso della tecnologia.
Nel nostro modello, crediamo così tanto nel valore delle soft skills che le abbiamo integrate nel sistema di performance management. Oltre al raggiungimento degli obiettivi, che naturalmente rimane un elemento centrale, attribuiamo pari importanza ai comportamenti messi in atto per conseguirli. Abbiamo individuato otto comportamenti chiave, e la loro mancanza comporta una valutazione non sufficiente, con ricadute anche in termini di riconoscimento economico. Per noi, il “come” si raggiunge un obiettivo è importante tanto quanto il risultato stesso.
La GenZ sta mostrando un approccio nuovo rispetto al lavoro. È una tendenza che riscontrate anche in Coesia? Quali strumenti possono essere implementati per favorire l’incontro tra i bisogni aziendali e quelli dei giovani?
L’intergenerazionalità rappresenta oggi un vero vantaggio competitivo per le imprese, nella misura in cui si riesce a valorizzare la distintività e unicità che ogni generazione porta con sé. La Generazione Z, in particolare, si distingue per l’elevato livello di competenze digitali e per una visione del lavoro decisamente nuova, incentrata su un diverso equilibrio tra vita professionale e privata, e su una forte attenzione a tematiche di sostenibilità sociale e ambientale.
L’integrazione di questo nuovo approccio garantisce all’organizzazione una maggiore capacità di adattamento al cambiamento e una predisposizione naturale all’innovazione, elementi che si riflettono positivamente sulle performance aziendali.
Le differenze generazionali più marcate emergono soprattutto nelle aspettative nei confronti del lavoro e dell’azienda. La Gen Z mostra una forte attenzione al purpose, che spesso prevale rispetto all’ambizione di una carriera lineare. Il lavoro non è più soltanto uno strumento di emancipazione sociale, ma un mezzo per sentirsi parte di qualcosa di più grande, con un impatto reale e positivo sulla società.
La flessibilità e il work-life balance sono aspetti essenziali per i giovani, ma possono generare un certo disallineamento con le generazioni precedenti, in particolare con i manager più senior, che talvolta faticano a riconoscere il lavoro al di fuori della presenza fisica in ufficio. Per questo, in Gewiss abbiamo introdotto percorsi formativi dedicati ai manager e creato momenti strutturati di confronto tra generazioni, con l’obiettivo di favorire una maggiore comprensione reciproca, valorizzare le differenze e prevenire eventuali criticità legate alla diversità generazionale.
Per rispondere in modo efficace ai bisogni di questa nuova generazione, è necessario andare oltre il riconoscimento economico tradizionale. Servono strumenti concreti come: l’affiancamento con colleghi esperti, per facilitare l’integrazione e la trasmissione delle competenze; percorsi di formazione continua e sviluppo; un welfare aziendale personalizzato, che rispecchi le esigenze delle nuove generazioni; la promozione di valori coerenti con le loro aspettative, attraverso iniziative di responsabilità sociale e ambientale e, non da ultimo, un ambiente di lavoro inclusivo e partecipativo, che incoraggi la collaborazione tra generazioni e coinvolga attivamente i giovani nei processi decisionali aziendali.
Solo così sarà possibile valorizzare pienamente il contributo della Gen Z, trasformando la diversità generazionale in un’opportunità di crescita per l’intera organizzazione.
È noto che esista un mismatch tra curricula e competenze professionali: quali modalità potrebbero essere ulteriormente sperimentate per favorire la collaborazione tra sistemi formativi e imprese nel colmare questo gap?
Si sente spesso dire che la scuola non prepara adeguatamente alla vita in azienda. Personalmente, ritengo che questo tipo di affermazione sia fuorviante. Il compito dell’istruzione è fornire una forma mentis solida, abituare alla riflessione, stimolare la curiosità, e insegnare come apprendere.
Questo è ancora più vero oggi, in un contesto in cui le competenze evolvono molto rapidamente. Quello che davvero conta non è ciò che si sa oggi, ma la capacità di imparare velocemente ciò che servirà domani. La curiosità e la rapidità di apprendimento diventano quindi più importanti della mera conoscenza nozionistica.
Aggiungerei un altro aspetto fondamentale: la gestione del tempo. In azienda, il tempo è una variabile cruciale. Fare bene entro le scadenze è più rilevante della perfezione assoluta. In quest’ottica, ritengo molto positiva la contaminazione tra i due mondi: la scuola può fornire una preparazione di base, ma è l’azienda a dover formare la competenza tecnica più operativa.
Tutto questo non significa che scuola e impresa debbano restare distanti. Al contrario, è importante creare momenti di vicinanza strutturata, come i PCTO o i tirocini, che però dovrebbero essere pensati più per incidere sul mindset degli studenti, che non per insegnare una competenza tecnica specifica. Attività come i lavori su progetti di gruppo, che favoriscono il lavoro in team, l’orientamento al risultato e la comunicazione efficace, sono oggi estremamente preziose, proprio perché allenano le soft skills, sempre più centrali nel mondo del lavoro.
In questa direzione, Gewiss ha costruito negli anni solide relazioni con gli istituti del territorio, contribuendo a colmare il gap tra scuola e impresa. Lo abbiamo fatto in vari modi: fornendo materiale didattico, sostenendo iniziative per l’avvicinamento tra studenti e realtà aziendali, partecipando con docenze e testimonianze dirette, accogliendo visite aziendali o attivando percorsi di alternanza scuola-lavoro. Queste attività aiutano concretamente gli studenti a entrare in contatto con le realtà produttive locali, comprendere le competenze richieste e immaginarsi all’interno di esse.
Collaboriamo anche con numerose università del territorio, supportando progetti di project work, offrendo testimonianze in aula e organizzando visite aziendali. Un esempio recente: il 30 maggio 2025 abbiamo ospitato, in collaborazione con l’Università degli Studi di Bergamo, una delegazione internazionale composta da 90 studenti e docenti provenienti da Indiana University (USA) e Augsburg University (Germania), nell’ambito della UniBG Summer School. Questo programma ha l’obiettivo di arricchire l’esperienza accademica degli studenti con progetti internazionali e occasioni di confronto con il tessuto imprenditoriale locale, offrendo un’esperienza di apprendimento concreta e stimolante.
Infine, i rapporti con il sistema scolastico sono per noi anche uno strumento di talent attraction. Oggi, più che in passato, è la persona a scegliere l’azienda, non il contrario. Ecco perché le imprese devono fare uno sforzo in più per essere attrattive: creare relazioni, raccontarsi, offrire percorsi di crescita reali e coerenti con le aspettative dei giovani.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
Condividi su: