Produttività e formazione aumentata dall’intelligenza artificiale: alcune lezioni da un recente studio dell’IZA

Interventi ADAPT

| di Carlo Pace

Bollettino ADAPT 17 novembre 2025, n. 40

È noto come l’impiego dell’intelligenza artificiale stia progressivamente trasformando la fisionomia del lavoro, incidendo non solo sui compiti e sulle mansioni, ma anche sulle modalità con cui le persone apprendono e migliorano le proprie performance. L’attenzione della ricerca si è spesso concentrata sugli effetti diretti dell’IA sulla produttività individuale, in particolare per i lavoratori che utilizzano strumenti generativi o di automazione nel proprio lavoro quotidiano. Tuttavia, è possibile indagare anche gli effetti indiretti e organizzativi dell’IA, legati alla sua capacità di potenziare processi gestionali, decisionali e soprattutto formativi.

È in questa prospettiva che si colloca un recente paper dell’Istituto di Economia del Lavoro di Bonn (IZA), dal titolo evocativo “How AI-Augmented Training Improves Worker Productivity”, pubblicato ad ottobre 2025. Lo studio analizza un esperimento condotto in una grande azienda europea di servizi finanziari, che ha introdotto un sistema di AI-augmented training per i propri operatori di call center. Il cuore dell’intervento non consiste nell’automatizzare le chiamate o sostituire il lavoro umano, bensì nel migliorare la formazione dei lavoratori attraverso analisi personalizzate delle loro performance.

In questo caso, l’intelligenza artificiale viene impiegata per elaborare in tempo reale grandi quantità di dati sulle conversazioni tra agenti e clienti, su parametri come i tempi di gestione, le pause, le esitazioni, gli stili comunicativi, al fine di e fornire ai formatori report mirati per ogni singolo lavoratore. L’obiettivo è quello di capire se una tecnologia di supporto, applicata alla formazione piuttosto che alla produzione, potesse rendere il lavoro umano più efficiente, consapevole e capace di apprendere più velocemente.

L’intelligenza artificiale non agisce soltanto come fattore di sostituzione del lavoro, ma può diventare un amplificatore delle capacità umane nei processi di apprendimento. Da questa prospettiva, gli autori formulano una duplice ipotesi.

La prima riguarda la curva di apprendimento dei lavoratori con minore anzianità. Nei call center, come in molti contesti di servizi digitalizzati, i neoassunti devono acquisire rapidamente competenze comunicative, tecniche e relazionali in un ambiente ad alta pressione e con margini ridotti di errore. L’introduzione di un sistema di AI-augmented training può accelerare questa curva di apprendimento fornendo feedback più precisi e tempestivi, capaci di ridurre l’incertezza e di orientare il miglioramento continuo. In altri termini, la tecnologia non sostituisce il formatore, ma ne potenzia la capacità diagnostica, consentendo di personalizzare la formazione in base ai bisogni effettivi di ciascun lavoratore.

La seconda ipotesi riguarda invece i lavoratori con maggiore anzianità, per i quali l’IA non opera tanto sul piano tecnico quanto su quello comunicativo e relazionale. Grazie ai dati raccolti automaticamente, i formatori possono evidenziare aspetti qualitativi del comportamento lavorativo, come l’uso di parole di esitazione, i tempi di silenzio, o la gestione delle pause, che incidono sulla percezione del servizio da parte del cliente. In questo modo, la tecnologia diventa uno strumento per affinare lo stile comunicativo e consolidare le competenze esperte, trasformando l’esperienza pregressa in un vantaggio competitivo misurabile.

Gli autori dunque ipotizzano che l’IA possa generare effetti di produttività differenziati lungo il ciclo di vita lavorativo: più rapidi e quantitativi per i nuovi assunti, più qualitativi e strutturali per i lavoratori esperti. In entrambi i casi, l’obiettivo è valorizzare la componente umana del lavoro, rendendo l’apprendimento un processo continuo e supportato da evidenze oggettive, anziché affidato unicamente all’intuizione o alla pratica quotidiana.

Il disegno di ricerca si basa su un esperimento condotto in un call center che gestisce oltre un milione di clienti e più di 500 milioni di euro in portafoglio. La sperimentazione si è sviluppata in modo graduale su cinque team di lavoro dislocati in sedi geograficamente distinte, ciascuno seguito da un formatore dedicato.

Due di questi team hanno introdotto la formazione potenziata dall’IA nel maggio 2023, mentre gli altri tre hanno continuato temporaneamente con la modalità tradizionale, basata sull’analisi manuale di un numero limitato di chiamate per ciascun agente. Questa introduzione scaglionata ha consentito agli autori di isolare in modo credibile gli effetti dell’intervento, confrontando i risultati dei gruppi trattati con quelli del gruppo di controllo. L’approccio utilizzato si ispira al modello difference-in-differences con stima dinamica di Callaway e Sant’Anna, capace di cogliere l’evoluzione degli effetti nel tempo e di tenere conto delle differenze tra lavoratori.

Il dataset comprende oltre 180.000 chiamate realizzate da circa 150 operatori nell’arco di un anno. Per ogni chiamata sono stati registrati indicatori quantitativi (tempo totale, tempo di parlato, tempo di attesa, frequenza di chiamate) e qualitativi (uso di parole di esitazione, diminutivi, filler words, argomento della chiamata e valutazione di soddisfazione del cliente). I formatori hanno ricevuto, per ciascun agente, report generati automaticamente dal sistema di IA, che sintetizzano in forma visiva e comparativa i punti di forza e di miglioramento.

La struttura delle sessioni formative è rimasta invariata, incontri individuali di 30-60 minuti ogni due settimane, ma la qualità delle informazioni a disposizione è cambiata radicalmente. Mentre prima i formatori analizzavano manualmente tre chiamate per ogni agente, con l’IA potevano contare su dati sistematici e aggregati su tutte le interazioni, individuando tendenze ricorrenti e casi anomali. Questo ha reso possibile un coaching basato su evidenze, più mirato e personalizzato.

I risultati confermano un impatto significativo sulla produttività: la durata media delle chiamate si riduce di circa il 10% (circa 60 secondi), con effetti più accentuati per i lavoratori con meno di quattro mesi di esperienza (-17%). L’analisi distributiva mostra che i miglioramenti si concentrano soprattutto nelle chiamate più lunghe, tipicamente quelle in cui l’agente metteva il cliente in attesa per chiedere supporto a un collega o consultare i sistemi informativi. Parallelamente, si osservano progressi nel tempo di parlato effettivo e nella qualità comunicativa, con una riduzione di parole di riempimento e toni esitanti, in particolare tra gli operatori più esperti. A questi risultati si associa un incremento, seppur moderato, della soddisfazione dei clienti, a conferma che l’efficienza non compromette la qualità percepita del servizio. La metodologia adottata consente di attribuire con buona affidabilità i miglioramenti osservati all’intervento formativo potenziato dall’IA, evitando le distorsioni legate a variabili non osservate o differenze preesistenti tra gruppi.

Il lavoro in oggetto contribuisce in modo significativo a quel filone di ricerca che studia come la tecnologia possa potenziare, anziché sostituire, il lavoro umano. L’introduzione di strumenti di AI-augmented training dimostra che l’intelligenza artificiale può agire come infrastruttura cognitiva capace di rendere la formazione più mirata, continua e personalizzata, incidendo sulla produttività senza snaturare la componente relazionale del lavoro.

Nel settore dei servizi, dove l’elevato turnover e la pressione operativa rendono difficile costruire percorsi di crescita stabili, l’IA si rivela una leva per ridurre le asimmetrie di apprendimento e velocizzare l’inserimento dei nuovi assunti, mentre aiuta i lavoratori esperti a migliorare la qualità della comunicazione con i clienti. Il doppio effetto di efficienza e maturazione professionale suggerisce dunque che l’innovazione tecnologica può rafforzare la dimensione formativa del lavoro invece di disgregarla. 

Più in generale, lo studio apre una riflessione sul ruolo dell’IA come strumento di governance delle competenze. Se applicata in modo etico e consapevole, l’analisi automatica delle performance può diventare un supporto prezioso per i formatori, i responsabili HR e i sistemi di sviluppo dell’apprendimento, favorendo decisioni basate su dati concreti piuttosto che su percezioni soggettive.

In un’ottica prospettica, queste evidenze sollecitano anche i sistemi di formazione professionale e continua a interrogarsi su come integrare l’IA nei propri modelli didattici, non per sostituire la relazione educativa, ma al fine di estendere la capacità di osservazione, valutazione e personalizzazione. L’esperimento descritto da Fouarge e colleghi suggerisce infatti una possibile evoluzione: da una formazione episodica e standardizzata, a una formazione adattiva, dove la tecnologia diventa parte integrante del processo di apprendimento e della costruzione di competenze.

Carlo Pace

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@CarloPace