Politiche di conciliazione e (dis)eguaglianza di genere prima e dopo il Covid-19: alcune evidenze dal report UE

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Bollettino ADAPT 13 febbraio 2023, n. 6
 
Lo scorso 11 gennaio 2023 il Dipartimento di Employment, Social Affairs & Inclusion della Commissione Europea ha pubblicato il report Gender Equality and Work-Life Balance policies during and after the COVID-19 crisis che fornisce una panoramica  delle politiche di work-life balance adottate dagli Stati UE prima e durante la pandemia da Covid-19.
 
Nel report le politiche di work-life balance vengono inquadrate come uno strumento chiave per ridurre il divario di genere (anche) nel mercato del lavoro, il quale è generato da una diseguale divisione delle responsabilità di cura nelle famiglie, alimentando di fatto un ormai noto circolo vizioso.
 
Da questo punto di vista, viene evidenziato che la chiave per rendere più efficaci ed efficienti le politiche di work-life balance è la creazione di una maggiore sinergia tra politiche del lavoro e le politiche sociali.   Invero, le misure che favoriscono un maggiore equilibrio tra la sfera professionale e quella familiare rappresentano ancora oggi degli strumenti chiave necessari per supportare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro salariato, favorire il mantenimento e/o un aumento dell’occupazione femminile, nonché una riduzione della diseguaglianza di genere.
 
Ma parlare di diseguaglianza di genere significa innanzitutto porre attenzione alla diseguale divisione del lavoro di cura (non retribuito) nelle famiglie a svantaggio delle donne.

 
Guardando ai dati europei, l’anno prima della pandemia erano circa 7,7 milioni le lavoratrici fuori dal mercato del lavoro salariato a causa delle responsabilità di cura, diciassette volte il numero dei lavoratori (450.000) e proprio tale fattore, nel 2020, rappresentava la ragione principale dell’occupazione part time per il 25,7% delle donne e solo del 5,5% degli uomini. Sul punto, i dati dimostrano che solo in un terzo delle famiglie dell’UE è presente un’equa divisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e che tale diseguaglianza non solo riduce l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro ma incide altresì sulla segregazione occupazionale femminile, caratterizzata da tipologie di lavoro estremamente flessibili. bassi salari e poche opportunità di sviluppo della carriera professionale.
 
Per questi motivi, al fine di avere un quadro complessivo sul tema a livello europeo, il report ricostruisce i cambiamenti intervenuti durante la pandemia relativamente a quelle che rappresentano le principali linee di intervento delle politiche di conciliazione ad elevato impatto sulle diseguaglianze di genere. Tra queste rientrano i servizi per l’infanzia e per la non autosufficienza, i congedi riconosciuti ai genitori e ai caregivers e la flessibilità oraria e organizzativa riconosciuta nell’ambito dei rapporti di lavoro.
 
Tra gli strumenti di tutela della genitorialità, la presenza e l’accesso a servizi per l’infanzia di qualità appare cruciale per promuove l’occupazione delle lavoratrici, soprattutto nei primi tre anni di vita del bambino. Nel 2019 a livello europeo si registrava un tasso di utilizzo dei servizi per l’infanzia per i bambini con età inferiore ai tre anni relativamente basso (35%), visto il predominante ruolo di cura svolto dalle famiglie e, più specificatamente, dalle donne. Sono però proprio queste ultime ad essere più esposte al rischio di abbandono del mercato del lavoro quando tali servizi sono scarsi oppure molto costosi data la persistenza del gender pay gap. Durante la pandemia, i servizi per l’infanzia hanno subito notevoli restrizioni fino ad arrivare, in alcuni casi, all’interruzione del servizio. Per sostenere le lavoratrici e i lavoratori, i governi hanno adottato diversi strumenti e strategie: alcuni, ad esempio, hanno fornito supporto economico per sostenerne i costi; altri, invece, hanno cercato di garantire l’accesso a tali servizi, durante o subito dopo i lockdowns o, ancora, stanziato ulteriori risorse.
 
Come sottolineato da diversi studi nonché nei piani nazionali di ripresa e resilienza adottati dagli Stati membri, l’evento pandemico ha colpito in particolar modo le persone più vulnerabili, come dimostrato dalle notevoli restrizioni alle forme di assistenza residenziale e domiciliare. Anche in questo caso, le donne – che sono le principali fornitrici di assistenza informale agli anziani e ai familiari in difficoltà – sono state gravemente colpite dalle responsabilità di cura aggiuntive soprattutto negli Stati membri in cui l’assistenza residenziale è meno sviluppata e in cui sono state introdotte restrizioni sostanziali durante la pandemia. In questo ambito, le risposte nazionali hanno spaziato dalla concessione di maggiori congedi ai caregivers, all’offerta di un indennizzo finanziario ai familiari che necessitano di assistenza a lungo termine fino all’allentamento delle restrizioni alla mobilità.
 
Ciò ha condotto anche a riflettere sull’aumento della domanda di servizi di assistenza e di cura determinato dell’andamento demografico, e, di conseguenza, sulle politiche di long term care (LTC).  Una delle maggiori criticità in questa area è data proprio dalle caratteristiche del mercato del lavoro di cura salariato. A livello europeo, la quota di forza lavoro impiegata nel mercato del lavoro di cura registra valori molto elevati in Francia (18,3%) e molto bassi in Repubblica Ceca e Portogallo (3,6%). In ogni caso, si tratta di un gruppo occupazionale estremamente vulnerabile, caratterizzato da livelli retributivi bassi, tipologie di lavoro flessibili (ove esistenti), con profili professionali scarsamente qualificati e una forte dimensione di genere, dato che il 90% degli occupati nel settore sono donne così come la gran parte dei caregivers (media europea pari al 59%).
 
A supporto dei caregivers ma anche dei genitori, nella gran parte degli Stati membri, un ruolo fondamentale è stato svolto dai congedi. Dal punto di vista normativo, alcuni Stati hanno introdotto delle modifiche rispetto alla legislazione in materia, in alcuni casi per rimodulare la copertura economica riconosciuta in caso di fruizione, in altri estendendo il periodo del congedo durante la fase emergenziale. Ad esempio, a sostegno dei genitori con figli in età scolare, 22 Stati membri hanno introdotto “Congedi Covid-19” ampliando nei fatti i criteri di eleggibilità oppure introducendo strumenti di flessibilità nel loro utilizzo. In questo caso le prime evidenze hanno mostrato che le principali richieste di attivazione congedi extra riconosciuti ad hoc sono pervenute dalle lavoratrici, rimarcando ulteriormente il disequilibrio nelle famiglie relativo ai compiti di cura.
 
Infine, una area in cui sono state registrate notevoli differenze di regolazione a livello europeo è quella riguardante i flexible working arrangements”, la cui accessibilità gioca un ruolo fondamentale nel garantire continuità occupazionale a coloro con responsabilità di cura. In questo caso, il report prende in considerazione tutte quelle condizioni che consentono una maggiore flessibilità oraria e organizzativa, anche temporale e geografica. Dalla ricognizione effettuata, emerge che prima del 2020 il livello di utilizzo e diffusione delle forme di flessibilità era fortemente connesso alle previsioni legislative.  Durante la fase più acuta della pandemia, invece, la flessibilità è stata in molti settori fondamentale per garantire la prosecuzione delle attività produttive e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori. In molti Stati infatti è stato registrato un ricorso inedito al telelavoro e allo ‘smart work’, quale forma di flessibilità oraria ed organizzativa. Sul punto, è stato osservato, da una parte, un intervento degli Stati volto ad apportare delle modifiche alle normative in materia e, dall’altra, una forte attivazione delle imprese, anche grazie al ruolo giocato della contrattazione collettiva.
 
Come già rilevato per le altre misure di conciliazione, le evidenze mostrano che le lavoratrici hanno fruito di specifiche forme di flessibilità organizzativa/oraria in misura maggiore rispetto ai lavoratori. Se poi si guarda nel concreto ad alcune modalità specifiche di flessibilità oraria, si nota come, nella fase emergenziale, la sperimentazione su larga scala delle stesse abbia fatto emergere alcune criticità rispetto alla loro funzione conciliativa. Proprio tale criticità ha avuto un certo rilievo in relazione alle discipline del telelavoro, fino a diventare oggetto di confronto anche con le parti sociali. In alcuni casi – come quello italiano – la contrattazione collettiva ha avuto un ruolo cruciale non solo nel regolamentare le modalità della prestazione lavorativa ma anche nel garantire l’utilizzo dello strumento in ottica di work-life balance sulla base delle necessità dei richiedenti.  Infatti, gran parte degli accordi sottoscritti in materia ha posto particolare attenzione alle necessità dei caregivers, dei lavoratori e delle lavoratrici con disabilità o al termine della fruizione dei congedi o, ancora, dei lavoratori e delle lavoratrici single.
 
In definitiva, il quadro complessivo che emerge dal report mostra come, con la crisi da Covid-19, vi sia stato un generale deterioramento del work-life balance dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto ai livelli registrati nel 2015. Si stima infatti che le lavoratrici abbiano avuto tre volte tanto le difficoltà riscontrate dai lavoratori costretti in telelavoro dalle restrizioni e, nonostante il tasso di occupazione maschile abbia risentito maggiormente della crisi economica, sono le ore di lavoro associate alla componente femminile della popolazione occupata ad essere diminuite maggiormente.
 
In altri termini, durante la crisi da Covid-19 la diseguaglianza di genere nel mercato del lavoro ha registrato un peggioramento e, dato che le lavoratrici fruiscono più dei lavoratori di alcune misure di conciliazione vita-lavoro, come i congedi e il telelavoro, gli Stati dovrebbero ridefinire alcune politiche di conciliazione tenendo conto del loro impatto sulla dimensione di genere. Si tratta di un nodo cruciale visti gli impatti negativi non solo sul benessere delle donne, ma anche sulle loro prospettive occupazionali e previdenziali e, quindi, sulla crescita socioeconomica.
 
Chiara Altilio

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@chialtilio

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