Politically (in)correct – Studiare stressa, lavorare stanca

Bollettino ADAPT 3 aprile 2023, n. 13

 

È ormai giudizio comune che una delle principali criticità – anche in prospettiva – del mercato del lavoro si gioca sul versante dell’offerta, la cui inadeguatezza sul versante delle competenze costituisce: una condizione non recuperabile in breve tempo e pertanto uno dei più seri handicap per la crescita. Il mismatch tra domanda ed offerta, è arrivato ad interessare più di un posto di lavoro su cinque; il che non è legato soltanto ad un problema quantitativo ma soprattutto qualitativo, relativo cioè alla differenza tra le nuove competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori. Le cause della difficoltà di reperimento sono da imputare principalmente alla mancanza di adeguata preparazione dei candidati (48%), oltreché ad una loro carenza numerica (42%). Una recente stima ha calcolato che, nel 2022, il sistema delle imprese ha perduto più di 37 miliardi in termini di Pil, in conseguenza delle difficoltà a reperire le professionalità necessarie.

 

Il mismatch condiziona anche gli investimenti, perché le imprese non acquistano nuova tecnologia se non riescono ad assumere personale in grado di gestirne il processo produttivo. La domanda di lavoro si polarizza con forte aumento della domanda di professionalità scientifiche e tecniche, calo della domanda di professioni intermedie (impiegati, operai specializzati, conduttori di impianti) e incremento della domanda di professioni non qualificate. Il sistema di istruzione-formazione non è in grado di rispondere a questa domanda di lavoro. Il servizio di orientamento per gli studenti inefficiente, la comunicazione tra università, istituti superiori e sistema delle imprese è largamente insufficiente, anche se bisogna riconoscere che recentemente con i programmi di alternanza scuola-lavoro e la costituzione degli Istituti Tecnici Superiori si sono fatti passi in avanti non trascurabili.

 

La bassa quantità di laureati (25,3% delle persone tra 30 e 35 anni, contro il 38,7% della media europea) contribuisce a penalizzare l’occupazione dei giovani. “Occorre favorire l’integrazione fra le politiche educative e quelle del lavoro; inoltre – ha scritto Stefano Sacchi – per far fronte ai problemi connessi al prolungamento della vita lavorativa, è necessario rafforzare la cultura dell’apprendimento nel luogo di lavoro e agevolare il trasferimento delle conoscenze e delle competenze in un’ottica intergenerazionale”. Il fatto è che un tale contesto di sviluppo professionale e culturale occorrerebbe garantirlo alle giovani generazioni fornendo loro gli strumenti necessari, nella scuola e sul mercato del lavoro, perché possano coltivare i talenti di cui dispongono. Come reagisce il mondo della scuola di fronte ai cambiamenti che sarebbero necessari? Il “sessantottismo” dei nostri giorni non pretende di cambiare il mondo, anche se ogni generazione prima o poi deve provare l’ebbrezza di una occupazione. La generazione dei nonni ebbe come riferimento Cohn-Bendit, gli studenti di oggi si devono accontentare di Emma Ruzzon, presidente del Consiglio degli Studenti dell’Università di Padova, divenuta la vestale dei giovani ossessionati e vittime della competizione (un nuovo filone di pensiero un po’ più raffinato del “18 politico”).

 

Nelle settimane scorse Ruzzon ha vissuto momenti di popolarità televisiva, intervenendo a nome degli studenti all’inaugurazione dell’anno accademico. Nel suo discorso la studentessa ha sostenuto che la pandemia ha parecchio logorato la psiche dei giovani. Così Ruzzon, davanti al ministro Anna Maria Bernini, ha evocato una nuova strage degli innocenti (gli studenti, appunto) che sarebbero vittime, fino al suicidio, delle logiche competitive: “Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei – affermato la giovane presidente e vogliamo che tutte le forze politiche presenti si mettano a disposizione per capire, insieme a noi, come attivarsi per rispondere a questa emergenza, ma serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema meritocentrico e competitivo”. Tutto ciò dopo aver deposto sul leggio la corona di alloro. “La corona d’alloro – ha spiegato – non deve significare l’eccellenza, la competizione sfrenata. Deve essere simbolo del completamento di un percorso che è personale, di liberazione attraverso il sapere. Abbiamo scelto di mostrarla (la corona, ndr) qui con un fiocco verde, quello del benessere psicologico, per tutte quelle persone che non potranno indossarla, per tutte le persone che sono state o stanno male all’idea di raggiungere questa corona. Stare male non deve essere normale”.

 

Come sempre accade in questi casi, siffatte riflessioni hanno aperto a Ruzzon le porte del congresso della Cgil (studenti operai uniti nella lotta). La linea del “no allo stress da competizione” ha fatto scuola. A Bologna, nei giorni scorsi gli studenti hanno occupato diversi plessi scolastici (in taluni casi stanno già smobilitando). La Cgil poteva restare a guardare? No. il Comitato direttivo della Camera del Lavoro ha ritenuto di esprimere “sostegno e vicinanza alle istanze delle studentesse e degli studenti”, nella convinzione  che i temi della protesta siano questioni su cui tutti dovrebbero sentirsi coinvolti, perchè prioritarie per questo Paese, quali: il lavoro, la crisi climatica fino – attenzione che qui viene il bello! – alla messa in discussione di una scuola sempre più piegata alle logiche di mercato e classista, in netta contraddizione con la Costituzione che vorrebbe una scuola laica, pubblica e garante per tutte e tutti delle stesse opportunità di crescita e di istruzione a prescindere dalla condizione sociale di partenza. Poi l’analisi si fa più puntuale. “Gli anni bui della pandemia hanno messo a dura prova l’intero sistema scolastico, lasciando strascichi psicologici pesanti sia tra gli studenti che tra i lavoratori.

 

In questo contesto è sacrosanta la richiesta da parte degli studenti di una scuola che torni a rimetterli al centro di un percorso di studi che deve formare cittadine e cittadini del domani e “non mera forza lavoro per il sistema produttivo del Paese”, di una scuola che non si chiuda in logiche competitive, “meritevoli” e al servizio del mercato. Una scuola su cui lo Stato deve investire anziché destinare – poteva mancare una mano di vernice pacifista? – quei soldi in armamenti e spese militari. Le studentesse e gli studenti con queste occupazioni – conclude la risoluzione – vogliono mettere in discussione un’idea di società dominata dalla produzione e un sistema di alternanza scuola-lavoro che li inserisce impropriamente e prematuramente nel sistema produttivo, dove qualcuna/o ha perso la vita prima del compimento del diciottesimo anno di età, come Giuliano, Lorenzo, Giuseppe e altri che hanno pagato con la loro giovane vita un sistema sbagliato che va ripensato interamente. Così la Cgil di Bologna ha espresso il suo sostegno alle proteste studentesche e la disponibilità a costruire con loro una scuola migliore. Che sia indispensabile costruire una “scuola migliore” è senz’altro condivisibile; che la scuola debba formare, in primo luogo, dei cittadini è sacrosanto.

 

Ma come la mettiamo con il lavoro? Non deve servire al sistema produttivo e al mercato. Non sapevamo che, per il più importante sindacato del Paese, la scuola del futuro dovesse preparare più filosofi che ingegneri. Chi scrive ha sostenuto l’esame di maturità nel luglio del 1960, negli stessi giorni in cui – a proposito di stress – il Paese era sottosopra perché la polizia del governo Tambroni aveva sparato sui manifestanti a Reggio Emilia (e in altre città). L’esame consisteva nelle seguenti prove scritte: tema di italiano; versione dal latino all’italiano e dall’italiano al latino; versione dal greco; compito di matematica. Per quanto riguarda gli orali, si portava il programma dei tre anni di liceo per tutte le materie. Adesso sono ritenute insostenibili due prove scritte.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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