Politically (in)correct – Mr. Draghi is back

Bollettino ADAPT 13 giugno 2023, n. 22

 

L’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha tenuto nei giorni scorsi un discorso (che in poche ore ha compiuto il giro del mondo) al MIT di Boston, dove ha ricevuto il premio Miriam Pozen. In quell’occasione ha svolto delle considerazioni importanti sui principali problemi dell’attuale fase politica ed economica. Di grande spessore (non è possibile non sottolinearlo anche se il tema non si riferisce al lavoro) le considerazioni sull’aggressione russa dell’Ucraina e sulla guerra in corso. “I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica. Sono i valori emersi – ha aggiunto Draghi – dopo il massacro della Seconda guerra mondiale. Ed è per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i suoi alleati che garantire che l’Ucraina vinca questa guerra’’.

 

Nessun equivoco riguardante l’intervento della diplomazia, l’iniziativa del Vaticano (che è sembrata, per i tempi e i modi, una mossa rivolta a fermare la controffensiva ucraina), il cessate il fuoco o quant’altro ci propina un pacifismo “peloso”; ma un’affermazione netta: la vittoria della Ucraina. Torna in mente il primo discorso di Winston Churchill, nel ruolo di premier, ai Comuni nel 1940: quello famoso in cui prometteva agli inglesi sangue, lacrime, sudore e fatica e concludeva affermando che il suo governo avrebbe avuto un solo obiettivo: combattere e vincere la guerra. Ma Draghi non si è soffermato solo su questo tema (che pure è oggi il più cruciale di tutti). Da ex presidente della BCE non poteva esimersi dal manifestare il suo pensiero sull’altra potenziale criticità che può mettere in difficoltà l’economia: l’inflazione. Ed ha fornito una risposta ad uno degli interrogativi che in tanti si pongono. La crisi energetica ha incrementato i costi delle imprese e di conseguenza i prezzi; per quale motivo, però, dopo la discesa (si è usata persino la parola “crollo”) del prezzo del gas, (e le politiche monetarie dell’Eurotower di Francoforte) l’inflazione è calata, ma non ancora in misura adeguata?

 

L’ex presidente fornisce una spiegazione, (che non dovrebbe essere dispiaciuta ai sindacati, ammesso e non concesso che i loro leader l’abbiano letta): “Finora le aziende hanno reagito cambiando i loro listini: invece di assorbire i costi più elevati riducendo i margini di guadagno, come avevano fatto per la loro maggior parte nel decennio precedente, hanno trasferito questi costi sui consumatori – mantenendo o addirittura aumentando i loro profitti”. Ciò, mentre: “I lavoratori, d’altra parte, non sono stati in grado di evitare una perdita di reddito reale. I salari reali alla fine dell’anno scorso erano ancora circa il 4% al di sotto dei livelli pre-pandemici. E, dato il carattere inerziale della maggior parte delle trattative salariali in Europa, questo processo durerebbe nel tempo fino a quando le perdite salariali reali non saranno state recuperate’’. Proseguendo, Draghi si è riferito al rischio della spirale inflazione/salari, ma con minori preoccupazioni di quelle manifestate, per esempio, da Ignazio Visco nelle Considerazioni finali del 31 maggio. ‘’Un periodo più lungo di aumento dei salari comporta naturalmente rischi maggiori. Si rischia che l’inflazione diventi persistente, soprattutto se le imprese continuano ad aumentare i loro listini, come abbiamo osservato finora’’. Quindi – cosi si conclude il ragionamento di Draghi – per eliminare questi rischi, la domanda deve essere contenuta abbastanza per indurre le imprese a mantenere più bassi i listini ed impedire loro di trasferire sui consumatori i futuri aumenti salariali. D’altra parte, man mano che la domanda diminuisce, le imprese potrebbero assorbire alcuni degli aumenti salariali impliciti nei contratti di lavoro per i prossimi 1-2 anni’’.

 

Tempo fa, sempre parlando in occasioni nelle quali si sentiva libero di esprimere fino in fondo il proprio pensiero, Draghi colse tutti di sorpresa sdoganando il debito “buono”. Nel discorso del MIT, sembrerebbe aver espresso una nuova dottrina: c’è una inflazione “cattiva” ed una “buona”. “Le sfide che affrontiamo – dalla crisi climatica alla necessità di rafforzare le nostre catene di approvvigionamento più sensibili alla difesa, soprattutto nell’Ue – richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono essere finanziati solo tramite aumenti fiscali. Questi livelli più elevati di spesa pubblica – secondo Draghi – metteranno ulteriore pressione sull’inflazione, oltre ad altri possibili shock dell’offerta da energia e da altri beni’’. E, se alcune delle lezioni degli ultimi trent’anni sono state comprese, molto più attenzione dovrà essere posta sulla composizione della politica fiscale. Ciò dovrebbe essere progettato per aumentare la crescita potenziale, proteggendo e includendo contemporaneamente coloro che hanno maggiormente bisogno di aiuto’’. Così l’ex premier ha voluto ricordare a futura memoria che: “anche il settore pubblico ha assunto un ruolo centrale nel sostenere l’economia durante il lockdown e nel dare il via alla ripresa quando si è verificata la riapertura. I bilanci governativi hanno protetto posti di lavoro, salari, aziende – una mossa che si è rivelata saggia nel limitare i danni dello shock pandemico’’.

 

In sostanza le restrizioni dei tassi di interesse portati avanti dalla BCE sono giuste ed inevitabili, ma – è sembrato avvertire Draghi – possono rivelarsi troppo ambiziose rispetto ad effettive esigenze che potrebbero determinarsi; e a suo avviso non sarebbe un guaio, pertanto, rientrare dall’inflazione in tempi più lunghi. Del resto, proprio in questi giorni, l’OCSE ha pubblicato dei dati sull’occupazione nei Paesi membri che sono confortanti. Il tasso di disoccupazione OCSE è rimasto al 4,8% nell’aprile 2023 per il terzo mese consecutivo. Il tasso di disoccupazione mensile è rimasto invariato nell’aprile 2023 in 10 paesi OCSE, è diminuito in 14 ed è aumentato in 9. Il tasso era pari o vicino al suo minimo storico in otto paesi, tra cui Canada, Francia, Germania e Stati Uniti. Il numero di disoccupati nell’OCSE è sceso a 33 milioni, vicino al minimo storico raggiunto nel luglio 2022. Nell’aprile 2023, il tasso di disoccupazione giovanile OCSE (lavoratori di età compresa tra 15 e 24 anni) è sceso per il secondo mese consecutivo al 10,2%, il valore più basso dal 2005. È diminuito in 17 paesi OCSE con le riduzioni maggiori osservate in Svezia, Norvegia, Repubblica Ceca, Portogallo e Italia. Il tasso di disoccupazione – sia per le donne che per gli uomini – è rimasto sostanzialmente stabile, rispettivamente al 5,0% e al 4,6%, così come il tasso per i lavoratori di età pari o superiore a 25 anni. Nell’area dell’euro, il tasso di disoccupazione è leggermente diminuito, raggiungendo un nuovo minimo storico del 6,5% nell’aprile 2023. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile o è diminuito in tutti i paesi dell’area dell’euro ad eccezione di Austria, Estonia, Finlandia e Grecia. Al di fuori dell’Europa, dati più recenti mostrano che il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è aumentato al 3,7% a maggio, dal 3,4% dell’aprile 2023.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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