Politically (in)correct – Gli incubi di Maurizio Landini

Bollettino ADAPT 9 ottobre 2023, n. 34

 

L’Italia è un Paese libero. Garanti di questa libertà sono certamente le organizzazioni sindacali, la cui azione è fondamentale, in condizioni di autonomia, non solo per tutelare i cittadini di una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma anche e soprattutto per pretendere che la Repubblica  adempia al compito (sancito dal secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione) di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

La Cgil è certamente la più importante confederazione sindacale e la più grande organizzazione democratica del Paese. E’ erede di una storia gloriosa di cui sono stati protagonisti dirigenti sindacali che hanno fornito un contributo fondamentale nell’emancipazione delle classi lavoratrici. Sabato scorso la Cgil ha promosso una grande manifestazione popolare a Roma – insieme ad altre associazioni della società civile – in difesa della Costituzione (che gode di ottima salute) e per promuovere quelle rivendicazioni ritenute necessarie non solo per superare le difficoltà dei lavoratori rappresentati, ma per indicare anche (scusate se è poco!) una “via maestra” per la comunità nazionale in un contesto diverso e migliore dell’attuale in Italia e nel mondo.

 

Per raggiungere questi obiettivi non occorre “ribellarsi”; è sufficiente esercitare un diritto che nessuno può e vuole disconoscere. La Cgil, però, non può pretendere di sottrarsi all’accusa di mendacio da parte di chiunque, in buona fede, faccia notare che la realtà non è quella raccontata nei comizi. E Landini non se la cava invitando i lavoratori a voltare le spalle a chi lede Sua Maestà. Il BelPaese ha tanti guai, cammina sul filo del rasoio, ha accumulato errori e ritardi esiziali che in breve potrebbero divenire insuperabili. Ma la società che emerge dalla narrazione di Landini non esiste; e non è una questione di opinione perché i dati si confutano con altri dati non con le sensazioni o la propaganda. Cominciamo dal problema cruciale – per un sindacato – del lavoro e dell’occupazione. Che senso ha ignorare i cambiamenti del mercato del lavoro, intervenuti negli ultimi anni, nonostante il riproporsi di quelle sette piaghe che piegarono l’ostinazione del Faraone nel negare il ritorno degli ebrei nella Terra promessa. Le principali criticità (il lavoro delle donne e dei giovani, gli squilibri territoriali) non sono superate.

 

È vero tuttavia che, nonostante tutti i limiti, possiamo annotare risultati che non hanno precedenti. Sempre che ci fidiamo delle istituzioni che svolgono il compito di passare in rassegna i trend dell’economia. Da ultima, la Nadef ha confermato la situazione in precedenza descritta dall’Inps, dall’Istat, dalla Banca d’Italia e da altri centri di analisi e documentazione. “Nella prima parte del 2023 – è scritto nel documento che aggiorna il Def – il mercato del lavoro è si è mostrato particolarmente resiliente, facendo registrare un notevole incremento dell’occupazione e una riduzione del tasso di disoccupazione – malgrado il rallentamento dell’attività. In base alla rilevazione sulle forze di lavoro, nei primi sei mesi dell’anno il numero di occupati è cresciuto in modo significativo e, nonostante l’indebolimento dell’attività nel secondo trimestre dell’anno, l’occupazione ha continuato ad espandersi (0,6 per cento t/t; 1,7 per cento a/a). Gli occupati hanno raggiunto così il massimo storico, superando la soglia dei 23,5 milioni e portando il tasso dell’occupazione al 61,3 per cento (+0,3 punti rispetto al primo trimestre). Si è rafforzata la crescita dell’occupazione dipendente, come risultato dell’aumento degli addetti a tempo indeterminato e della flessione di quelli a termine. In deciso incremento – prosegue la Nadef – la componente dei lavoratori autonomi, che si colloca – tuttavia – ancora sotto i valori pre-pandemici.

 

Differentemente dall’occupazione, che normalmente risponde con ritardo alle fluttuazioni cicliche, le ore lavorate hanno seguito l’andamento dell’attività economica con maggiore sincronia, crescendo dell’1,2% t/t nel primo trimestre per poi contrarsi dello 0,5% t/t nel secondo. Parallelamente, la riduzione delle persone in cerca di occupazione ha portato il tasso di disoccupazione del secondo trimestre al 7,6% (-0,3 punti percentuali rispetto ai tre mesi precedenti), il valore più basso nell’ultimo decennio. Rispetto allo stesso periodo del 2022, il numero di disoccupati si è ridotto di 101 mila unità. Il tasso di partecipazione (15-64), infine, si è portato su livelli massimi in chiusura del secondo trimestre, al 66,5% (dal 66,3% nel primo trimestre). Le dinamiche sottostanti i dati aggregati sul mercato del lavoro – segnala il documento – sono abbastanza complesse, legate al cambiamento della struttura demografica e al fenomeno, che ha avuto inizio in anni molto recenti, di contrazione della popolazione in età lavorativa.

 

È quest’ultimo un aspetto molto importante per il presente e per il futuro, perché il declino demografico riduce le platee sulle quali vengono definite la percentuale dei tassi e produrrà, nel giro di qualche decennio, effetti devastanti sui sistemi di welfare e sul mercato del lavoro. Problemi epocali che in Piazza San Giovanni non si sono neppure affacciati nei discorsi alla tribuna. Del resto, In un contesto di crescita occupazionale e di tasso di disoccupazione in discesa, ma pur sempre ancora consistente, continuano ad osservarsi a livello settoriale fenomeni di mismatch (che la Cgil attribuisce ai bassi salari senza muovere un dito per affrontarli). Nel secondo trimestre si è verificato, ad esempio, un aumento del tasso di posti vacanti (al 2,3%, dal 2,1% del primo trimestre), concentrato soprattutto nelle costruzioni e nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione.

 

Per quanto riguarda le tendenze dei salari, la coesistenza di un tasso di posti vacanti elevato e un tasso di disoccupazione eccezionalmente basso si è accompagnata ad una crescita comunque contenuta delle retribuzioni. Quelle di fatto per dipendente, dopo il marcato incremento del primo trimestre (1,1% t/t) dovuto alla corresponsione di somme una tantum nel comparto dei servizi, hanno rallentato nel secondo (0,3%). Le retribuzioni contrattuali per dipendente, invece, sono risultate lievemente più vivaci nel secondo trimestre (0,7% t/t). Su base annua, le retribuzioni contrattuali hanno accelerato nel secondo trimestre, al 2,7% (dal 2,2% nel primo trimestre del 2023), cogliendo l’effetto della stipula di nuovi contratti collettivi nazionali. Su questo aspetto si gioca l’esito del dibattito sul lavoro povero. Il Cnel, il 12 ottobre esprimerà con un voto il parere richiestogli dal governo. Lo farà – a quanto pare – sottolineando le indicazioni della direttiva europea: “Il buon funzionamento della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari è uno strumento importante attraverso il quale garantire che i lavoratori siano tutelati da salari minimi adeguati che garantiscano quindi un tenore di vita dignitoso (…). Una contrattazione collettiva solida e ben funzionante, unita a un’elevata copertura dei contratti collettivi settoriali o intersettoriali, rafforza l’adeguatezza e la copertura dei salari minimi’’. Il Cnel ha confermato che, purtroppo, più del 50% dei contratti sottoscritti dalle confederazioni storiche, inclusa la Cgil, sono scaduti. Per non parlare della sentenza “eversiva” (rispetto alla giurisprudenza consolidata) della Cassazione che ha assegnato al giudice l’ultima parola nella definizione della retribuzione proporzionala e sufficiente di cui all’articolo 36 Cost., a prescindere da ciò che prevedono i contratti e stabiliscono le leggi. Solo un sindacato disperato ed impotente può rinunciare, per un piatto di lenticchie, alla primogenitura di autorità salariale.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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