Non c’è transizione ecologica senza relazioni industriali e sindacali*

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 7 febbraio 2022, n. 5
 
C’è ancora un certo pudore a parlare degli impatti che la transizione ecologica potrà avere sul mercato del lavoro. Per questo la conferenza stampa congiunta e il documento presentato da Federmeccanica, Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil sulle politiche economiche e industriali per il settore automotive è un fatto inedito. Inedito sia per il contenuto che per la modalità. Sul contenuto siamo di fronte ad un tentativo di non affrontare in modo dialettico un tema che contrappone spesso approcci radicali da entrambi i lati, dimenticando la complessità di una transizione così pervasiva e impattante su moltissimi fronti di natura economica e sociale. Sul metodo quello di aver portato allo stesso tavolo, e non da due lati contrapposti, le principali parti sociali del settore metalmeccanico si configura come una novità per il sistema di relazioni industriali italiane, una novità che potrebbe diventare qualcosa di più di un episodio sporadico. Di certo incide nella decisione il fatto che il governo ad oggi sembra poco attivo sul fronte delle politiche industriali e delle politiche del lavoro rispetto ai rischi della transizione. E di certo incide il fatto che si tratta di un settore, quello dell’automotive, per il quale questi rischi sono particolarmente evidente, considerata la spinta ormai irreversibile verso l’elettrificazione.
 
Quella indicata può però essere una strada che va molto oltre al settore specifico e che va anche oltre all’impegno e alla richiesta, nello spirito dell’appello che Mario Draghi fece all’ultima assemblea nazionale di Confindustria a lavorare per “prospettive economiche condivise”, di politiche industriali dedicate. Le buone relazioni industriali possono essere la vera e propria chiave di volta per la gestione di una transizione produttiva ed economica che porterà a numerose ristrutturazioni aziendali, talvolta anche a possibili chiusure e a conseguente necessità di riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori. Sostenere una situazione del genere, che non potrà che comportare elevati e forse inediti livelli di conflitto sociale, non è nelle capacità e neanche nelle possibilità dei governi. Il ruolo delle parti sociali, sia a livello nazionale, ma soprattutto a livello di quei territori che saranno più colpiti e modificati nella struttura del loro tessuto produttivo, dovrà essere centrale per evitare che questa epocale opportunità si tramuti in una epocale disfatta, che trascinerebbe con sé anche il sostegno stesso di molti cittadini alla prospettiva di un nuovo modello di produzione più sostenibile.
 
Per questo il governo dovrebbe al più presto coinvolgere le parti sociali nella progettazione e nella discussione su come allocare le risorse del PNRR in materia green, vero volano della trasformazione. E dovrebbe individuare subito i territori nei quali le conseguenze potrebbero essere maggiori promuovendo patti territoriali con tutti gli attori interessati. Il che significa non solo imprese e lavoratori ma tutti coloro che possono concorrere, all’interno di un disegno delle politiche attive che oggi manca, ad anticipare le azioni necessarie a minimizzare gli impatti sociali: scuole, centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, centri di formazione a più livelli. Sarebbe anche una grande occasione per rivitalizzare le relazioni industriali italiane mostrando a tutti la loro grande necessità e l’attualità di questo metodo di fronte alle tante insidie che arrivano da diversi paradigmi di disintermediazione.
 

Francesco Seghezzi 
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione su transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz
 
*pubblicato anche su Domani il 4 febbraio 2022

Non c’è transizione ecologica senza relazioni industriali e sindacali*
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