Meno lavoratori e più anziani, la sfida demografica che pesa sull’economia

Interventi ADAPT

| di Jacopo Sala, Francesco Seghezzi

Bollettino ADAPT 14 luglio 2025, n. 27

L’emergenza demografica sarà la causa principale di cambiamenti nel mercato del lavoro italiano. L’ultimo a dirlo è l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) in un recente rapporto presentato in occasione dell’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, ma anche l’Ocse nel suo report annuale sull’occupazione dedica una parte centrale a questo tema. Secondo le stime Istat riportate nello studio, la fase di calo demografico iniziata nel 2014, e che ha già determinato un calo di circa 1,4 milioni di persone, proseguirà nei prossimi anni, portando la popolazione dagli attuali 59 milioni a 58,6 milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050. In questo contesto, i flussi migratori, stimati tra 150 e 200 mila unità annue, potrebbero fornire un contributo quantitativo utile a contenere il declino della popolazione italiana, ma non riusciranno comunque a compensare completamente la dinamica del saldo naturale (cioè la differenza tra nascite e decessi). Tutto ciò avrà effetti diretti sul mercato del lavoro: sul piano puramente quantitativo, se i tassi di occupazione delle diverse fasce d’età restassero invariati, si stima una riduzione di circa 700mila occupati entro il 2030, che salirebbe a 2,5 milioni nel 2040 e a 4,1 milioni nel 2050. Da un punto di vista più qualitativo, è invece importante interrogarsi su quale effetto può avere sul mercato del lavoro una popolazione che invecchia ad un ritmo sempre più accelerato.

I dati Istat richiamati nel rapporto mostrano che negli ultimi vent’anni l’incidenza degli occupati over 50 sul totale dell’occupazione è aumentata di oltre 16 punti percentuali, dal 20,8 per cento nel 2004 al 37,4 per cento nel 2024, a fronte di un calo del peso sul totale degli occupati delle fasce d’età centrali e più giovani. Guardando all’evoluzione del tasso di occupazione, emerge che la componente demografica (cioè il cambiamento nella struttura per età della popolazione) incide positivamente sull’andamento dell’indice per la fascia 50-64 anni (dove si collocano oggi i lavoratori della generazione dei baby boomers, numericamente consistente) sia per gli uomini che per le donne, mentre ha un effetto negativo sulle fasce più giovani. Per quanto riguarda invece la componente legata alla variazione specifica del tasso di occupazione (al netto della componente demografica), si osserva un effetto positivo per gli individui over 50 (classi 50-64 e 65-74 anni) e per le donne tra i 25 e i 49 anni (soprattutto nella fascia 35-49 anni). Per tutte le altre classi di età, sia tra le donne che tra gli uomini, il contributo risulta invece negativo. Le variazioni della componente specifica dell’occupazione per le donne e per i soggetti over 50 si spiegano, da un lato, con l’incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro registrato negli ultimi anni e, dall’altro, con l’effetto delle ultime riforme pensionistiche che, alzando l’età pensionabile, hanno prolungato la permanenza dei lavoratori più anziani nel mercato del lavoro.

Nei prossimi anni queste dinamiche si accentueranno, con un invecchiamento sempre più rapido della popolazione e, di riflesso, della forza lavoro. Mentre il restringimento della popolazione attiva peserà in termini quantitativi sull’offerta di lavoro disponibile, l’invecchiamento della popolazione avrà importanti ripercussioni sulla qualità di tale offerta, soprattutto sui livelli di produttività del lavoro. Bisogna però tenere presente che la relazione tra invecchiamento della popolazione e produttività non è univoca. Secondo alcuni studi, una popolazione più anziana potrebbe portare a una riduzione del PIL pro capite, ma questo rischio può essere in parte attenuato se il sistema economico è in grado di rispondere con scelte strategiche e investimenti mirati. La minore disponibilità di lavoratori e l’aumento del costo del lavoro potrebbero infatti spingere imprese e settori produttivi a investire di più in automazione, robotica e intelligenza artificiale, compensando la perdita di capitale umano con un aumento del capitale fisso e tecnologico. In questo modo, l’impatto negativo sul livello di produzione e sulla produttività potrebbe essere contenuto, soprattutto nei comparti dove la sostituzione tra capitale e lavoro è maggiormente realizzabile. Perché ciò avvenga è però essenziale che il tessuto produttivo e la società nel suo complesso siano pronti ad adottare e integrare queste innovazioni.

Rispetto all’impatto della transizione demografica sul sistema produttivo, alcune stime del rapporto dell’Upb evidenziano una dinamica dell’output potenziale (cioè il livello massimo di prodotto ottenibile con il pieno utilizzo dei fattori di produzione) che risulterebbe positiva nel prossimo quinquennio (sebbene decrescente) ma sfavorevole a partire dal 2030, fino a diventare sostanzialmente nulla negli ultimi anni dell’orizzonte di previsione. Questo andamento è in larga parte attribuibile alla riduzione del numero di occupati, mentre il contributo delle ore lavorate e dell’accumulazione di capitale appare trascurabile. In questo quadro, nel periodo successivo al 2030, la produttività totale dei fattori (ossia la misura dell’efficienza con cui lavoro e capitale vengono combinati per generare output), detta TFP, mostrerebbe un miglioramento, compensando parzialmente l’effetto negativo associato al calo dell’occupazione. Sebbene il rapporto non entri nel dettaglio su questo aspetto, è plausibile ipotizzare che il miglioramento della TFP derivi dall’aumento dell’intensità di capitale (cioè quanto capitale viene impiegato in rapporto al lavoro): se il numero di occupati diminuisce mentre il capitale resta stabile o cresce, ogni lavoratore disporrà di una dotazione più ampia di macchinari e tecnologie, con effetti potenzialmente positivi sulla produttività. Inoltre, la spinta delle imprese a investire in nuove tecnologie per compensare la carenza di manodopera potrebbe rafforzare ulteriormente questo effetto, sostenendo l’efficienza complessiva del sistema.

La transizione demografica rappresenta indubbiamente la sfida più rilevante che l’economia italiana dovrà affrontare nei prossimi decenni, eppure resta largamente sottovalutata nel dibattito pubblico. Mentre l’attenzione si concentra su questioni congiunturali, il ristringimento e il progressivo invecchiamento della popolazione stanno già ridisegnando il mercato del lavoro e la struttura del nostro sistema produttivo. Il paradosso è che, nonostante la chiarezza delle proiezioni, questa emergenza continua a essere percepita come un problema futuro, anziché come una priorità del presente. Una chiara consapevolezza del fenomeno e delle sue implicazioni è il primo passo per decidere come intendiamo affrontare questa sfida.

Jacopo Sala
ADAPT Research Fellow
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Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
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*Articolo pubblicato anche su Domani, 11 luglio 2025