L’incerto confine tra lavoro nero e gratuito

La notizia è quella riportata sulle pagine di un quotidiano nazionale: un pensionato del Roero è stato oggetto di verifica da parte degli ispettori del lavoro nella sua vigna e, secondo la notizia riportata dal giornale, si è visto addebitare 20 mila euro di sanzione per il presunto lavoro nero che la compagna ed alcuni amici hanno offerto nella raccolta delle uve a titolo di amicizia. Non distante nel tempo è anche l’altra triste notizia di Napoli dove un uomo si è ucciso perché sanzionato con la sospensione dell’attività lavorativa (per la presenza della moglie e di un’altra lavoratrice nella sua pizzeria) e impossibilitato a recuperare i duemila euro richiesti per la revoca della sospensione dell’attività (si legga al riguardo M. Tiraboschi, Non solo la riforma del lavoro, da ripensare è anche l’attività ispettiva e di vigilanza, in Bollettino ADAPT, n. 8/2014).

 

La vicenda di Castellinaldo – come ribadito dagli Ispettori e dalle Organizzazioni sindacali davanti al Prefetto di Torino in data 6 ottobre 2015 – ha portato ad un’errata opinione che lo Stato non sia presente sul territorio per tutelare lavoratori e imprenditori onesti, quanto per vessare i soliti noti.

 

Ma trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, il diritto dei cittadini ad avere controlli imparziali, equi e tempestivi e il potere sanzionatorio in capo agli ispettori del lavoro per far rispettare le norme è questione molto complicata per gli incerti confini esistenti tra il lavoro subordinato reso a titolo oneroso e il lavoro gratuito.

 

Da una parte la posizione degli ispettori tenuti ad applicare e a far rispettare le leggi, che vengono poi – di contro – chiamati in causa quando non ‘scovano’ il lavoro nero e che dovrebbero essere messi nella condizione di superare l’impostazione formalistica e quantitativa dei risultati a favore di un’impostazione di maggiore qualità delle ispezioni e in ottica di prevenzione.

Dall’altra la posizione di chi, soprattutto nelle campagne, ha da sempre visto utilizzare la logica del baratto e della collaborazione quale mezzo di scambio e che fa difficoltà ad immaginare un mondo diverso.

 

A maggior ragione, oggi giorno, alla luce del diffondersi di nuove forme di lavoro che vengono inquadrate nella sharing economy appare sempre più labile il confine tra lavoro e condivisione di competenze e servizi, tra lavoro nero e lavoro gratuito aprendo nuove e problematiche prospettive anche nell’ambito dei controlli ispettivi.

 

Riteniamo che la vicenda possa offrire lo spunto per mettere un po’ di chiarezza in una situazione come questa dove l’incertezza tra lavoro nero e gratuito è particolarmente insidiosa e difficilmente indagabile in sede di primo accesso.

 

Innanzitutto va precisato che il potere di accedere liberamente in qualsiasi stabilimento e luogo di lavoro e senza preavviso, in ogni ora del giorno e della notte, per verificare la regolare costituzione del rapporto di lavoro tra il personale trovato intento al lavoro e il soggetto ispezionato è principio sancito dall’art. 8, comma 2, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520.

 

Quindi un’attenta analisi dei documenti reperibili sul luogo di lavoro e un’approfondita e rigorosa raccolta delle dichiarazioni rilasciate dalle persone trovate intente all’attività lavorativa permettono agli ispettori di ricostruire la situazione e rilasciare un verbale di primo accesso in cui viene richiesto all’ispezionato di produrre successivamente altra documentazione idonea a comprovare quanto accertato in sede di accesso ispettivo. In sede di primo accesso non vengono mai comminate sanzioni ad eccezione del caso di sospensione dell’attività lavorativa per impiego di manodopera irregolare o per reiterate violazioni in tema di tutela della salute e di sicurezza sul lavoro.

 

Trattandosi di attività di natura non imprenditoriale, il caso del pensionato aiutato dalla moglie e dagli amici si prestava a generare non pochi equivoci agli occhi di chi era preposto alla verifica.

Va infatti ricordato che il lavoro autonomo occasionale dei collaboratori famigliari nei settori dell’artigianato, commercio ed agricoltura, è disciplinato dalla lettera circolare del Ministero del lavoro del 10 giugno 2013, n. 10478. Detta lettera ha statuito che gli ispettori del lavoro dovranno considerare le «prestazioni rese dai pensionati, parenti ed affini dell’imprenditore entro il terzo grado, quali collaborazioni occasionali di tipo gratuito, tali da non comportare né l’iscrizione alla gestione assicurativa, né l’eventuale trasformazione in rapporto di lavoro subordinato».

 

Analogamente, non si potranno neppure disconoscere le collaborazioni rese a titolo gratuito presso l’azienda dal parente che, allo stesso tempo, sia impiegato full time presso altro datore di lavoro, visto il limitato tempo a disposizione per poter espletare altri compiti con prevalenza e continuità presso l’azienda famigliare. Pertanto, ad eccezione del collaboratore pensionato o parente con altro lavoro full time, «la nozione di occasionalità nei diversi contesti settoriali è intesa come apporto di lavoro pari a 720 ore o 90 giorni nel corso dell’anno solare». Per dimostrare la subordinazione e quindi il superamento delle 720 ore annuali, è necessario il supporto di ulteriori elementi di natura documentale o testimoniale.

 

Sul punto, il Ministero del lavoro interviene con successiva lettera circolare n. 14185 del 5 agosto 2013, secondo la quale gli obblighi di assicurazione presso l’Inail sono necessari ogni qualvolta la prestazione sia ricorrente e non meramente accidentale, fermo restando che «per accidentale si intende quella collaborazione resa 1 o 2 volte nello stesso mese, per un massimo di 10 episodi di collaborazione all’anno». Ai fini della sospensione, i collaboratori non ricorrenti e non assicurati dall’Inail, non saranno computati nel 20% dei lavoratori irregolari, mentre dovranno essere calcolati nel totale dei lavoratori presenti.

 

In caso di riqualificazione, il Ministero del lavoro con la nota n. 16920 del 9 ottobre 2014, ha inoltre fornito alcuni chiarimenti in merito all’applicazione della c.d. maxisanzione, per cui nel caso in cui sia presente una “valida documentazione fiscale”, quale può essere il versamento delle ritenute d’acconto tramite modello F24, ovvero la dichiarazione del modello 770, dalla quale emerga la conoscenza da parte della P.A. del rapporto di lavoro, detto rapporto non può ritenersi “in nero” ed applicarsi la maxisanzione. In definitiva, la presenza di documentazione fiscale prodotta in relazione al periodo oggetto di accertamento, non porta all’applicazione della maxisanzione, anche se il rapporto non è da considerarsi genuinamente istituito.

Nell’episodio del Roero, tuttavia, non si trattava di collaboratori famigliari, ma di estranei trovati in loco dal personale ispettivo. In questo caso la disciplina è lacunosa, come può l’ispettore riconoscere una prestazione a titolo di amicizia da quella resa con compenso in nero?

 

Per far fronte a collaborazioni episodiche di estranei il legislatore ha infatti introdotto l’istituto del lavoro accessorio, per cui è possibile utilizzare buoni lavoro per sporadici lavori di vendemmia, ma nella fattispecie in discussione gli amici non erano neppure dotati di buoni lavoro.

 

L’art. 51 del decreto legislativo attuativo della legge delega n. 183/2014, c.d. Jobs Act, ribadisce infatti che «per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura subordinata o autonoma che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile», posto che le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, il limite è elevato a 3.000 per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. «In agricoltura i buoni possono essere utilizzati per attività stagionali effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici». Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori acquistano esclusivamente attraverso modalità telematiche uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati. I committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate. Il valore nominale del buono orario è fissato in 10 euro e nel settore agricolo è pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal CCNL.

 

I committenti imprenditori o professionisti che ricorrono a prestazioni occasionali di tipo accessorio sono tenuti, prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla Direzione territoriale del lavoro competente, attraverso modalità telematiche, ivi compresi sms o posta elettronica, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai 30 giorni successivi. Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.

 

Nella vicenda del sig. Battaglino, in sede di primo accesso sono stati trovati intenti al lavoro soggetti estranei privi di voucher, quindi se si esclude la disciplina prevista per il lavoro familiare e quella relativa al lavoro accessorio, si può comprendere come detto caso non sia affatto disciplinato dalla normativa, posto che non può neppure ricondursi alla fattispecie di solidarietà fra imprenditori agricoli.

 

Come distinguere quindi l’amico dal lavoratore in nero? Si tratta di un confine piuttosto labile e si auspica che il Ministero del lavoro intervenga al più presto per dipanare la matassa, circoscrivendo la possibile casistica.

 

Infatti, solo un’azione della pubblica amministrazione orientata all’adeguatezza degli interventi in un’ottica anti – formalistica, all’integrità, alla trasparenza sarà la chiave di volta per una buona amministrazione e per prevenire situazioni al limite, come quella oggetto di cronaca e che molte volte vengono viste da parte dei cittadini come espressione della mala amministrazione.

 

Più un’amministrazione è capace di promuovere e diffondere comportamenti e azioni non orientate ai numeri e ai formalismi ma alla sostanza dei controlli, tanto più produrrà risultati di qualità e apparirà, agli occhi dei più, meno vessatoria.

 

La diffusione di comportamenti etici e deontologicamente integerrimi necessita tuttavia dell’appoggio della stampa altrimenti si genera solo disinformazione.

 

Anna Rita Caruso @Annarita_Caruso

Gabriella Viale @VialeGabry

 Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

 

* Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.

 

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L’incerto confine tra lavoro nero e gratuito
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