Le Linee Guida per lo sviluppo della c. d. Agricoltura di Precisione

La recente diffusione, datata al 22 settembre scorso, del cd. Piano Calenda (depurata dei significati economico-produttivi di cui è intrisa) è valsa a consacrare l’impegno che talune parti sociali e taluni serbatoi di pensiero italiani, su tutti, hanno riservato al fenomeno dell’Industry 4.0. Ne portano testimonianza le cronache recenti – stampate, digitali, televisive – di tutte quelle iniziative sostenute da chi, davanti all’incedere delle grandi trasformazioni produttive del nuovo millennio, ha saputo declinarne i possibili tratti salienti, per tracciare direttrici di sviluppo e di interpretazione dei nuovi processi, del mercato del lavoro e del relativo sistema di relazioni industriali[1]. Tra di esse, in particolare, Federmeccanica e FIM CISL le quali, coerenti con le funzioni a disposizione di chi tutela interessi collettivi, hanno fatto luce, rispettivamente, sui possibili nuovi paradigmi di un’impresa manifatturiera 4.0 capace di competere sul mercato globale, nonché sui nuovi orizzonti strategici davanti a un sindacato radicato in quell’esatto sistema produttivo. La prima, legittimando quell’impegno con la redazione di un’inchiesta resa nota nei giorni a ridosso della diffusione del Piano Calenda[2]; la seconda, per il tramite dell’indubbio contributo offerto dal Segretario Generale, Marco Bentivogli, da tempo fautore di una ineludibile necessità di ripensamento della funzione sindacale, in risposta alle percezioni “popolari” di corresponsabilità del sindacato nella rovina attuale del Paese, nonché alle «retoriche morte»[3] di chi lo vorrebbe perennemente ostaggio di un “personaggio” inattuale, tenacemente arroccata sul “benaltrismo” ideologico.

 

Al di là delle possibili critiche sul loro operato in tema di Industry 4.0, la sensazione è che senza il contributo materiale ed intellettuale delle parti sociali, il tenore del dibattito pubblico sul punto, e lo stesso Piano Calenda, avrebbero assunto un colore meno intenso. Al punto che viene da domandarsi se il piano governativo, senza quell’apporto, non sarebbe passato in sordina. Allo stesso modo, peraltro, di quanto accaduto a similari documenti governativi recenti e relativi ad altri settori. Meno “chiacchierati”, certo, ma non marginali nell’economia italiana. Settori ugualmente coinvolti in altre forme di rivoluzioni produttive di cui, tuttavia, non molto si discute, perché non molto si conosce[4].

 

Il riferimento è, da un lato, al fenomeno dell’Agricoltura di precisione (AdP) e, dall’altro, alle Linee Guida per lo sviluppo dell’Agricoltura di precisione emanate dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali lo scorso luglio, cui ha fatto da pendant la pubblica consultazione on line sul tema, promossa dallo stesso MIPAAF negli stessi giorni, e tutt’ora in corso. Del fenomeno della cd. AdP, dei suoi caratteri eminenti e delle prospettive interpretative riconnesse alla sua diffusione, si è già detto in questo Bollettino, in due precedenti contributi, ai quali si rimanda[5]. Quanto al contenuto delle Linee Guida, più che soffermarsi su ciò che il documento rappresenta (un’indagine sullo status quo delle tecnologie di AdP utilizzabili nelle attività agricole praticate in Italia) e su ciò che ci dice in rapporto alla sua attuale diffusione e alle prospettive d’espansione del mercato (l’uso della tecnologia AdP, ad oggi, è prerogativa dell’1% del totale degli operatori del settore[6]), quello che preme in questa sede è focalizzare l’attenzione soprattutto su ciò che il documento non dice. O meglio: a chi non si rivolge.

 

All’opposto di quanto accade nel Piano Calenda, in effetti – dove divengono parte integrante del “Digital Innovation Hub”a sostegno dello sviluppo aziendale, accanto a Governo, Centri di ricerca, PMI, Università e Player industriali – le “Associazioni di categoria”[7], in 102 pagine di testo, sono contemplate una volta sola, tra parentesi, a pagina 87, in riferimento alla necessità di divulgare gli avanzamenti tecnologici AdP ad imprenditori e liberi professionisti, anche per il tramite di «canali tematici» promossi da tali enti[8].

 

Basterebbe prendere atto delle parentesi in cui le Associazioni di categoria sono relegate, per avere sia la misura della volontà governativa di coinvolgerle nel processo di sviluppo dell’AdP (pressoché nulla), sia l’entità del peso attuale della rappresentanza agricola nella definizione dei modelli economici settoriali del Paese. Timido, impalpabile, ai limiti dell’inconsistenza, verrebbe da dirsi.

 

Come non rilevare, d’altronde, che per un’associazione di categoria una consultazione pubblica on line su di un fenomeno decisivo per il futuro dell’agricoltura italiana, equivale di per sé ad un flop incosciente, ad indizio di scarsa rappresentatività sociale ed istituzionale. Perché, tramite essa, il Governo bypassa la consultazione diretta di quelle rappresentanze che dovrebbero essere naturalmente preparate alla costruzione di piani di sviluppo per un intero settore, tali da indirizzare le direttrici pubbliche. Tanto che viene da chiedersi se il trarsi d’impaccio governativo dalle farraginosità che (per forza di cose) deriverebbero da un loro coinvolgimento tecnico, non sia esso stesso la traccia della superfluità attuale delle associazioni agricole rispetto alla elaborazione delle politiche economico-sociali del settore agricolo[9].

 

Forse c’è qualcosa di più in quella parentesi, e nel mancato coinvolgimento delle associazioni di categoria. La prova del ritardo storico, strategico ed operativo, della rappresentanza agricola nella elaborazione di una visione del futuro dell’agricoltura che sia minimamente paragonabile a quella di certa imprenditoria capace, da sola, di dettare il passo del futuro[10]. Ma, altresì, minimamente utile a chi a quell’eccellenza mira o vorrebbe tendere, sprovvisto, autonomamente, di strumenti adeguati. In quell’essere relegati in una parentesi, forse, ci sono i segni vivi delle ferite autoprocuratesi dall’associazionismo odierno: il suo aver barattato, in fondo, la rappresentanza politica, economica e culturale del mondo variegato e dinamico dell’agricoltura con i CAF e i Patronati.

 

In un momento di “rivoluzioni tecnologiche” in atto, il peso di quel ritardo rischia di tradursi in divario competitivo intrasettoriale; in fattore di disuguaglianza imprenditoriale tra territori; in impossibilità di espansione diffusa per l’intero settore. Dando per scontato che ad ogni associazione di categoria corrisponda l’interesse specifico di un tipo di impresa, più o meno grande, e vocata ad un tipo di mercato[11], ai fini di un recupero di peso istituzionale e di rappresentatività fedele al nuovo corso dell’agricoltura, il riallineamento conoscitivo rispetto alla fenomenologia dell’AdP esistente e praticata dalle imprese più avanzate in Italia, dovrebbe diventare il faro di ogni associazione di categoria moderna. Attraverso l’indagine concreta, fondata sull’osservazione e l’analisi delle declinazioni concrete fornite dalle imprese nei diversi settori (cerealicoltura, zootecnia, viticoltura), si perverrebbe ad una mappatura dei modelli AdP praticati da quell’1% di imprenditoria avanzata, in quel dato territorio, con quel paesaggio agrario e naturale, con quella vocazione produttiva, inserita in quella specifica filiera produttiva. Valutato il reale fabbisogno tecnologico e d’innovazione delle associate meno avanzate, si avrebbero tra le mani gli strumenti per stimare quanto quei modelli di sviluppo possano poi essere riprodotti in altre realtà, con caratteristiche affini o similari, in vista dell’accesso più ampio possibile all’innovazione; quanto possa essere fatto in termini di divulgazione e formazione; dove e come indirizzare la lobbying istituzionale da qui ai prossimi anni.

 

Bene farebbero a chiedersi le associazioni di categoria se un sistema di ricerca scientifica interno, funzionante ed integrato, non sia indispensabile al progresso strategico della rappresentanza odierna, in funzione delle esigenze dell’universo agricolo. Dell’importanza della ricerca, e dell’analisi empirica dei dati offerti dalla realtà, ne fornì testimonianza imperitura, nel lontano 1877, il Conte Stefano Jacini. Il quale, facendo della sua Inchiesta agraria un atlante dell’esistente e delle politiche a venire per l’agricoltura italiana – certo che essa si trovasse «in un periodo di transizione», «incalzata dai problemi dell’avvenire» – si domandava, banalmente: «Che cosa è destinata ad essere l’Italia agricola?».

 

Francesco Piacentini

Dottorando in Formazione della persona e mercato del lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Bergamo

@Fra_piace87

 

[1] É d’obbligo, qui, il rimando al lavoro di F. SEGHEZZI, Lavoro e relazioni industriali in Industry 4.0, Posizione del problema e prime interpretazioni, DRI, 1/2016, Giuffrè, Adapt University Press, rinvenibile al link: https://www.bollettinoadapt.it/lavoro-e-relazioni-industriali-industry-4-0/.

[2] I cui esiti, peraltro – accantonata l’analisi delle risultanze specifiche – valgono di per sé a suscitare forte preoccupazione, laddove si certifica il basso tasso di imprenditoria manifatturiera disposta ad investire in tecnologia e innovazione 4.0. Per una lettura del report si rimanda al seguente link: http://www.federmeccanica.it/images/eventi/Industria40-in-Italia-indagine-di-federmeccanica.pdf.

[3] Prendendo in prestito la locuzione utilizzata dal sindacalista nell’intervista rinvenibile su: http://agensir.it/italia/2016/06/06/bentivogli-fim-cisl-non-si-puo-fare-a-meno-del-sindacato-ma-per-noi-e-tempo-di-cambiare/.

[4]Curioso come uno dei maggiori quotidiani italiani releghi l’argomento nella sezione “Motori”: http://www.repubblica.it/motori/sezioni/attualita/2016/09/08/news/cnh_industrial_mostra_l_evoluzione_dell_agricoltura_di_precisione-147385528/.

[5] Per gli scenari connessi all’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro, si veda: https://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2016/06/Limpatto-delle-nuove-tecnologie-in-agricoltura.pdf; per la cronaca di un modello aziendale e distrettuale di gestione del fenomeno AdP, si veda il caso di Maccarese S.p.A: https://www.bollettinoadapt.it/maccarese-s-p-e-lagricoltura-di-precisione-una-visione-aziendal-distrettuale/.

[6] Nelle Linee Guida si legge che obiettivo del Governo è pervenire ad una percentuale pari al 10% entro il 2021.

[7] Altro discorso implicherebbe l’analisi del perché, perfino nel Piano Calenda, non si ritenga opportuno ampliare lo spettro delle partecipazioni tecniche alle “parti sociali”, e dunque ai sindacati: come se il lavoro non fosse il terreno privilegiato degli esiti concreti di ogni sviluppo tecnologico.

[8] Si riporta il passo: «La formazione di sistema gioca un ruolo chiave (…); all’uopo è necessario investire su opportune azioni di formazione sia del personale delle amministrazioni pubbliche coinvolto nella gestione forestale, sia sulla divulgazione degli avanzamenti tecnologici agli imprenditori e liberi professionisti, utilizzando canali tematici (eventi formativi promossi presso Associazioni di categoria, Ordini professionali ecc. ), sviluppando azioni strategiche e coordinate di settore che mirino a favorire il recepimento e la diffusione dell’ICT».

[9] All’eventuale eccezione di chi, tacciando di ingenuità, desumesse da quell’esclusione nient’altro che una delle tante forme concrete dell’assassinio odierno di ogni forma di concertazione, anche sostanziale, giocoforza si potrebbe ribattere che la concertazione muore solo quando finisce, una volta per tutte, il potere di influenza delle organizzazioni intermedie nella corpo vivo della società.

[10] Esempi concreti di avanzamento tecnologico e visione aziendal-distrettuale, oltre dalla già citata Maccarese S.p.A, possono essere offerti dalla Arnaldo Caprai S.r.l: azienda leader nel settore vitinicolo italiano e nella produzione del Sagrantino di Montefalco, da anni ha reso operativo un sistema di rete d’innovazione che coinvolge il suo territorio di riferimento, le Università, la ricerca privata, i centri di formazione associativi e i suoi lavoratori.

[11] In tale ottica, gli interessi da tutelare da Confagricoltura, che raccoglie in sé, sostanzialmente, i grandi produttori, non potranno mai corrispondere e sovrapporsi a quelli della Coldiretti, che tutela i coltivatori diretti: e, dunque, il modo di intendere la funzione e l’accesso alle nuove tecnologie non potrà che dipanarsi secondo percorsi differenti.

 

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