Landini, Meloni e gli altri

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Bollettino ADAPT 20 marzo 2023, n. 11
 
Valutare gli impatti nel medio termine di un’occasione che ha le caratteristiche della storicità, come l’invito di Giorgia Meloni al congresso della Cgil, potrebbe apparire un esercizio di corto respiro. Ma proprio il fatto che siamo di fronte ad un evento che non accadeva da quasi trent’anni non ci si può che interrogare su quali saranno le conseguenze e su come esso tocca i delicati equilibri politici all’interno di una situazione generale di ri-assestamento. Di certo pare chiaro come la premier Meloni esca rafforzata dall’essere intervenuta al congresso della Cgil, per diverse ragioni.
 
Da un lato questa partecipazione l’ha posta come interlocutore istituzionale meno legato a una parte specifica (eredità ingombrante della sua storia politica) che ha difficoltà a dialogare con il sindacato, e in questo il passaggio di condanna all’assalto dell’estrema destra della sede dalla Cgil lo scorso anno è stato il suggello. Allo stesso tempo, per svolgere questo ruolo, ha optato per un intervento che non ha rinunciato a esprimere senza smussarle idee che di certo non sono condivise dalla platea che aveva di fronte. Che questo sia l’inizio di una azione politica più concreta sui temi del lavoro, sui quali al momento il governo ha fatto poco e ha annunciato molto, lo vedremo. Di certo la premier si è inserita in un doppio fuoco dal quale occorrerà guardarsi bene per non scottarsi: l’aver voluto esplicitamente individuare nel sindacato un interlocutore per l’azione di governo e allo stesso tempo l’implicita promessa che tale ruolo di interlocutore non sia di facciata ma che vi sia un coinvolgimento vero, almeno nei termini di un ascolto reciproco delle proposte, relativamente alle prossime azioni del governo.
 
Ancora da valutare invece l’impatto che tutto questo avrà per Maurizio Landini che sicuramente in questo congresso ha posto la Cgil come punto più autorevole e unificante dell’opposizione al governo avendo portato sul palco da Calenda a Fratoianni, passando per Schlein e Conte. E lo fa legittimandosi, con l’ipotesi che questo governo possa durare, allo stesso tempo come interlocutore del governo, con una mossa laterale che supera le divisioni interne, e in buona parte insanabili, dell’opposizione partitica. Un ruolo che Landini non ha mai disdegnato ma che con l’invito al primo premier di centro-destra potrebbe avere non poche ripercussioni sulla base del sindacato, che pure l’ha rieletto. Già da diversi giorni è stato da più voci espresso un malcontento, e solo una parte della platea dei delegati (pur con un maggioritario rispetto della disciplina richiesta dal segretario stesso) ha apprezzato (o, meglio, condiviso) il gesto dell’invito e con categorie particolarmente critiche. Allo stesso tempo Landini ha anche la consapevolezza che nel Paese (più che nella platea del congresso) una parte della sua base ha votato per la Meloni stessa come fece negli scorsi anni con la Lega di Salvini. Sarà interessante vedere come questa reciproca legittimazione avrà conseguenze sulle diverse partite aperte, prime tra tutte la delega fiscale, dove il sindacato è unito nella critica, e poi sul decreto lavoro sui contratti a termine più volte annunciato e che arriverà in parlamento probabilmente nelle prossime settimane. Soprattutto su quest’ultimo il dibattito con il sindacato potrebbe accendersi e non poco perché si entra su un terreno che (più ancora che il reddito di cittadinanza) è giustamente considerato di diretta competenza di chi rappresenta i lavoratori.
 
Sullo sfondo restano ovviamente due idee molto distanti delle politiche economico-sociali, a partire dal tema dei salari dove, senza grande enfasi da parte dei commentatori, Landini ha definitivamente gettato il cuore oltre l’ostacolo citando esplicitamente nella sua relazione la necessità non solo di un intervento sul salario minimo che parta dai valori dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi (e da una connessa legge sulla rappresentanza) ma dicendo esplicitamente che occorre individuare, da parte dello Stato, una precisa cifra minima. Posizione non condivisa da Meloni che nell’opporsi cita alcune ragioni che fino a poco tempo fa erano fatte proprie dal sindacato stesso. Resta poi da capire il ruolo che il PD di Schlein vorrà ricoprire di fronte a un rinnovato tentativo di protagonismo forte della Cgil e di Landini stesso, che pare appunto giocare a un livello più alto e non porsi come una pedina tra tante dell’opposizione e che potrebbe intestarsi maggiormente proprio i temi economici e sociali a fronte di una nuova segreteria democratica che pare invece più interessata ai temi dei diritti civili, lasciando così spazio aperto sul resto.

 
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

@francescoseghezz

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