L’accordo collettivo aziendale di incentivo all’esodo durante l’emergenza epidemiologica

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Bollettino ADAPT 15 novembre 2021, n. 40
 
Il divieto di licenziamento introdotto dalla legislazione di emergenza comprende il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo, ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991, ovvero concludere eventuali procedure collettive avviate dopo il 23 febbraio 2020, procedure di licenziamento individuale o plurimo per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3, L. n. 604/1966, e di avviare procedure di conciliazione obbligatoria,  ai sensi dell’art. 7 della medesima disposizione legislativa. Rientrano, pertanto, nel cosiddetto blocco dei licenziamenti tutte le possibili declinazioni in concreto della fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, cioè quelle determinate da  ragioni  inerenti  all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa: soppressione della mansione, inidoneità permanente alla mansione, ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, esternalizzazione dell’attività, impossibilità del repechage e provvedimento di natura amministrativa che incide sul rapporto di lavoro.
 
Il divieto è stato introdotto dall’art. 46, comma 1 del D. L. n. 18/2020, prorogato dall’art. 14 del D. L. n. 104/2020 e s.m.i. (art. 12, comma 9 e ss. del D.L. n. 137/2020; art. 1, comma 309 e ss. del D.L. n. 178/2020; art. 8, comma 9 e ss. del D.L. n. 41/2021; art. 40, comma 4 e ss. del D.L. n. 73/2021; art. 11, comma 7 e ss. del D.L. n. 146/2021), il quale esclude, al comma 3, l’applicazione del divieto nelle ipotesi di una specifica fattispecie di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, che si realizza mediante la stipulazione di un accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Trattasi di un accordo di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che vi prestano adesione, ai quali è comunque riconosciuto il trattamento della NASpI, in presenza dei requisiti soggettivi previsti dal D. Lgs. n. 22/2015.
 
Il divieto è inoltre escluso nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel cambio d’appalto, fallimento, cessazione definitiva dell’attività e liquidazione: rientrano nel primo caso i licenziamenti di personale già impiegato nell’appalto, qualora sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di CCNL o di clausola del contratto di appalto. Le ulteriori ipotesi, invece, si realizzano ad opera di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, anche conseguente al fallimento o alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c.
 
Attualmente il divieto vige fino al 31 dicembre 2021, per la durata della fruizione dell’ammortizzatore sociale, per i datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del D.L. n. 146/2021, utilizzando la Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD), il Fondo di integrazione salariale (FIS), i Fondi Bilaterali Alternativi, tra cui il Fondo di Solidarietà Bilaterale per l’Artigianato (FSBA) e per i datori di lavoro a cui viene riconosciuta la Cassa Integrazione guadagni Ordinaria (CIGO) delle industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili, identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15.  Si precisa che resta valido il divieto di licenziamento riconosciuto dal D.L. n. 73/2021 per le aziende che non possono richiedere gli ammortizzatori sociali ai sensi del D. Lgs. n. 148/2015, per il periodo di trattamento autorizzato, nonché per i datori di lavoro che usufruiscono dell’esonero del pagamento dei contributi addizionali legati alla domanda di integrazione salariale per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, siano essi datori di lavoro che possono richiedere la CIGO, che datori di lavoro dei  settori  del  turismo  e  degli stabilimenti termali e del commercio, nonché del settore  creativo, culturale e dello spettacolo. Il licenziamento comminato al lavoratore dipendente in violazione del divieto imposto dal legislatore comporta la nullità del licenziamento stesso e la reintegra del lavoratore in azienda. Inoltre il datore di lavoro dovrà corrispondere la retribuzione per il periodo di tempo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, con relativi contributi previdenziali e assistenziali e un risarcimento del danno, commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto, dal licenziamento alla reintegra, con un minimo di cinque mensilità e dedotto l’aliunde perceptum.
 
Si rammenta che è di egual tenore, rispetto al divieto legale, l’Intesa tra Governo e Parti Sociali (Confindustria, Alleanza delle Cooperative e Confapi con Cgil, Cisl, Uil) del 30 giugno scorso, attraverso la quale i datori di lavoro sono invitati a fare uso degli strumenti istituzionali e contrattuali a disposizione prima di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro. Nella prospettiva delle parti sociali, potrebbe rilevare non solo il ricorso agli ammortizzatori sociali ma anche a tutti gli strumenti predisposti dal legislatore, nel corso del tempo, idonei ad evitare il licenziamento: si pensi all’accordo sindacale di distacco per gestire situazioni di eccedenza di personale, ex art. 8, comma 3 del D.L. n. 148/1993 e l’accordo sindacale nell’ambito di procedura di licenziamento collettivo di incentivo all’esodo dei lavoratori più anziani ovvero nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente, ex art. 4, comma 1 del L. n. 92/2012.
 
Entrando nel merito dell’accordo collettivo aziendale per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, è opportuno individuare gli elementi che ne determinano la validità, con il conseguente riconoscimento al lavoratore della NASpI (la quale, rappresentando un’eccezione alla regola generale, assume lo scopo di incentivare l’adesione all’accordo): la sottoscrizione da parte dall’azienda e, come chiarito dal messaggio INPS n. 689/2021, da anche solo una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (anche nelle loro articolazioni territoriali); la previsione di un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro; l’adesione all’accordo da parte dei singoli lavoratori, a cui di prassi segue una conciliazione in sede protetta; la corresponsione da parte dell’azienda del cosiddetto ticket di licenziamento; l’allegazione dell’accordo alla presentazione della domanda di indennità NASpI da parte del lavoratore aderente, come indicato dall’INPS nella circolare n. 111/2020.
 
È necessario anche che nell’accordo vi sia l’indicazione dell’arco temporale di validità e che la sigla dello stesso e della corrispondente adesione avvengano prima della scadenza del cosiddetto blocco dei licenziamenti, in costanza di utilizzo di ammortizzatore sociale (l’estinzione del rapporto di lavoro può anche essere differita, mediante fissazione di un termine in un successivo accordo bilaterale). Deve essere inoltre stabilito il quantum a titolo di incentivo all’esodo, che può essere diversificato in ragione di fattori quali, a titolo esemplificativo, il profilo professionale o l’anzianità di servizio. Inoltre, si precisa che l’accordo deve essere stipulato a livello aziendale poiché è la norma di legge ad individuare il livello negoziale abilitato a produrre gli effetti di legge. In questa prospettiva, possono essere ricompresi nella nozione anche gli accordi di gruppo, applicati nei confronti di tutte le società appartenenti allo stesso gruppo; diversamente, devono ritenersi esclusi, a pena di inefficacia, gli accordi territoriali o nazionali.
 
Mentre la sottoscrizione dell’accordo da parte di RSA o RSU non incide dal punto di vista dei requisiti validanti l’accordo di incentivo alla risoluzione, a determinare l’effetto estintivo del rapporto di lavoro è l’adesione espressa, individuale e volontaria del lavoratore, mediante dichiarazione unilaterale; per tal motivo, nel rispetto della consensualità della risoluzione, il datore di lavoro può riservarsi di accettare la richiesta di adesione da parte del singolo lavoratore. Tuttavia è utile esplicitare che, seppure per l’estinzione del rapporto di lavoro sia sufficiente la dichiarazione unilaterale della parte, sovente essa è seguita da un ulteriore accordo bilaterale tra datore di lavoro e lavoratore, peraltro necessario nelle ipotesi in cui l’accordo aziendale non disciplini le condizioni di risoluzione.
 
L’accordo aziendale previsto dal legislatore, tuttavia, non ha un contenuto univoco e può assumere, di conseguenza, contenuti variabili, in base alle esigenze prescelte dalle parti sottoscriventi. Vi possono essere casi in cui il datore di lavoro individui limiti quantitativi all’accettazione, restringendo quindi l’eventuale adesione ad un numero massimo di lavoratori o circoscrivendone la mancata validità a predeterminate categorie di lavoratori; o casi in cui le parti coinvolte legittimamente prevedono, come di prassi avviene, per evitare ogni futura rivendicazione, che l’adesione all’accordo sia resa dalle parti coinvolte in una delle sedi protette previste dall’art. 2113, comma 4 c.c., formalizzando così una conciliazione c.d. tombale, contenente rinunzie e transazioni; in questo senso, oggetto della conciliazione potranno essere anche ulteriori profili legati al rapporto di lavoro, nonché l’eventuale rinuncia reciproca al periodo di preavviso previsto dal CCNL del settore di riferimento.
 
Eleonora Peruzzi

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@PeruzziEleonora

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