La transizione verso un’economia sostenibile nella nuova indagine ETUI

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Bollettino ADAPT 3 giugno 2019, n. 21

 

Pubblicato lo scorso aprile, il Working Paper dell’ETUI, concentrandosi sul settore dell’energia, analizza i tratti distintivi e gli effetti pratici dell’attuale transizione verso un’economia che, entro il 2050, la Commissione Europea prospetta totalmente decarbonizzata. Il concetto di “equità” della transizione verso un’economia sostenibile, chiave di lettura dell’intero documento, suggerisce agli attori sociali e ai leader politici di ricercare un approccio corretto e consapevole dei costi sociali ed occupazionali che tale processo comporta.

 

Lo studio, del resto, pur registrando, per il triennio 2014-2017, nell’UE-28 un aumento complessivo della produzione di energia da combustibili fossili, evidenzia, con differenze piuttosto significative tra i diversi stati europei e con maggiori difficoltà per gli stati membri tradizionalmente legati all’uso del carbone, che dal 2007 l’utilizzo dell’energia prodotta da fonti alternative è in netto aumento. Parallelamente, l’industria carboniera, che all’inizio degli anni ’60 assicurava l’occupazione di milioni di persone in Europa, è in rapido e continuo declino. Basti pensare che, secondo i dati Eurostat, la sola chiusura delle miniere di carbone europee nel decennio 2007-2017 ha determinato una perdita di 142.000 posti di lavoro.  Anche le stime Eurocoal sembrano poco rassicuranti, registrando, per il triennio 2015-2017, una riduzione del 25% di posti di lavoro indirettamente dipendenti dalle attività carboniere.

 

In tale periodo transitorio verso processi di produzione e consumo a basso impatto ambientale, l’utilizzo efficiente delle fonti di energia rinnovabili rappresenta una tappa, non soltanto obbligata, ma anche favorita dai progressi tecnologici che, riducendo il costo delle infrastrutture green, accrescono le possibilità di investimento degli stati europei. La graduale eliminazione del carbone dalla nostra economia sembra, quindi, più fattibile ed economicamente accessibile in ampie parti del mondo. In tale direzione, Il Bloomberg New Energy Finance (BNEF) stima – rispetto al 2017 ed entro il 2050- una riduzione del 71% dei costi medi degli impianti fotovoltaici e del 58% del costo dell’energia eolica. Elementi che potrebbero non soltanto rendere meno appetibile il mercato delle energie alimentate a gas naturale e a carbone, favorendo lo sviluppo delle energie rinnovabili, ma altresì determinare un’importante transizione verso i cd. “lavori verdi”, compensando le perdite subite.

 

La transizione occupazionale

 

Sorprendentemente, l’indagine ETUI evidenzia che le politiche climatiche hanno avuto un impatto limitato sul fattore lavoro. La maggior parte della perdita di posti di lavoro nel settore carbonifero, quindi, non sarebbe legata agli obiettivi europei di sostenibilità, ma alla ristrutturazione industriale e a mere ragioni economiche (crescenti costi di estrazione e basso costo di importazione del carbon fossile). Tuttavia, pare che l’impatto occupazionale delle politiche europee in materia ambientale sia destinato ad aumentare man mano che i paesi attueranno i piani nazionali per l’energia e il clima, al fine di raggiungere l’obiettivo di un’economia totalmente decarbonizzata entro la metà del secolo.

 

Gli effetti della graduale eliminazione del carbone dall’economia potrebbero essere più significativi in dimensioni locali e territoriali che basano tradizionalmente la loro economia sull’uso e sulla produzione del carbone (secondo i dati Alves Dias et al. 2018, principalmente Polonia, Bulgaria e Repubblica Ceca). Del resto, secondo l’indagine ETUI, le implicazioni pratiche della transizione verso il 2050 mutano da paese e paese e, quindi, un approccio unidimensionale è destinato a fallire. L’adozione di un approccio che faciliti la transizione “equa” e che coniughi le strategie di politica climatica ai vari contesti economico – sociali merita, soprattutto nelle regioni maggiormente colpite dalla transizione ecologica, un ruolo centrale nelle agende politiche per lo sviluppo sostenibile.

 

Inoltre, nel prossimo decennio, tenendo conto dell’introduzione di politiche comunitarie che negheranno gli aiuti di stato agli stati membri che non si conformeranno ai severi standard in materia di emissioni[1], le centrali a carbone europee dovranno affrontare, in più ondate, tra il 2020 e il 2030, una perdita stimata di 130-140.000 posti di lavoro diretti. Tali disallineamenti strutturali, determinati dalla transizione verso un’economia europea sostenibile, sono fattori che meritano di essere imprescindibilmente considerati nell’adozione di strategie nazionali per l’eliminazione graduale del carbonio capaci di affrontare le sfide che ci attendono sul piano occupazionale.

 

I piani nazionali devono, pertanto, non soltanto quantificare i contributi nazionali per il conseguimento degli obiettivi UE-2030 in materia ambientale, specificare la composizione del futuro mix energetico e le tempistiche di sostituzione delle centrali a carbone, ma altresì studiare le modalità di gestione di una transizione efficace e giusta sul piano occupazione. In quest’ottica, la Confederazione Europea dei Sindacati considera il coinvolgimento delle parti sociali un fattore irrinunciabile per la buona riuscita di una transizione socialmente accettabile verso un’economia sostenibile.

 

Allo stesso modo, le linee guida 2015 dell’OIL evidenziano l’indispensabilità del dialogo sociale ad ogni livello e del coinvolgimento proattivo dei sindacati nell’elaborazione di percorsi per uno sviluppo economico sostenibile e socialmente inclusivo, poiché basato sull’uguaglianza e sul lavoro dignitoso.

 

Riflessioni pratiche

 

Individuato lo strumento idoneo nel dialogo sociale, ogni stato membro, ogni territorio e forse ogni realtà aziendale coinvolta dovrebbe munirsi di strategie idonee o di programmi di attività capaci di pianificare ed attenuare l’impatto potenziale della transizione verso la realizzazione degli obiettivi europei di sostenibilità, affrontando le sfide principali individuate dall’indagine ETUI:

 

1) Analizzare gli effetti distributivi di politiche climatiche ben strutturate, capaci di promuovere maggiore tutela sociale, sicurezza alimentare, opportunità di lavoro dignitoso e contribuire a creare nuova ricchezza;

2) Facilitare la transizione verso un lavoro green con appositi piani di assunzione e di formazione dei lavoratori che utilizzino strumenti come l’apprendistato e i tirocini per garantire il trasferimento di competenze e il turnover generazionale, incoraggiando la mobilità occupazionale e la flessibilità aziendale;

3) Adottare politiche locali che, in funzione delle peculiarità socio-economiche, pianifichino i costi della trasformazione, traccino gli eventuali finanziamenti europei ed elaborino strategie concrete per l’eliminazione graduale del carbone dalle proprie economie, investendo sull’innovazione ed adeguandosi a uno scenario mondiale in rapida evoluzione.

 

Maria Cialdino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@MCialdino

 

[1] Una parte degli obiettivi europei in materia di politica climatica concerne una regolamentazione severa sulla riduzione di emissioni di gas a effetto serra. Nel 2017, la Commissione Europea nelle cd. conclusioni BAT (Best Available Technique), ha stabilito nuovi standard di conformità per i grandi impianti di combustione, mentre il nuovo regolamento, noto con l’acronimo di LCP BREF (Large Combustion Plants Best available techniques Reference document) pone limiti a vari tipi di inquinanti (ossidi di zolfo e di azoto) ai quali, entro il 2021, si dovranno conformare le centrali elettriche a carbone. Tali limiti alle emissioni, come è noto, hanno incontrato una forte resistenza di alcuni Stati membri, capitanati dalla Polonia, determinando una fase di stallo superata solo nel gennaio 2019, quando i ministri degli Stati UE hanno approvato, di concerto al Parlamento Europeo, la cd. “clausola polacca”.  L’accordo, che sarà vagliato entro il primo semestre del 2019 dal Parlamento e dal Consiglio Europeo, faciliterebbe la Polonia nell’ottenimento di aiuti di stato, fino alla fine del 2019, per la costruzione di nuove centrali elettriche.

 

 

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