La formazione professionale in Spagna. Tante luci e qualche ombra dall’ultimo report del CEDEFOP

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Bollettino ADAPT 6 novembre 2023, n. 38
 
Il CEDEFOP ha recentemente pubblicato un report valutativo dedicato allo stato della formazione professionale in Spagna. Si tratta di un documento interessante, di ampio respiro e che si inserisce nel contesto più ampio dello European year of skills.
 
La Spagna, come l’Italia, è un Paese che negli ultimi 15 anni ha duramente sofferto le molteplici crisi economiche che ha attraversato, le conseguenze delle quali si riflettono ancora oggi in un mercato del lavoro caratterizzato da un alto tasso di disoccupazione giovanile e da un basso tasso di impiego. Nonostante ciò, le previsioni per il futuro sono positive, e l’occupazione dovrebbe crescere in modo sostanziale da qui al 2030, trainata soprattutto da quattro settori chiave: educazione, costruzioni, servizi finanziari e servizi. Si calcola inoltre che quasi la metà delle posizioni lavorative che si creeranno da qui alla fine del decennio richiederanno un livello di specializzazione medio-alto, in linea con quanto accadrà nelle altre economie avanzate.
 
Il sistema di formazione professionale spagnolo si basa su di una rete ben strutturata e coesa di istituzioni educative che si avvalgono di partnership industriali e di meccanismi in grado di assicurarne la qualità. A sua volta il sistema è suddiviso in due rami distinti ma complementari, ovvero la formazione professionale nel contesto del sistema educativo tradizionale e la formazione della forza lavoro come strumento delle politiche attive del mercato del lavoro. Entrambe le aree ricevono consistenti finanziamenti pubblici, ma il management e l’amministrazione poggiano su un modello decentralizzato, estremamente diffuso nel paese, che lascia ampia autonomia alle amministrazioni regionali e locali. Le parti sociali, inoltre, svolgono un ruolo attivo sia nella progettazione delle qualifiche sia nella governance del sistema, in particolare nel contesto delle politiche attive del mercato del lavoro.
 
Il giudizio complessivamente positivo che l’agenzia europea attribuisce alla Spagna si basa soprattutto su alcune precise scelte di policy, due in particolare, che sono state adottate dal governo nell’arco degli ultimi tre anni. La prima di queste è senza dubbio legata alla riorganizzazione ministeriale introdotta nel 2020, la quale ha definito con chiarezza le responsabilità e i campi d’azione dei due ministeri che si occupano di formazione e di politiche legate al mercato del lavoro: il Ministero dell’Istruzione e della Formazione Professionale e quello del Lavoro e dell’Economia Sociale. L’altra è invece legata al Piano per la Modernizzazione dell’Educazione Professionale, un’iniziativa culminata in un intervento legislativo specifico, ovvero la Legge Organica n.3/2022. Questa legge ha modificato sostanzialmente il modello precedente, ormai datato, intervenendo sulla struttura stessa del sistema di formazione professionale, sul sistema di riconoscimento delle competenze e sulle attività di orientamento e career guidance legate al mercato del lavoro.
 
Secondo il report in commento questi interventi vanno nella giusta direzione, e dimostrano come la Spagna abbia compreso che investire sulla formazione professionale di qualità sia cruciale per combattere la disoccupazione giovanile, promuovere la competitività economica e gestire la transizione digitale e quella energetica. Nonostante ciò ci sono ancora alcune ombre sul sistema spagnolo, che per certi versi dimostra di essere ancora in una fase di transizione che, pur puntando nella giusta direzione, potrebbe rivelarsi lunga e tutt’altro che semplice. Ad esempio, i dati ad oggi ci dicono che ben il 98,4% degli studenti impegnati in programmi VET in Spagna hanno sperimentato una didattica di tipo work based, fortemente improntata sul lato pratico, un dato migliore persino di quello tedesco, che si ferma poco oltre il 96% e largamente migliore della media UE-27 (60%). Il problema si rivela nella sua interezza quando si allarga lo sguardo perché, se è vero che il tipo di didattica è estremamente funzionale, è anche vero che solo il 4% del totale degli studenti spagnoli iscritti alla scuola secondaria è impegnato in un percorso di questo tipo, contro il 48% degli studenti tedeschi, un divario importante. In questo senso sembra che non bastino i già corposi incentivi previsti per le assunzioni in apprendistato, la cui diffusione rimane modesta sia lato formazione professionale che come strumento di politiche attive del lavoro. È interessante però notare come proprio il numero dei contratti di apprendistato abbia registrato un importante calo da quando, nel 2016, questo tipo di strumento è stato oggetto di una importante riforma che ne ha limitato l’utilizzo al fine di privilegiarne la vocazione formativa. Ad esempio, qualsiasi tipo di apprendistato portato a termine con successo da ora diritto ad una certificazione, spendibile e riconosciuta, delle competenze acquisite. Questo meccanismo ha certamente irrigidito lo strumento, aumentandone la qualità e l’efficacia ma non ha certamente contribuito, ad oggi, a favorirne la diffusione.
 
La riforma si impegna anche ad affrontare, con interventi specifici, il gender gap che ancora caratterizza l’accesso all’istruzione professionale, sia a livello secondario che accademico. Si tratta di un fattore chiave per garantire una struttura occupazionale bilanciata ed in grado di sfruttare tutti i talenti. Al momento, le donne rappresentano il 29,5% degli studenti a livello di formazione professionale di base, il 45,1% a livello intermedio e il 48,9% a livello superiore. Differenze ancora più significative possono essere osservate nella distribuzione per genere a livello settoriale. Per contrastare questa tendenza, sono state appuntate due strategie: la prima, denominata STEAM alliance, consiste in un piano che, grazie al coinvolgimento di sindacati, università, media ed altre organizzazioni intermedie punta a sensibilizzare le giovani donne verso una carriera in materie scientifiche. La seconda iniziativa punta invece a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. Vi sono anche iniziative in atto legate al National Digital Skills Plan e ad attività finanziate dal National recovery and resilience plan.
 
Un altro punto fondamentale sul quale fa leva la legge 3/2022 è la formazione e l’aggiornamento dei docenti, che rappresentano un anello di giunzione fondamentale nella catena della formazione professionale. Il tema dell’invecchiamento del corpo docenti e la mancanza di specialisti in alcuni settori sono comuni anche all’Italia, con tutto ciò che questo comporta. Per contrastare questa deriva l’insegnamento è stato aperto anche a coloro che non sono formalmente abilitati in quanto insegnanti, ma provengono dal mondo del lavoro. È stato inoltre stabilito un framework comune di certificazioni ed aggiornamento delle competenze digitali degli insegnanti. Un corpo docente preparato è necessario anche per un’azione di internazionalizzazione dei programmi di formazione professionale, in modo che siano disponibili percorsi formativi bilingue o totalmente in lingua inglese. Corsi che vanno anche promossi sul territorio, perché dove presenti raccolgono comunque scarsa partecipazione.
 
La collaborazione tra il Ministero dell’Educazione e della Formazione Professionale e quello del Lavoro e dell’Economia Sociale ha invece portato a politiche strutturate e funzionali in relazione a longlife learning e attività di formazione continua e reskilling tra la popolazione adulta, nel contesto più ampio delle politiche attive del lavoro. Si tratta di una sinergia proficua, che punta ad anticipare dove possibile, e a contrastare dove questa ha già fatto il suo corso, l’obsolescenza professionale di chi è già inserito nel mercato del lavoro e di chi invece ne è stato magari espulso.
 
Un punto dove, infine, le riforme non sembrano ancora aver dato i loro frutti è quello dell’orientamento professionale, dove manca ancora un approccio integrato e coerente. Si tratta di un importante tassello nel puzzle della formazione professionale, poiché spesso rappresenta l’ultimo anello di congiunzione con il mercato del lavoro. Questa mancanza dovrebbe in ogni caso essere colmata da un progetto di legge che dovrebbe vedere la luce entro i primi mesi del 2024.
 
Complessivamente, e nonostante alcune criticità presenti da tempo, il sistema di formazione professionale spagnolo sembra essere pronto ad affrontare le sfide che inevitabilmente si porranno negli anni e nei decenni futuri. I dati presentati riguardano il caso spagnolo, ma per molti versi, come anticipato, possono essere estesi anche all’Italia. In questo senso l’attenzione è quasi unicamente rivolta al modello tedesco, nonostante le differenze a volte strutturali che ci dividono da quel tipo di approccio. Il modello spagnolo potrebbe però rivelarsi uno schema virtuoso e più vicino al nostro, certamente da adattare ma dal quale potrebbe essere utile prendere spunto.
 
Michele Corti

ADAPT Junior Fellow

@michele_corti

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