Bollettino ADAPT 2 dicembre 2024, n. 43
L’oggetto della proposta presentata il 23 marzo 2024 dalla Commissione Europea, è assai esplicativo della filosofia che la ispira. L’atto, infatti, si prefigge espressamente sin dalla sua titolazione due propositi “forti”: il “miglioramento e garanzia del rispetto delle condizioni di lavoro dei tirocinanti”, nonché la “lotta ai rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini”.
In effetti la valutazione d’impatto promossa dalla Commissione europea da cui trae origine questa proposta di direttiva nonché la proposta di revisione della raccomandazione del Consiglio del 2014 su un quadro di qualità per i tirocini (in tema vedi, in questo bollettino speciale, M. Corti, S. Loponte, Un campo di gioco uniforme per i tirocini di qualità: la proposta di raccomandazione del Consiglio europeo nei suoi punti essenziali) ha acceso i riflettori su due applicazioni patologiche dell’istituto del tirocinio: i cosiddetti tirocini non conformi, cioè utilizzati per la loro finalità prevista (offrire ai tirocinanti l’opportunità di acquisire esperienza pratica e professionale, migliorare le loro competenze e accedere al mercato del lavoro) ma non rispettosi di tutti i diritti loro riconosciuti dalla legislazione nazionale o dell’UE applicabile; e poi – ancor più gravi – i tirocini fittizi, ossia quelli non utilizzati in coerenza con la loro finalità formativa, bensì in sostituzione di posizioni di lavoro dipendente regolari, configurandosi come rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini. In questi casi risulta eluso il diritto dell’UE o il diritto e i contratti collettivi nazionali che si applicano ai lavoratori regolari.
Da questi presupposti, d’altronde, partiva anche la risoluzione del Parlamento europeo che il 14 giugno 2023 sollecitava la Commissione a proporre “una direttiva relativa ai tirocini nel libero mercato del lavoro, ai tirocini associati a politiche attive del mercato del lavoro e ai tirocini che costituiscono parte obbligatoria della formazione professionale, al fine di garantire norme minime di qualità” degli stessi.
Di conseguenza, la base giuridica su cui è imperniata questa proposta di direttiva è l’art. 153, par. 2, lettera b) del trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale prevede l’adozione di direttive che fissano le prescrizioni minime applicabili fra l’altro alle “condizioni di lavoro” di cui all’art. 153, par. 1, lettera b) del TFUE. Per questo il provvedimento riguarda i soli tirocinanti lavoratori così come vengono qualificati con precisione al punto b) dell’art. 2 della proposta legislativa in esame, che si applica invece a tutti i tirocini definiti in senso più lato al punto a) dell’art. 2 del testo normativo comunitario oggetto di questa analisi.
Più precisamente, il testo dell’articolato normativo in esame prevede 5 capi e 15 articoli, nell’ambito dei quali spicca – al già citato art. 2 – una definizione di “tirocinante” nella quale non rientrano tutti coloro che svolgono un “tirocinio”: quest’ultimo è infatti qualificato come un periodo di pratica lavorativa di durata limitata, con una componente di apprendimento e formazione significativa, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un rapporto di lavoro regolare o l’accesso a una professione, mentre il “tirocinante” – ai fini della futura applicazione della direttiva – viene identificato con qualsiasi persona che intraprende un tirocinio e ha un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia.
È discusso se dalla disposizione di cui all’art. 2 della proposta di direttiva consegua o meno l’obbligo in capo agli Stati membri di ricondurre tutte le forme di tirocini nell’alveo ovvero, in alternativa, se l’ambito di applicazione dell’atto non coincida con l’universo dei tirocinanti ma solo con una parte, cioè quella che svolge il periodo di pratica e formazione nell’ambito di un rapporto di lavoro. In questo senso, invero, sembrano andare, oltre alla definizioni, il considerando n. 17 della proposta di direttiva che ammette espressamente che «gli apprendistati possono rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui gli apprendisti rientrano nella nozione di “lavoratore” quale definita dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati membri», il considerando n. 18 che specifica che un capo specifico della proposta di Direttiva si applica trasversalmente a tutti i tirocini e, anche, la lettura in coordinato con la Raccomandazione che si differenzia proprio in ragione dell’ambito applicativo trasversale a tutti i modelli di tirocinio
Le misure che vengono prescritte agli Stati membri da questo dispositivo normativo comunitario risultano volte a:
– introdurre il principio di non discriminazione dei tirocinanti (lavoratori) al fine di garantire che, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione, essi non ricevano un trattamento meno favorevole di quello dei lavoratori stabilmente alle dipendenze dello stesso datore di lavoro, a meno che non sussistano motivi oggettivi di trattamento differenziato, quali mansioni diverse, un livello inferiore di responsabilità o d’intensità del lavoro o il peso della componente di apprendimento e formazione (capo II);
– garantire che i tirocini non servano a nascondere posti di lavoro stabili. Le autorità competenti sono sollecitate ad effettuare ispezioni e controlli, al fine d’individuare a) l’assenza di una componente significativa di apprendimento o formazione nel presunto tirocinio; b) la durata eccessiva del presunto tirocinio o dei presunti tirocini multipli e/o consecutivi presso lo stesso datore di lavoro da parte della stessa persona; c) livelli equivalenti di mansioni, responsabilità e intensità del lavoro per i presunti tirocinanti e per i dipendenti regolari in posizioni comparabili presso lo stesso datore di lavoro; d) il requisito di un’esperienza lavorativa precedente per i candidati al tirocinio, acquisita nello stesso settore di attività o in un settore analogo in assenza di una giustificazione adeguata; una percentuale elevata di presunti tirocini rispetto ai rapporti di lavoro regolari presso lo stesso datore di lavoro; f) un numero significativo di presunti tirocinanti presso lo stesso datore di lavoro che hanno completato due o più tirocini o hanno avuto rapporti di lavoro regolari nello stesso settore di attività o in un settore analogo prima dello svolgimento del presunto tirocinio (capo III);
– prevedere la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di attivarsi per conto dei tirocinanti a tutela dei loro diritti e impegnare gli Stati membri a garantire la presenza di canali attraverso i quali i tirocinanti possano denunciare pratiche scorrette e cattive condizioni di lavoro (capo IV).
Le “anime” sono fondamentalmente due: la prima è senza dubbio rappresentata dall’estensione ai tirocinanti del principio di non discriminazione per quanto riguarda le condizioni di lavoro (compresa la retribuzione), già previsto per i lavoratori a tempo determinato dalla clausola 4 dell’allegato della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP che consentiva agli Stati membri, attraverso la clausola 2, di escludere determinati tipi di lavoratori (come quelli aventi rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato) dal suo ambito di applicazione. La seconda fa riferimento invece alla lotta ai tirocini mascherati e all’uso improprio che troppo spesso viene fatto dello strumento, che dovrebbe essere primariamente formativo.
Il complesso iter previsto da una procedura legislativa ordinaria dell’UE come quella seguita per l’adozione di questo provvedimento si snoda attraverso diversi passaggi istituzionali: prima del varo ufficiale della proposta di direttiva firmata congiuntamente dalla presidente del Parlamento europeo e dal Presidente del Consiglio dell’UE, sono già stati acquisiti appositi pareri da parte del Comitato economico e sociale europeo e da parte del Comitato delle Regioni; inoltre questa iniziativa legislativa ha già superato politicamente anche il mancato accordo delle parti sociali a livello comunitario sui contenuti della proposta, nonché il vaglio positivo in sede di procedura di controllo di sussidiarietà da parte di tutti gli Stati membri (con la sola eccezione della Svezia).
Al momento in cui scriviamo, dunque, la proposta di direttiva sta passando dalla prima lettura del Consiglio dell’UE all’esame del nuovo Parlamento europeo che, alla luce del principio di codecisione innestato sin dal Trattato di Maastricht alla base di ogni procedura legislativa ordinaria dell’UE, concorrerà insieme al Consiglio alla stesura della versione definitiva del testo del provvedimento normativo comunitario.
Se il Parlamento europeo approverà entro tre mesi la proposta di direttiva ricevuta in prima lettura dal Consiglio dell’UE, l’atto verrà poi adottato; se, invece, proporrà degli emendamenti, si andrà ad eventuale seconda lettura da parte del Consiglio della proposta legislativa emendata, passibile di approvazione e di conseguente adozione, ma anche al limite di rigetto, a cui farebbe seguito una fase di conciliazione fra le due Istituzioni protagoniste del processo di codecisione. In tal caso, se entro sei settimane il Comitato di conciliazione composto da un numero uguale di membri del Parlamento e del Consiglio UE trovasse l’accordo su un testo legislativo condiviso, entro le successive sei settimane le due Istituzioni dovrebbero procedere a terza lettura (e auspicabilmente ad approvazione) dell’atto. Diversamente l’iter legislativo euro-unitario decadrebbe.
Michele Corti
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
@michele_corti1
Fabrizio Simonini
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena